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Fece pressione sul manubrio, maledicendo il traffico che non si decideva a sgomberare, e lui non poteva saltare la fila o evitare. Ma non poteva nemmeno permettersi di arrivare tardi. Il tono usato da Sandy era stato più eloquente delle sue stesse parole. Era risaputo: Park Jimin doveva seguire le regole. Se non l'avesse fatto lui per primo, chi l'avrebbe fatto? Non poteva rischiare una cattiva condotta. La sua brillante carriera era appena cominciata, e non avrebbe permesso a nessuno - nemmeno a se stesso - di mandare tutto all'aria. Lo doveva ai vecchi insegnamenti di guerra e ai suoi vecchi subordinati. Pochi avevano creduto nella sua promozione, ma la buona sorte era stata dalla sua parte; ma non era stata la sola. Arrivato ai piedi della centrale, spense il motore, poggiando il piede destro a terra, tra i ciottoli. Appoggiò in automatico il mezzo contro un muretto poco distante, rimuovendo poi il casco, e riponendolo nell'apposita custodia. Il tempo era mite, ma non abbastanza da recargli calma. Le spire del vento gli pizzicavano le gote, rendendole leggermente rosse.

Strinse le spalle nella giacca di pelle nera, cercando di non darla vinta al vento. Era dal periodo dell'Afghanistan che non provava la classica agitazione di riprendere ad aggirarsi per il campo di battaglia. Nessuno avrebbe mai potuto capire cosa si provasse a fare un passo falso e ritrovarsi senza una gamba o un braccio, o peggio, sotto terra. Per lui, a quei tempi, consisteva nella quotidianità. Ma quello che l'ispettore non voleva aspettarsi, era la mandria di giornalisti intenti ad intervistare i passanti. Fu anche tardi per tirarsi indietro, e poi lui non lo faceva mai. Di certo, loro non potevano spaventarlo. Nessuno poteva intimidirlo e delle domande banali non l'avrebbero abbindolato. Dalla sua bocca non sarebbe uscito niente. A testa alta, passò tra di loro, come se fosse un fantasma, ignorando le mille acclamazioni, indossando il paio di occhiali scuri, firmati Rey Ban. Purtroppo non lo aiutarono ad evitare i mille flash, i quali non accennavano a terminare. A molti, sarebbe parso come un qualsiasi individuo che peccasse di presunzione; Jimin era tutto fuorché presuntuoso.

Quanto avrebbe voluto mandarli via, urlare loro che si sarebbe occupato lui del caso. La breve tortura ebbe fine solo una volta attraversata la porta divisoria. Le voci ovattate dei parassiti al di fuori, venne assopita dal suo assistente, il quale gli si avvicinò, privandolo della giacca, in modo tale che stesse più comodo. Jimin lo ringraziò con un cenno di assenso, e avrebbe anche scambiato quattro chiacchiere, se solo il peso delle parole di Sandy non gli stessero opprimendo il petto. Sarebbe stato un gioco da ragazzi prendere l'ascensore, ma il suo intuito gli aveva suggerito di sbrigarsi e quindi di farsela a piedi. La fatica non era il problema, ma il tempo.

Giunto al piano degli uffici, camminò spedito verso il suo, senza sentire ragioni altrui. Ignorò le affermazioni dei colleghi, non badò nemmeno a Sandy. Proprio lei si era avvicinata all'uomo, con un "Signore, mi lasci spiegare." Jimin non la lasciò finire, perché bastarono pochi altri passi, per aprire la porta del suo ufficio e nessuno - a quel punto - l'avrebbe fermato. I secondi che susseguirono furono i più cruenti. Al suo posto, seduto sulla comoda sedia in pelle, vi era un uomo dalle fattezze delicate. Come gli occhi dal taglio sottile e perfettamente equilibrato. Jimin ebbe un sussulto, si chiuse la porta alle spalle, sbattendola.

«E tu chi cazzo sei?»domandò, non preoccupandosi di essere sentito da mezzo distretto.

Di rimando, l'intruso sollevò lentamente lo sguardo su di lui, come se si fosse accorto solo adesso della sua presenza. L'ispettore serrò i pugni, guardandolo negli occhi piccoli. Non solo aveva richiesto di lui indirettamente, ma si era anche permesso di entrare nel suo ufficio, come se avesse pensato alla possibilità di sostituirlo.

«È un piacere conoscerti, Mr. Park.»disse con autoaffermazione lo sconosciuto, come se l'altro morisse dalla voglia di saperlo.

«Non posso dire altrettanto, purtroppo.»replicò schietto il capo della polizia.«Sai che questo è il mio ufficio?»

«Non scaldarti, sono qui per un motivo.»

«Sei un federale?»domandò Jimin a bruciapelo.

L'uomo minuto, ancora seduto sulla sua sedia, finse un'espressione di puro stupore, pensando che l'altro possedesse davvero uno spiccato sesto senso. Esattamente come gli avevano riferito.

«Accurato.»portò il palmo della mano alla bocca, con il solo scopo di beffarsi di lui.«Come ci sei arrivato?»

Le mani di Jimin corsero al nodo della cravatta, sistemandola per poi scendere alle tasche dei pantaloni, recuperando il solito pacchetto di sigarette. Piegò all'indietro il pollice, spostando di poco il piccolo involucro in carta, estraendone una, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quell'essere infido. Per fare ciò, un piccolo ciuffo biondo cenere, ricadde davanti la sua fronte. L'uomo minuto lo stava guardando a sua volta, con fin troppa insistenza.

Il capo della polizia portò il bordo giallastro della sigaretta alle labbra, le quali strinsero partendo dalla base.

«Riconosco gli stronzi rompicoglioni a pochi metri di distanza.»

Il federale sporse in avanti la mano, volendo stringere la sua, ma Jimin non aveva alcuna intenzione di farlo, anche perché era troppo impegnato a portarla alla base della sigaretta, allontanandola dalla bocca per buttare via il fumo in eccesso.

Lo stesso fumo grigio che raggiunse il volto dell'altro, aspettandosi una reazione simile.«Min Yoongi.»si presentò lo stesso, ritraendo poi la mano.

«E quindi?»chiese con tono acido il capo della polizia.

Le poche ore di sonno si stavano facendo sentire, e l'irritabilità stava raggiungendo il suo massimo.«Andremo d'accordo, me lo sento.»lo interruppe Yoongi, trovando divertente l'evolversi della situazione.

«Ne dubito.»

«Mi sono giunte alle orecchie notizie non molto rassicuranti. E con questo, mi sto riferendo a V.»rivelò finalmente Yoongi, rimettendo i tasselli al loro posti.

Infatti, Jimin si stava proprio chiedendo quanto tempo avrebbe fatto passare, prima che rivelasse il vero motivo per cui si trovasse lì. Leccò il proprio labbro superiore, prendendo un altro tiro, sperando di calmarsi.

«Sono io ad occuparmi del caso.»

«Ce ne occuperemo insieme, d'ora in poi.»disse Yoongi, usando un tono irremovibile.

Jimin inclinò la testa di lato, rilassando le spalle e sciogliendo un nervo che gli stava recando fastidio; ma non quanto il signor Min.«E questo chi l'ha deciso?»sollevò la mano, diretta al posacenere, all'angolo della scrivania.

«Il governatore, suppongo.»

«L'FBI non c'entra niente con questa storia.»

«Park.»lo richiamò il direttore generale, passando dal tono borioso, ad un tono preoccupato.«Forse non ti rendi conto in cosa siamo coinvolti.»

«Me ne rendo conto, eccome.»

«Che ti piaccia o no, da oggi, fino a nuovo ordine, renderai conto a me. Sono stato chiaro?»

Jimin liberò un'ultima boccata di fumo, la quale coprì per mezzo secondo il volto dell'uomo.«Potrai avere anche potere su di me»tenne gli occhi puntati sul mozzicone, consumato fino all'estremità, il quale schiacciò nel posacenere, frantumando la cenere contro di esso.«ma questo rimane il mio distretto.»

HOMICIDA ― taekookWhere stories live. Discover now