Thunder

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Leòmhann dopo essere stato condotto fino al largo portone che divideva le stanze della semi-dea dal cortile esterno, decise di proseguire da solo il suo percorso chiedendo alla sua accompagnatrice di non addentrarsi assieme a lui nelle camere di Nevitha.
La gran maestra diede il suo consenso, sbloccando con un semplice e leggiadro tocco di mano i sigilli antichi e potenti che quell'entrata recava.
Essa si aprì da sola mossa da forze invisibili che spalancarono l'ingresso al mago.
I due si congedarono a vicenda.
Yelena prese la strada del ritorno alle sue stanze mentre Leòmhann si addentrò per il lungo corridoio, accompagnato dal forte rumore dei due battenti che con un forte colpo assicuravano la chiusura dell'unica entrata.
L'interno si presentava molto diverso dal resto del castello di Grom, quando lo stregone mosse un passo oltre la soglia non avvertì il rumore delle sue calzature che cozzavano con il duro e freddo marmo bianco, segno distintivo di Grom.
No, sotto i suoi piedi sentì solo il soffice rumore della terra bagnata dalla pioggia incessante, che stava continuando ad abbattersi incessante a qualche metro più in là.
Nessuna preziosa roccia adornava il percorso o almeno a prima vista sembrava che per tutto il percorso vi fosse come un estensione del cortile esterno.
Il viale era fiancheggiato da due imponenti mura in roccia grezza le quali congiungendosi alla volta andavano a formare un caratteristico arco, ad adornare il soffitto reso ancor più suggestivo dalle luci che pian piano facevano capolino dalle insenature delle pareti.
La roccia antica e porosa lasciava che questi scintillii blu venissero fuori, a illuminare la buia strada di coloro che avrebbero avuto l'ardire di recarsi dalla figlia di Perun.
Il mago non esitò ad ammirare lo spettacolo luminoso procedendo a passo spedito in avanti, il corridoio infatti non aveva diramazioni secondaria ma proseguiva ininterrottamente in una singola direzione con la medesima conformazione per tutto il breve tragitto.
Quando finalmente la monotonia del passaggio terminò dal buio, allietato dalle spettrali luci blu, fuoriuscì un gradino.
Non era affatto ben curato come qualsiasi altra scala di Grom anzi, esso non era neanche costruito in qualche materiale prezioso bensì da semplice legno, per altro traballante e pieno di fori lasciati dalle migliaia di piccole creature che dovevano aver fatto di quella scalinata la loro casa.
A ogni passo su quella scala sembrava che tutta la struttura stesse per venire giù, il soffice rumore delle suole che affondano nel terreno morbido e umido fu in breve tristemente variato in quello del legno, che a poco a poco si frantuma tramutandosi in schegge appuntite.
Man mano che lo stregone percorreva uno dopo l'altro i gradini della scalinata malmessa poteva notare il differenziarsi dei dettagli in ciò che gli era attorno.
Dopo aver superato anche l'altezza del primo soffitto, chinando cautamente il capo per evitare brutti colpi, girò il volto leggermente verso destra osservando come su entrambi i muri fossero inscritti con pittura rossa alcuni glifi raffiguranti una storia.
Leòmhann sapeva bene il significato di quelle pitture e la storia che narravano.
Il primo di essi raffigurava un rigoglioso albero dal tronco poderoso e dalle radici possenti, carico di foglie e frutti con ai suoi piedi adagiata un'ascia.
Ciò stava a significare l'unione carnale tra il dio Perun e una donna umana, almeno secondo ciò che affermano i testi, avvenuta poco meno di un millennio prima dalla quale nacque una sola bambina.
I glifi proseguivano nella roccia mostrando la nascita della piccola semidea, raffigurata come il fulmine che si abbatte nei pressi del bellissimo albero e il suo divenire l'erede di suo padre il quale veglia sempre su di lei dall'alto delle sfere celesti.
Ma come ogni storia non può essere caratterizzata solo da felicità, come narrano precisamente e all'unanimità i testi magici slavi la guerra si abbattette sulle sventurate divinità, qualcosa che di antico che dimorava nel profondo del mondo lì prigioniero insieme a creature blasfeme sue pari risalì dalla sua eterna prigione, dove in tempi dimenticati persino dai più anziani saggi lo avevamo gettato.
Colui che nel buio serpeggia, fautore di ogni maldicenza, sventura, orrore e piaga che gli uomini e anche gli dei avessero mai conosciuto, stava rinascendo dai recessi più profondi della terra.
Il suo fiato acido risalì dagli abissi di tenebra e fuoco fendendo la roccia come se fosse fragile e porosa simile alle ossa di un anziano, ormai al termine della sua esistenza facendo spuntare lingue di fuoco e diabolici miasmi fino in superficie.
Già il suo alito era foriero di sventura e morte, nessuna creatura vivente tollerava il tanfo delle esalazioni che fosse di mare, di terra o di aria non importava.
Le mucche crollavano in terra prive di forze lasciandosi morire lì fra l'erba rinsecchita, in una terra che soffice era diventata dura e severa, pian piano esse diventavano carcasse scheletrite portatrici di malattie, tanto da far desistere i pochi predatori che ancora non erano stati colpiti dalla piaga.
Destino analogo toccò a ogni creatura che avesse la sfortuna di respirare quel fetore.
I maiali terminavano la loro vita nel fango dove amavano sguazzare in vita, ora pieno zeppo di carcasse maleodoranti mente le pecore perdevano tutta la lana e la loro pelle veniva tormentata da piaghe purulente, che secernevano una sostanza rivoltante mista al sangue delle povere creature.
Chi non moriva all'istante cercava rifugio negli specchi d'acqua tinti di viola misto al nero da chissà quali intrugli fuorusciti dalle bocche infernali.
Laghetti, fiumi e pozzanghere divennero il cimitero prediletto per le ultime bestie sofferenti le quali andarono a far compagnia ai pesci boccheggianti a pelo d'acqua.

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