Hammer of the dark - part four

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Il simbolo si illuminò d'un tratto, rischiarando le tenebre che avevano avvolto il bosco in quella notte senza stelle; il freddo metallo fu rischiarato dai blandi raggi dorati che pian piano si diramavano dalla decorazione. Le lingue luminose si manifestarono ina una tonalità tenue: avevano assunto la forma di un minuscolo sole, ma di certo il loro bagliore non era minimamente paragonabile a quello della stella che durante le ore diurne si staglia alta nei cieli. Quel luccichio si specchiò negli occhi dello stregone, già tinti di giallo fin dalla sua nascita, espandendo poi la loro estensione su tutto il corpo del mago. La veste, verde smeraldo, fu inondata dal bagliore e grazie a quest'ultimo brillò come la pietra preziosa da cui traeva il colore, un faro verde screziato dall'alone dorato e dai rimasugli di terriccio e aghi di pino. Leòmhann si lasciò andare in un rilassato sospiro, distendo i nervi tesissimi che lo avevano accompagnato fino a lì; le lingue di luce dell'amuleto erano in grado di generare un senso di pace interiore e rilassamento, una comunione totale con la propria anima... tale stato poteva dissipare i più funesti presagi, le prospettive più nere, i dubbi, le incertezze, le preoccupazioni lasciando al loro posto solo il conforto della presenza di Svarog.

L'incantatore iniziò lentamente a sollevare la mano verso il rilievo iscritto sulla porta, lì verso l'origine del fenomeno luminoso; più la sua mano tendeva ad avvicinarsi verso l'origine, più la sensazione di calore aumentava. Se in un primo momento poteva avere connotati piacevoli così non era con l'accorciarsi delle distanze, quando il palmo della mano fu a pochi millimetri da quel sigillo esso era divenuto rovente, tanto da essere divenuto di una tonalità variabile tra il giallo, l'arancione e il rosso; similmente alla ferraglia incandescente che si può vedere in una forgia o in una qualsiasi bottega di un fabbro. Ma l'elevato calore non sembrava disturbare Leòmhann, la mano si era spinta in avanti senza ripensamenti e il suo volto non si era corrugato in una smorfia di dolore o semplicemente fastidio. Nemmeno una singola goccia di sudore imperlava il suo volto, salvo l'acqua piovana rimasta intrappolata sugli alberi, dai quali lo stregone d'Irlanda aveva compiuto una rapida discesa. Ma un motivo vi era dietro a questo singolare fenomeno d'insofferenza, il calore emanato dal sigillo non nuoce a ogni creatura che abbia l'ardire nell'avvicinarsi. Esso è molto più di una semplice decorazione difensiva basata sull'ustionare gli invasori, esso scruta nell'anima di coloro che desiderano varcare quella soglia e ne sviscera le reali intenzioni, se i visitatori giunti fin lì desiderano minacciare la salvaguardia della faglia saranno vittime del terribile incanto che aleggia su tutto il perimetro difensivo: la luce benevola diverrà maligna e ne avvolgerà le membra, il suo tocco gentile e flebile muterà in un'opprimente pressione; si stringerà a essi, come una serpe avvolge il malcapitato ratto, bloccandoli. Dopo di ciò, in un attimo più breve di un battito di ciglia, il calore si insinuerà nei loro corpi e prima che possano rendersene conto diverranno cenere, nessuno potrà più distinguere il fondale del bosco coi loro corpi.

Presso la comunità magica questo incantesimo di protezione viene denominato "il sole giustiziere" o "giudizio di Svarog", uno dei più antichi incanti concepiti dalla razza umana, per lungo tempo utilizzato esclusivamente dalle popolazioni occupanti l'area balcanica. Stando ad alcune ricerche dello stesso Leòmhann, l'amuleto avrebbe cominciato a espandersi, in forme per lo più minoritarie, intorno al IV secolo d.c.[1] e da lì il suo utilizzo si era gradualmente espanso nel continente. Quello che era stato utilizzato era frutto dell'esperienza di un mago potente, evitando di fare iperboli le fiamme purificatrici avrebbero condannato a un rogo senza via d'uscita anche un mistico di media abilità. Mentre il metallo della porta iniziò a vibrare, assumendo una consistenza quasi liquida, Leòmhann cercò istintivamente di ricordare chi poteva essere l'artefice del sigillo. Nella sua testa scorrevano rapide immagini, nomi, scritte e conversazioni... mentre avanzava nello spazio vuoto, lasciato dalla liquefatta porta, riportò alla mente una pergamena mostratagli da Yelena Bljana: Nel gruppo di maghi incaricati di sorvegliare la frattura vi era una personalità piuttosto nota in certi ambienti europei; Kresmir Cherbourg detto "fuoco di drago". La sua famiglia era di origine slava, serba per l'esattezza, ma abbandonò le sue terre natali diversi secoli addietro, cercando di sfuggire al dominio ottomano. Da generazioni maestri piromanti e abili fabbri, non ebbero problemi a sfruttare le loro conoscenze per abbandonare le loro terre, seguendo il Danubio verso nord. Era noto si fossero fatti un nome nelle terre che appartenevano all'Austria prodigandosi per la causa bellica dell'impero, il quale avrebbe ringraziato la famiglia con possedimenti terrieri e ricchezze. Poi nel 1690 suo nonno, tale Vojko Feurig, si era imbarcato presso Venezia per raggiungere l'Inghilterra. Non abile come i suoi antenati non riuscì mai ad acquisire grandissima fama nelle aree londinesi, ma i nome della sua famiglia e relativa rendita gli permisero una vita agiata nella capitale. Intorno al 1693 il fato aveva donato a Vojko una bambina, Zora... che nella lingua paterna significava alba. Ventitré inverni dopo Zora diede alla luce il suo primo figlio, un pargolo paffuto e dalle guance rosee che andavano in contrasto con i ciuffi coloro nocciola che gli ricadevano sulla fronte, ereditati per certo dal padre, il mago di origini gallesi Geraint Cherbourg.

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