Chernobog

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Quella fredda notte di autunno sarebbe stata rimembrata per i secoli avvenire, il suo ricordo impresso come un marchio infuocato, riportante il simbolo blasfemo del dio, impresso con veemenza sulle anime dei mortali che ebbero la sfortuna di essere ancora viventi durante il suo risveglio. Ogni stirpe di maghi avrebbe raccontato alla propria progenie, quasi con referenziale timore nel far riaffiorare alla memoria quei tempi, la notte in cui gli ultimi dei benevoli avevano voltato le spalle al mondo e come l'umanità avesse dovuto fronteggiare un male antico e dimenticato, ritenuto completamente invincibile per ciò che il mondo poteva schierare. Questo assumendo l'esistenza di un mondo nel futuro, ogni terra natia potrebbe essere completamente cancellata dalla sola figura della grande ombra.

Erano passati solo pochi istanti, la terra aveva vomitato in superficie il suo corpo abominevole, nella vana speranze di rigettare quel male che la stava consumando fin dalle viscere. Il mondo aveva provato una disperata ultima difesa contro il signore delle tenebre ma... la sua volontà si ergeva fiera e vittorioso, finalmente libero dalle catene che i suoi fratelli gli avevano imposto: i secoli di prigionia non avevano cancellato dalla sua mente l'umiliazione subita, quando le sue truppe caddero in terra una dopo l'altra, vedendo sfumare pian piano i suoi tetri e vanagloriosi progetti di conquista. Egli che si riteneva un'entità leghe distante dalle semplici divinità suoi fratelli e sorelle. La superbia di Chernobog vanificò ogni suo sforzo e la sua guerra mutò nella grande carneficina, quando gli dei discero dalla grande quercia del mondo gli uomini battagliavano, su quello che in tempi moderni viene ricordato come ultimo fronte, contro le truppe d'ombra. Creature da incubo generatesi dal corpo stesso del loro padre, prolungamenti infidi e ignobili del nemico comune. Gli uomini li ribattezzarono demoni e come tali apparivano agli occhi dei mortali che cercavano con tutte le loro energie di frapporre, tra sé e le malignità, lance... scudi, spade... qualsiasi cosa potesse proteggerli, si combatteva colpo su colpo, metro per metro, era una resistenza disperata contro un nemico che li superava in potere e numero ma, i mortali riuscirono a respingere il bieco invasore fino al tempo del divino intervento. Nessuno proferisce molte parole su quei tempi, ormai facenti parte delle epoche antiche del mondo, persino gli alti sacerdoti del culto di Belobog[1] sono riluttanti a descrivere i giorni bui, la guerra fu dimenticata come il nemico stesso. Ciò che è conosciuto viene da frammenti di cronache scritte da chi aveva la sfrontatezza di portare avanti il ricordo della prima battaglia, ma anche queste fonti sono state prontamente messe al bando e solo pochi frammenti, custoditi sparsi tra l'Europa e le colonie del mondo, tengono viva la memoria dei giorni che furono.

Gli uomini decisero di dimenticare, ma il nemico decise di non fare lo stesso: la sua rabbia era cieca e somma, quando sentì i rantoli disperati di Vij[2] provenire dalla piana della battaglia ruggì, latrò e sibilò... la sua voce era talmente strana da non poter essere descritta senza l'uso di più versi di animali, essa partiva come un cupo rimbombo fuoriuscendo con fragore dalle fauci, irte di denti che spade parevano, assordando i mortali con il disturbante suono. La luce della speranza si accendeva nel cuore degli uomini affievolendo l'opprimente presenza dell'oscura divinità, l'empio esercito era in fuga e alla sua testa di ritirata vi era, per ironia della sorte, Vij generale delle forze delle tenebre. Il drago stava avanzando a spron battuto sul campo di battaglia, il suo fiato incandescente e acido allo stesso tempo mieteva frotte di prodi guerrieri, disposti al totale sacrificio pur di fermare la bestia. Tanti brav'uomini videro i loro compagni e loro stessi venire divorati dalle fiamme del demone rettile, corrotti dalle sue esalazioni, con le ossa spezzate dalle sue zampe poderosa e dalla sua coda a frusta irta di spuntoni. Ma nulla poteva infrangere le sue scaglie, persino la magia dei maghi si rivelò inefficace provocando esclusivamente una forte ilarità nella bestia. Le risa del drago si levarono per tutta la distesa di morte affliggendo i cuori di conduceva l'ultima resistenza, quelle risate malvagie fecero danni come una pioggia di spade sui sopravvissuti, a chiunque tremarono la spada, o qualsiasi arma brandisse, e le gambe al cospetto di quello scenario. Ma nel momento più buio figure salvifiche vennero in soccorso dello stremato esercito umano: Vij imprecò nella dimenticata lingua nera quando dalla coltre temporalesca, innalzatasi ormai da alcuni minuti, venne scagliata l'arma che andò vicino a ucciderlo. L'ascia di Perun si fece largo fra le fila nemiche, i demoni alati furono tranciati a metà lasciando le loro budella ricadere in terra dove nel frattempo si era compiuta nuova mattanza; l'arma sfondò come fosse paglia il muro di carne corrotta, arrivando diretta nel collo del drago tranciandogli, alcuni istanti prima, una delle zampe. Il sangue violaceo zampillò come una macabra fontana sul teatro di guerra, ricoprendo alleati e nemici con il suo maleodorante odore. La bestia sibilò di dolore e con foga quasi isterica si girò su un fianco emettendo fiamme. I concitati istanti successivi videro l'intera armata divina discendere dai cieli a bordo dei carri dorati di Svarog, il quale era a testa delle sue forze, mentre Vij si ritirava obbligando i suoi sottoposti a parere i colpi a lui diretti.

Whisper of magicWhere stories live. Discover now