IX

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Probabilmente Chanyeol non aveva nemmeno il diritto di incazzarsi, insomma, non erano minimamente affari suoi ciò che Jimin decideva di fare durante un'uscita, od una conoscenza.
Eppure quel concetto non era poi così chiaro al suo migliore amico, che subito dopo aver visto il post sul profilo, si era affrettato a scrivergli.
L'appuntamento era finito da circa un'ora, Jimin era tranquillamente sdraiato sul letto aspettando che si facesse mattina, nonostante fossero quasi le tre il sonno non sembrava volerlo accogliere.
La serata era andata bene, Jooheon era stato così bravo nel rapirlo, che le cose erano andate da sé. Cena da lui, luci basse, del buon vino.
Il maggiore lavorava da pochi mesi in un magazzino di caramelle, in quel posto magico dove i bambini sognano di affondare le mani, ma prima di trovare lavoro lì, aveva studiato per anni in una scuola privata. I suoi genitori desideravano un figlio studioso, elegante, qualcuno con la testa sulle spalle. E non potevano lamentarsi, perché quel ragazzo dai capelli color miele, di pregi e qualità ne aveva veramente a bizzeffe. Per poter sostenere le spese dell'abitare da solo, si dilettava in due lavori differenti, e se la mattina indossava la divisa per lavorare in fabbrica, la sera sbottonava la camicia per servire drink a giovani alcolisti. Era ammirabile.
Eppure, qualsiasi cosa bella ci potesse essere nel mondo, non lo avrebbe mai gratificato come anche solo un respiro di Kim Taehyung era in grado di fare.

«ho usato la sua stessa parola, diamine, dovrebbe capirlo no?»
Sbuffó, irritato dalla mancata risposta al suo ultimo post su art.com.
Quando aveva visto quella foto, per Taehyung definita 'romantica', non aveva potuto frenare la sua mente.
Aveva immaginato una seratina leggera, casa, divano e pizza. Niente di troppo impegnativo, giusto per conoscersi un po'.

Se lo immaginava così, un ragazzo relativamente tranquillo. A scuola se ne stava sempre sulle sue, e quando lo vedeva era da solo o in compagnia di un ragazzo basso dai capelli grigi: Min Yoongi.
Con lui non aveva mai parlato, ma Chanyeol lo conosceva, lui conosceva sempre tutti.

«dio, sei ridicolo Jimin. Un parola, secondo te lui dovrebbe capire perché avete usato la stessa parola. ti facevo più intelligente, sul serio, cosa stai blaterando?»
Si rimproverò poco dopo, alzandosi dal letto e sbuffando. Non avrebbe dormito, ne era sicuro, inutile restare a prendersela con se stesso per tutti gli effetti collaterali dell'avere una cotta che non ti nota.
Con l'ennesimo sbuffo si sedette sul letto, allacciando le scarpe e appuntando mentalmente di dover passare da quella scuola di danza poco lontana da casa, lì dove aveva letto il giorno prima, servisse qualcuno per organizzare orari e corsi delle lezioni.
Aveva sempre amato la danza, i suoi primi ricordi includevano sempre quelle sue gambette pronte a saltare, a piegarsi, e con il passare degli anni a diventare muscolose, tese, ma sempre relativamente corte. Essere basso, si diceva, era un punto in meno. Eppure non era un limite, non era qualcosa che lo penalizzava, solo nella sua mente.
Peccava di autostima, lo sapeva, ma nel ballo era tutto diverso, e quella gamba corta poteva anche essere un difetto, ma è nel difetto che sta la perfezione.
Preso dai pensieri, nemmeno si accorge di aver passato la bellezza di ben cinque minuti a fissare il vuoto, semplicemente pensando, e così si ritrovò a sbuffare per l'ennesima volta prima di afferrare il capello, il telefono e le chiavi di casa.
Aveva intenzione di andare al parchetto poco distante da casa, erano comunque quasi le quattro di mattina e non voleva esagerare con l'allontanarsi.
Intorno a sé non scorgeva alcuna persona, ma d'altronde non si stupiva, le persone normalmente a quell'ora dormivano.
Sorrise quando scorse la figura familiare di un cane, non vedeva molto da lontano ed anche per via delle luci dei lampioni, ma sembrava un cucciolo.
Con fare cauto prese ad avvicinarglisi, facendo alcuni di quei suoni ridicoli che di utilizzano con i bambini, e solo un paio di isolati dopo, riuscí ad avvicinarsi abbastanza per accarezzarlo e giocarci un po'.
Non era mai passato di lì, o magari sempre preso dal resto, non si era reso conto di quanto gli piacesse quel particolare tratto di strada.
Alle sue spalle si ergevano degli alberi, così poco spessi da sembrare piante, ma che nella loro fragilità probabilmente avevano resistito lì per parecchi inverni. Forse sostenuti dal muro grigio alle loro spalle. C'erano anche delle panchine, i lampioni alti, e il marciapiede largo confinato da delle piastrelle chiare, lì per interrompere il contatto con l'asfalto.
Si chinò sulle ginocchia dopo aver dato un'occhiata intorno a sé, e cominciò ad accarezzare il cane, sorridendo intenerito dal suo musetto curioso.
Sembrava volergli fare compagnia in una notte di solitudine come quella, eppure niente era davvero in grado di fargli sentire qualcosa.

«anche tu mi tradiresti se avessi della droga addosso.»

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