XLIII

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Jongup era molto carino, Taehyung doveva ammetterlo.
gli erano piaciuti i risolini che aveva fatto a seguito di ogni scatto, gli era piaciuto anche osservare il suo sorriso soddisfatto dopo aver avuto le foto fra le mani, e gli era piaciuto soprattutto l'interesse che il suo hyung aveva mostrato nello scoprire della camera oscura in cui il fotografo sviluppava i negativi.
la sua espressione era a dir poco sorpresa, e se solo avesse potuto usare il flash lì dentro, era sicuro che avrebbe immortalato quel momento. Non se lo spiegava, perché era difficile che qualcosa o qualcuno riuscisse a smuoverlo, eppure era bastato un pomeriggio con Jongup, un solo momento in cui aveva posato lo sguardo sul suo viso per poi sentire una miriade di colori appannargli la vista.
C'era una sola persona che fino ad allora era riuscita a farlo sentire così, con le mani che fremono dal desiderio di immortalare l'immagine, con il cuore che batte in modo irregolare e le pupille esageratamente dilatate.
jimin.
il suo compagno, l'unico soggetto, prima di allora, che aveva scaturito nel suo petto il desiderio pungente di scattare una foto. l'unica persona che, nel suo petto, aveva fatto germogliare qualcosa di molto simile all'amore.
Taehyung non sapeva amare, e non perché facente parte della maggioranza di adolescenti che per mollare il proprio ragazzo, usavano quella scusa. Lui non riusciva a farlo e non era colpa sua, la psichiatra che lo aveva seguito durante l'infanzia e i primi anni di adolescenza, gli aveva diagnosticato la filofobia.
Era inconsciamente terrorizzato dal provare un sentimento così forte, e il fatto che non fosse cresciuto in un ambiente amorevole, non lo aveva certo aiutato a superare questo blocco. Probabilmente era proprio quella la causa.
In qualche modo con gli anni aveva imparato a legarsi a qualcuno, c'erano i suoi amici a cui voleva molto bene, più a Yoongi che a Baekhyun, ma come aveva già dimostrato, non gli costava nulla metterli da parte.
Per lui semplicemente erano tutti sostituibili, poteva voler loro un bene sopra il normale, poteva fare di tutto, anche un viaggio dall'altra parte del mondo per prendere un fiore tipico dell'Alaska. Ma al suo ritorno, se qualcosa glielo avesse suggerito, sarebbe stato capace di ignorare la loro esistenza.
Con jimin era stato diverso, aveva sentito il petto ardere all'idea di stringerlo fra le proprie braccia, le mani formicolavano al pensiero di toccarlo, le labbra torturate per notti prima di poter finalmente assaggiare quelle del compagno.
Taehyung lo amava, a modo suo, ma era certo di amarlo.
Ne era certo perché per lui aveva cercato di cambiare, di impegnarsi a non essere una cattiva persona, aveva cercato di non essere tremendamente possessivo e di lasciarlo vivere, ma proprio non ci riusciva.
Lui non era così, non era fatto per amare correttamente qualcuno, non era fatto per amare e basta.
Questa consapevolezza non lo aveva fermato, aveva portato jimin a vivere con sé, lo aveva plasmato alle sue esigenze e gli aveva dato la forma che desiderava avesse.
Poi all'improvviso non sapeva cosa fosse successo, si era alzato una mattina e aveva deciso che tutto quello doveva finire, che non importava quanto ci sarebbe stato male, jimin doveva sparire dalla sua vita. Ciò che sentiva per lui era troppo, troppe emozioni da gestire, istinti da frenare, la paura di stringerlo nella sua morsa fino a soffocarlo. Aveva bisogno di prendere una boccata d'aria, di sollievo, di lasciarsi andare, e la paura di ferire il suo compagno lo frenava. Voleva chiudere tutto, ma non poteva semplicemente lasciarlo, non era da lui. Aveva bisogno di piegarlo, di vedere le sue lacrime, di sentirlo supplicare, di leggergli la mancanza negli occhi, prima di vederlo andare via sul serio.
I momenti felici si dimenticano, Taehyung lo sapeva bene, si ricorda di essere stati felici ma non si ricorda l'esatto momento in cui il cuore batte più veloce e la mente si focalizza su una sola parola: gioia.
il dolore invece lo si ricorda sempre, la spaccatura che si crea in quel piccolo ammasso di carne e sangue.
Taehyung voleva essere quello per Jimin: il dolore più devastante. la consapevolezza che tutto ciò che aveva amato, lo aveva distrutto.
A volte non ci si rende conto di quanto i nostri pensieri influiscano sulla relazione con gli altri, quando il rifiuto per se stessi diventa un rifiuto sociale. Taehyung era fatto di traumi e fotografia, di ossessioni e sorrisi, di art.com e dei suoi meccanismi perversi. Taehyung era questo e molto altro, e non importava cosa pensasse di sé stesso, perché Jimin lo amava così com'era. Lo amava davvero, con ogni fibra del suo corpo, ma non importava quanto brutalmente potesse gridarglielo in faccia, o sussurrarglielo ansimante all'orecchio. Taehyung era troppo impegnato ad ardere nella propria autodistruzione per poter accorgersene.
Conscio di quello che stava per fare, con un ultimo sospiro, camminò verso la piccola stanza situata all'interno della camera da letto. I passi erano lenti e trascinati, inconsciamente cercava di rimandare quel fatidico momento. Stava sbagliando andando contro se stesso, perché non c'era alcun motivo per cui avrebbe dovuto metter fine alla loro relazione, alla sua felicità.
Ma d'altra parte, era Kim Taehyung, non meritava alcuna felicità.

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