XXXVIII

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«lo voglio anch'io.»
Un adorabile broncio si era dipinto sul viso del minore, che come un disco rotto continuava a ripeterlo da giorni.
Circa una settimana prima, Yoongi aveva trovato un gattino lungo la strada verso scuola, e dopo diversi minuti di tentennamenti, aveva deciso di prenderlo con sé e portarlo a casa.
Proprio come Yoongi, anche Jimin aveva sempre amato gli animali in generale, ma con i gatti sentiva qualcosa di particolare.
Era come una sorta di appartenenza alla specie.

L'essere sfuggenti, l'impassibilità difronte le moine altrui, i rari momenti in cui si lasciano coccolare senza sfoderare gli artigli. Tutte situazione tipiche della sua vita, anche se con il senno di poi avrebbe potuto ragionarci meglio per capire da cosa derivassero quei atteggiamenti. Sicuramente non perché si sentiva appartenente al rango dei felini.

Un altra cosa che portava Jimin a sorridere difronte a quei musetti carini, erano i ricordi dell'infanzia che custodiva gelosamente nel cuore.
Da bambini lui e suo fratello giocavano sempre nel giardino di casa, divertendosi con la palla o colorando sul tavolo in marmo che decorava lo spazio all'ombra, e ogni pomeriggio si presentava da loro un gatto nero come la pece.
La prima volta che se lo erano ritrovati davanti, jimin aveva 9 anni, mentre Minsung doveva compierne 15.
Quella mattina di luglio erano seduti sulla panchina in legno che i loro genitori avevano voluto, Minsung stava fumando una sigaretta rubata a papà, mentre jimin si guardava intorno e chiedeva a se stesso quando avrebbe iniziato a fare i suoi esercizi per le gambe.
L'insegnante di danza glieli aveva consigliati durante una delle ultime lezioni, ma lui non aveva alcuna voglia di farli, infondo non vedeva tutto il grasso di cui l'adulto parlava.

«non prenderemo un gatto, minnie.»
Rispose con nonchalance il suo compagno, non voltandosi nemmeno verso di lui e continuando a prestare attenzione al suo computer.
Non che stesse guardando stupidi drama o  spettegolando sui social, ma quella settimana era stato con Jimin in un piccolo paese nei dintorni, e fra tutte le foto fatte, stava scegliendo le più belle da poter vendere nella piccola agenzia in cui aveva iniziato a lavorare.
Non era ancora un fotografo professionista, stava studiando per questo, anche se il corso non dava davvero così tante spiegazioni su come essere un artista, quella è una qualità che non si può acquisire.
L'arte la si ha nel sangue.

«hyung, dai!»
Il maggiore non si sorprese più di tanto nel vedere jimin inginocchiarsi difronte a lui, si era abbassato abbastanza per poter infilarsi sotto la scrivania, abbracciandogli le gambe e pregando silenziosamente di riuscire a convincerlo.
Lo desiderava davvero, e non capiva perché taehyung non volesse un micetto lì a vivere con loro.

«questa casa è mia e tua. Nostra. Non voglio nient'altro di vivo accanto a te, è chiaro?»
Disse alzando il tono di voce, smettendo momentaneamente di fissare il computer per poter abbassare il viso verso Jimin, con lo sguardo fermo sull'espressione ancora imbronciata del piccolo.
In parte gli dispiaceva, quel gatto avrebbe anche potuto regalarglielo se lo avesse reso felice, ma ne era allergico, lo aveva scoperto poco prima di diventare adolescente.
Che non volesse alcun essere vivente accanto a Jimin era vero, non voleva dover dividere le sue attenzioni con un gatto, modificare le loro abitudini per andare in contro alle esigenze di un animale, se pur innocuo.
Se non fosse stato allergico, avrebbe messo da parte questa sua mania senza alcun tipo di ripensamento. Sarebbe stato più facile dirgli la verità, motivare il perché delle sue scelte, ma non era solito farlo. Taehyung tendeva a comportarsi come voleva, senza tenere in considerazione la reazione che le persone accanto a lui potessero avere.

«hyung ma-»
La protesta di jimin non ebbe nemmeno il tempo di iniziare, perché Taehyung si era semplicemente liberato dalla sua presa con uno strattone, si era alzato e senza degnarlo di uno sguardo si era recato in camera da letto.
Probabilmente se qualcuno avesse visto cosa succedeva in quella camera, se avesse ascoltato i litigi, o i sussurri perversi che riempivano l'aria durante la notte, li avrebbe giudicati come malati.
Ma quella era casa loro, era di loro proprietà, nessuno poteva anche solo pensare di dettar legge lì dentro.
Erano al riparo da ogni tipo di occhiata indiscreta, dalle domande altrui ma soprattutto dalla loro compagnia. Non sapeva esattamente quando era diventato così sociopatico, jimin, ma da quando passava 24/7 del suo tempo con Taehyung, gli altri lo disgustavano.

«Hyungie mi dispiace aver insistito, possiamo fare la pace?»
Con la coda fra le gambe il biondino aveva seguito il suo compagno, raggiungendolo in camera e trovando l'altro intento a spogliarsi.
Taehyung aspettó qualche minuto prima di voltarsi nella sua direzione.

«va bene Minnie, ma non voglio più sentirti parlare di gatti.»
Accennò un sorriso, prima di iniziare a camminare verso di lui, ancora fermo difronte alla porta.
Il minore indossava solo una felpa, così non fu difficile per Taehyung lasciar passare le proprie mani sotto il tessuto. La pelle di Jimin era perennemente fredda, in confronto alla sua che sembrava andare a fuoco.

«Anche se devo ammetterlo, amo sentirti pregarmi.»
Continuó ad abbassare il tono di voce, ormai talmente vicino da poter sentire i loro respiri mischiarsi.
Con un veloce movimento voltò jimin, ancora tenendolo per i fianchi onde evitare qualsiasi altro movimento a lui non gradito.
Jimin squittì di sorpresa, portando le mani contro la parete su cui era stato spinto, confuso dalla caduta che avrebbe potuto fare e dal repentino cambiamento del compagno.

«H-hyungie..»
Jimin sembrava miagolare sotto le sue carezze, sentiva già il solito calore scendere verso il basso ventre, quasi accompagnato dalle mani dell'altro che senza chiedere permesso continuavano ad accarezzarlo. Intorno all'ombelico, lungo l'elastico dei boxer, nell'interno coscia, ovunque. Lo sentiva ovunque.

«In silenzio Minnie, altrimenti il gioco finisce.»
Asserí con voce seria, fermando bruscamente le mani sulle sue cosce, intente a divaricarle appena.
Dopo quella minaccia, non servì nient'altro per farlo zittire e per lasciare libero arbitrio al castano.
I loro giochi cominciavano quasi sempre così.

TAKE IT OFFWhere stories live. Discover now