XLV

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Jimin non aveva mai creduto nel per sempre, non aveva mai creduto alla possibilità di incontrare la persona giusta, scoprirla lentamente, assaporarne ogni centimetro e amarla per tutta la vita.
Jimin partiva con il presupposto che sarebbe stato tutto momentaneo, che avrebbe vissuto attimi di felicità immensa, avrebbe provato delle sensazioni mai sentite prima, avrebbe avuto il mal di guance a furia di sorridere come un ebete. Viveva ogni rapporto con la consapevolezza che tutto sarebbe finito, faceva entrare gli altri nella sua vita e lasciava la porta aperta, così che sarebbero potuti andare via in ogni momento.
Viveva bene così, lo aveva fatto per diciannove anni della sua vita, tutto fino a che non si era innamorato di Taehyung.
Sì, si era innamorato di Taehyung.
E non era quell'amore frivolo di cui tutti parlano, no, era quel tipo di amore in cui ti annulli per l'altro.
Lo aveva capito in quel momento, nell'esatto attimo in cui Taehyung aveva aperto bocca, distruggendolo una volta per tutte, ma aprendogli gli occhi.

«questo non è uno scherzo, vero?»
Chiese con voce tremante, bassa.
Musica leggera era dispersa nel locale, altri clienti che parlavano e consumavano il loro pranzo, ignari di quanta distruzione potesse contenere una sola persona.
Taehyung, sedutogli difronte, sembrava più serio che mai.
La schiena dritta, le mani congiunte sul tavolo, il piatto di noodles quasi vuoto difronte a sé.

«non scherzerei mai su queste cose, minnie.
So di essere egoista nel chiederti una cosa del genere, ma prova a metterti nei miei panni, okay? Dammi l'occasione di spiegarti, dammi la possibilità di provare.»
Si schiarì la gola, abbassando solo un attimo lo sguardo, prima di puntarlo su quello lucido del minore. Gli stava facendo male, lo sapeva, ma questo non l'avrebbe fermato dal continuare. Amore è dolore, e questo lo sapevano bene entrambi.

«ho conosciuto Jongup poco tempo fa, mi aveva chiesto delle foto, ti avevo detto di avere un piccolo incarico, no? Siamo andati a prendere un caffè, abbiamo parlato, e ho avuto l'occasione di conoscerlo meglio, oltre quel suo viso da cattivo ragazzo, c'è molto altro.»
Come lame, le parole di Tae gli si stavano conficcando nel petto.
Con il respiro accelerato, si passò le mani sul viso, non riusciva a capire che quella fosse la realtà, non stava davvero realizzando, non stava vivendo in quel momento.
Un leggero cenno del capo fece capire al maggiore di poter continuare, era sicuro che avesse ancora molto da dire, sembrava un libro in piena, non si sarebbe stupito se avesse cominciato a vomitargli addosso parole d'amore. Faceva male.

«abbiamo fatto delle foto, abbiamo parlato, l'ho visto ridere e improvvisamente ho sentito nel petto un nuovo colore. Tu sei il mio colore preferito jimin, sei la persona che più amo al mondo, sei l'unico ragazzo con cui abbia mai avuto il coraggio di essere me stesso, ed è solo per questo che ti chiedo di capirmi. Forse durerà poco, forse mi stancherò di lui dopo poco tempo e-»
Jimin sbatté la mano contro il tavolo, facendo tremare i piatti e sobbalzare le persone sedute al tavolo accanto.

«E cosa, Taehyung? E poi le cose tornano come prima?»
Rise amaramente, sotto lo sguardo impassibile della persona che credeva di conoscere.
Lo aveva ascoltato parlare e attimo dopo attimo aveva sentito la rabbia nascere dentro, era come un'iniezione di adrenalina dritta al cuore. Ad ogni parola aveva sentito l'ago spesso trapassargli i tessuti, superare la cassa toracica e piantarsi senza rimpianti al centro di quell'organo sensibile. Era durato un attimo, il dolore gli aveva dato la spinta giusta per rigettare fuori tutta l'amarezza che gli si era bloccata in gola. Le mani prudevano per la voglia di colpire Taehyung, le parole spingevano contro la lingua per convincerlo a farle uscire.
Jimin aveva una voce e solo in quel momento sentiva il bisogno di farla uscire con quanta più forza possedesse.
Voleva gridare.

«mi sembra di avere difronte un estraneo. Non sei il mio Taehyung, non puoi essere il ragazzo che amo! Non puoi essere il ragazzo che ho incontrato per strada alle tre di mattina, non puoi essere quello per cui ho perso la testa, per cui ho perso tutto!
Ho messo la mia vita da parte, ho lasciato che tu diventassi il mio epicentro, ho lasciato a te le redini della mia vita e ogni singola emozione che potessi provare. Ti ho lasciato il mio cuore, cazzo!
Non riesco a crederci Taehyung, mi sento pugnalato alle spalle, sedotto e abbandonato per strada come un cane. Ho fatto il cane per te, per mesi interi, ho smesso di essere la persona forte e provocatoria che sono sempre stata, mi sono lasciato ammaestrare per poterti andare bene, ma questo è troppo.»

Velocemente si alzò e recuperó il telefono, cercando di allontanarsi in fretta da quello sconosciuto.
Non era nemmeno sicuro di cosa fosse successo, non riusciva a mettere in ordine le idee, non riusciva nemmeno a vedere le proprie mani tremare e la guancia rossa di Taehyung, non si era nemmeno accorto di averlo colpito in viso e di avergli gridato contro.
E nonostante tutto, nonostante lui gli avesse appena spezzato il cuore, si fermò un istante prima di lasciare il locale. Non una sola lettera uscì dalle sue labbra, ma in testa aveva ogni parola al posto giusto.
Non se lo meritava tutto quello.
Non meritava una persona incapace di riconoscere il suo valore, qualcuno che sente il bisogno di avere un'altra persona nella sua vita, facendolo sentire non abbastanza.
Jimin era abbastanza, e nessuno aveva il diritto di farlo sentire qualcosa in meno di ciò che è.

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