XLIV

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Un lieve rumore fu abbastanza per annunciarsi nella stanza, Taehyung era spesso silenzioso, e Jimin aveva imparato in fretta a riconoscere i suoni di quella casa.
Lo scricchiolio della porta lo fece rizzare sulla sedia, era rimasto seduto lì senza far nulla per almeno tre ore, solo e senza telefono. Almeno il suo compagno si era preoccupato di non spostare il libro che si era portato qualche giorno prima.
Si intitolava "lividi", era il suo libro preferito sin dai primi anni di adolescenza, e il fatto che lo avesse letto una decina di volte, ne era la dimostrazione. Raccontava di un ragazzo senza nulla, un prostituto, con un cliente un po' speciale. Un bibliotecario ebreo, un uomo tanto violento quanto premuroso.
Jimin ne andava matto, rimaneva perso difronte a quelle pagine leggermente ingiallite, sussultava ogni volta che Maurice, il bibliotecario, colpiva Charlie così forte da farlo rimbalzare sul pavimento. E poi, con la stessa foga, il minore gli si appendeva alle gambe e tentava di svestirlo, di averlo per sé.
Era capitato che si fosse eccitato, leggendo quel libro, nelle scene più spinte in cui il sesso diveniva brutale, animale, nelle scene in cui dei spilli attraversavano i capezzoli di Charlie, e quest'ultimo gemeva rabbioso e grato allo stesso tempo.
E si eccitava anche quando Maurice lo umiliava, quando parlava in lingue che Charlie non poteva conoscere, quando lo umiliava con la sua cultura, con nomi di filosofia e poemi che il minore non avrebbe mai ricordato.
Jimin trovava eccitazione nell'essere sottomesso, ma non era un gesto banale come quello di star sotto durante un rapporto, di essere lui a prendere e non a dare. La sottomissione che amava era su un altro livello.
Era mentale.
Era il regresso, la privazione della libertà, il sentirsi dipendente sotto il controllo del compagno.
Lo sapeva non fosse normale, non era molto difficile da capire, ma era chiaro a tutti quanto lui schifasse la sola idea di essere come gli altri. Quella sua tendenza al dolore, all'essere sovrastato dalle volontà degli altri, non sapeva quando fosse nata, quando si fosse sviluppata, ma con gli anni aveva imparato a ringraziare quella parte di sé.
Fin dall'infanzia i suoi genitori gli erano stati addosso, gli avevano imposto cosa fare, cosa indossare, come parlare, con chi uscire.
E lui lo odiava dannatamente tanto. Si ritrovava a piangere, a gridare, a lanciare tutto in aria per quella maledetta sensazione di impotenza.
Poi una mattina, come se il sonno avesse portato con sé la soluzione ai suoi problemi, aveva deciso di accettare quella situazione. Di esserne felice.
Giorno dopo giorno si era convinto che fosse la cosa migliore per sé, che non prendere decisioni era un bene, che se avessero sempre fatto tutto gli altri, lui non avrebbe sbagliato, perché non era colpa sua, era colpa loro.
Aveva iniziato a trarre beneficio da questo nuovo comportamento, era meno arrabbiato, meno stressato, aggressivo, iniziava ad essere consenziente a tutto. I suoi genitori lo amavano.
E così, come aveva precedentemente promesso a se stesso, era riuscito ad ottenere ciò che voleva, facendo ciò che gli altri volevano: era scappato da quella gabbia dorata.
Chanyeol si chiedeva sempre quale fosse il problema, infondo Jimin aveva dei genitori amorevoli, sempre presenti, soldi e vestiti a volontà. E secondo il suo modesto parere, qualche costrinzione in più, poteva essere accettata se la ricompensa erano soldi e facilitazioni.
Ma una gabbia di cristallo, è comunque una gabbia.

«Ho quasi finito il libro aspettandoti.»
Incalzò il minore, ancora seduto sulla sua sedia in legno. Taehyung era entrato nella stanza ma non aveva ancora spiccicato parola. Era tutto così strano, e lui non riusciva a capire cosa stesse passando nella testa del suo compagno.

«quante ore sono passate?»
Chiese allora, alzandosi in attesa di udire una risposta. Sì avvicinò al corpo teso dell'altro, indossava una maglia larga e dei pantaloni della tuta, quindi si era cambiato prima di scendere da lui. Scosse appena il capo a quei pensieri, ritrovandosi ad annuire contento subito dopo aver udito la risposta del maggiore.

«tre più o meno, è ora di pranzo, andiamo a cucinare.»
Il minore si ritrovò subito ad annuire, quasi come se le parole del corvino costituissero un ordine, ma in realtà ciò che lo aveva convinto era stato quel "andiamo". Loro due, insieme.
Non avrebbe lasciato che la discussione finisse lì, non era giusto nei suoi confronti, aveva tutto il diritto di sapere cosa avesse in testa il suo ragazzo. Soprattutto voleva mettere in ordine la sua di testa. Convivevano da cinque mesi, e sapeva avessero affrettato tutto, ma non immaginava sicuramente che di punto in bianco Taehyung avrebbe portato a casa un altro ragazzo, con la sola spiegazione del "devo lavorare".

«come sono venute le foto?»
Chiese con nonchalance, mentre a passo lento raggiungevano la cucina.
Taehyung alzò le spalle, non voltandosi verso di lui, come era solito fare.

«sono un bravo fotografo, no? Non importa il soggetto.»
Il minore annuì, consapevole che l'altro non potesse vederlo.
Diede un'occhiata intorno a sé, la cucina era in ordine esattamente come l'aveva lasciata, non c'era nemmeno una sedia fuori posto, né un bicchiere o un posacenere.

«perché non mi hai permesso di stare con te? Di solito non c'è alcun problema.»
Chiese pungente, aprendo il frigo subito dopo e dando un'occhiata a ciò che c'era dentro. Non aveva voglia di cucinare, ma Taehyung odiava i pasti pronti, quindi doveva trovare un compromesso.
Quasi come se avesse capito, il maggiore comparve alle sue spalle e chiuse l'anta bianca, mettendo fine a quei ragionamenti interminabili che Jimin aveva preso a fare. Era sempre stato così, si perdeva in pensieri e pensieri, partiva dalla pizza e finiva al riscaldamento globale. A volte si prendeva in giro da solo, altre era Chanyeol a ridere di lui.

«Non cucinare, ho cambiato idea, andiamo a mangiare qualcosa fuori?»
Sorrise nel proporre quell'appuntamento improvvisato, e jimin non poté che sorridere con lui. Non aveva ricevuto risposta, ancora una volta, ma in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri.
Probabilmente voleva scusarsi per l'atteggiamento avuto quella mattina, e a lui andava più che bene, non uscivano insieme da un bel po' di tempo, e l'idea lo elettrizzava quasi come la prima volta.

Mezz'ora dopo, vestiti come chi è reduce da una gita in campagna, si ritrovarono in un piccolo locale. Era molto carino per i gusti di Taehyung, semplice e dai colori tenui, il contrario di ciò a cui era abituato jimin. Ad ogni modo non sembrava importargli, in quel locale jimin vedeva solo la sua anima gemella, quel ragazzo che in pochi mesi gli aveva stravolto la vita, radendo al suolo tutto ciò che c'era prima, costruendo tutto daccapo.
Nolente o dolente, Taehyung aveva cambiato la sua vita, aveva cambiato ogni cosa, e in tutte quelle novità, jimin non sapeva più dove fosse finito il vero sé.

TAKE IT OFFWhere stories live. Discover now