XXV

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Foto, dipinti, foto, mobili vecchi, un letto senza branda, foto e un piccolo tavolo.
Casa di Taehyung era riassumibile in questo, e Jimin non si stupì nell'aver immaginato qualcosa di molto simile poco tempo prima.
Ricordava ancora quando aveva immaginato il loro primo appuntamento, aveva optato per qualcosa di semplice come una serata a casa, sul divano a vedere un film o magari una cenetta improvvisata, qualcosa all'ultimo momento, magari una pizza in giardino.
Aveva fantasticato su quel fantomatico appuntamento per davvero tanto tempo, forse troppo, e alla fine era arrivato alla conclusione che non sarebbe mai andata così, che a prescindere da qualsiasi cosa avessero fatto, l'esito della serata sarebbe stato sempre lo stesso.
Non gli sarebbe piaciuto. Non sarebbe piaciuto né lui, né a Taehyung.
Jimin era sicuro di questo, sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza per Taehyung, non abbastanza bello, leale, innocente, artistico.
Jimin non aveva nulla di raffinato, non studiava decentemente dai tempi delle medie, non leggeva libri e non si interessava al mondo, alla cultura occidentale, non ampliava i propri orizzonti e nemmeno gli interessava farlo, non fino a quando il pensiero del castano non gli si piantava in mente.
Taehyung lo spingeva a dare il meglio di sé, sembrava dargli una spinta verso l'alto. Lo aveva fatto con art.com, ispirandolo a tal punto da chiedersi se anche lui avesse qualcosa da offrire, se in qualche modo avesse potuto buttar fuori almeno in parte ciò che provava. Aveva capito che era lui stesso il mezzo per stare bene, era il suo corpo ad appagarlo, a renderlo felice, soddisfatto, a fargli sentire le gambe stanche dopo un allenamento ma dannatamente forti giorno dopo giorno. Era la sua sensualità, quelle curve vagamente femminili, il viso angelico. Era il suo corpo, ciò che poteva offrire.
Ma Taehyung non era solo quello, non era solo art.com. Non era un sito, qualcosa di intangibile, era concreto, pesante, come una pietra posata sul cuore.

«vuoi qualcosa?»
Chiese a bassa voce il maggiore, posando lo sguardo sul biondo, completamente assorto nell'osservare alcune foto.
Si era fermato difronte ad una delle cornici più grandi della casa, si trovava difronte al divano, accanto alla porta principale.
La cornice chiara valorizzava la figura nuda di un ragazzo, che oltre il sottile vetro, sembrava prendere vita se osservato con attenzione.

«chi è?»
Jimin chiese incuriosito, voltandosi verso il castano.
Nella foto c'era qualcosa che non riusciva a riconoscere, quella schiena nuda gli dava l'impressione di esser già stata sotto il suo sguardo.
I fianchi magri, la pelle diafana in contrasto con il blu scuro del mare, che faceva da sfondo in quella fotografia.

Quell'estate anche lui aveva fatto il bagno nudo.
Era andato con Chanyeol una tarda mattinata, avevano fatto un paio di nuotate rimanendo comunque dove lui potesse toccare, poi qualche oretta ad abbronzarsi perchè "sembri un cadavere" era diventato il nuovo insulto preferito di Chanyeol.
Avevano poi fatto qualche partita a palla per far felice il gigante, e una volta asciutti e rivestiti, il maggiore dei due era dovuto andare via, richiamato dal suo fidanzato eternamente bisognoso di attenzioni.

Lui invece era rimasto seduto in spiaggia per parecchio tempo, fissando il mare e rabbrividendo ogni secondo per il vento che sembrava volerlo trascinare via, nonostante fosse piena estate.
La consapevolezza sembrava essere calda, liquida, la sentiva diffondersi ovunque, nuotare e scorrere nelle sue vene.
Il respiro si fa più pesante mentre gli occhi si sgranano, si era già sentito così; come uno stupido.

«sono io, questo sono io»
sussurrò con voce strozzata, allontanandosi velocemente dal corpo del maggiore, troppo spaventato dalla realizzazione che lo aveva appena colpito in viso con forza.

Le ennesime domande andarono ad aggiungersi alle precedenti, una sotto l'altra nella lista delle cose che non avrebbe mai saputo.
Perché Taehyung aveva una sua foto nel salotto? Perché lo aveva fotografato ancora senza il suo consenso, di notte, senza farsi vedere nè sentire?
La paura si fece velocemente spazio nel suo petto, non sapeva nemmeno chi avesse davero davanti, non conosceva sul serio Taehyung, e quando riusciva a ragionare a mente lucida, tutto ciò lo sconvolgeva. Perché nonostante tutto lui era ancora lì, perché non lo aveva lasciato andare dopo la foto al parco, dopo la sera al pub, continuava a restare dopo aver capito che qualcosa effettivamente non andasse.
Non riusciva a ragionare, come se non sapesse come comportarsi: la ragione gli diceva di andare via, di non rimanere a casa da solo con un ragazzo dannatamente strano.

Il castano sembrava conoscerlo più di quanto pensasse, e questo lo confondeva ancora di più, aveva avuto la prova che in quei anni lui non era stato solo un fan fra tanti, un utente, un profilo. Era stato Jimin, il Park Jimin che frequentava la sua stessa scuola e che per molto tempo era rimasto convinto di non rappresentare nulla per lui.
E se la testa gli gridava di andare via, il cuore sussurrava di stare calmo, perché era solamente Taehyung.

Non gli avrebbe mai fatto nulla di male, poteva rilassarsi, stendersi sul divano e aspettare la prossima mossa del maggiore.
Non sapeva cosa pensare, non ragionava lucidamente accanto a lui, e probabilmente avrebbe dovuto essere quello a spaventarlo maggiormente.

«Sí, umh, mi piaceva molto la scena.»
Taehyung per la prima volta non sembrava sicuro di sé, anzi, aveva impiegato più tempo del previsto per rispondere. E la scelta delle parole usate, Jimin lo sapeva, stava mentendo.
Sospirò scuotendo il capo lentamente, aveva bisogno di sedersi, di lasciare che la serata passasse. Così, ancora una volta, accantonò la ragione dietro il divano su cui si era comodamente seduto.

«Non importa. Mi fai compagnia?»
Chiese poi con un piccolo sorriso, battendo la mano sul cuscino del divano. Il maggiore annuì, avvisandolo che sarebbe andato a prendere prima due birre dal frigo.
Jimin non voleva alcuna birra, ma supponeva, per un motivo o per un altro, che non sarebbe importato a nessuno.

«É difficile immaginare cosa ci sia nella tua testolina.»
Esordí ad un certo punto Taehyung, dopo esser tornato dalla cucina e aver porto a Jimin la propria birra.
Seduti vicini, nonostante il grande spazio libero, potevano sentire l'uno il calore dell'altro. I loro corpi sembravano chiamarsi, lo sentivano entrambi, era un richiamo all'appartenersi.

«Qualsiasi altra persona adesso sarebbe fuori da quella porta -proseguí con tono basso, lasciando che la mano posata sul ginocchio, iniziasse a salire sempre più-
E tu invece sei ancora qui.»
La stanza sembrava aver cominciato a girare, il cuore gli batteva all'impazzata e l'unica cosa che sentiva era il calore della sua mano, sempre più vicina, troppo.

«Tee-»
Il minore posò la mano sulla sua, provando ad arrestare quella marcia perversa sul suo corpo. Taehyung si irrigidì, inclinó il capo e lasciò che i propri occhi parlassero al posto suo.
Un calore immenso sembrava aver preso posto nel suo basso ventre, jimin era letteralmente andato perso nella sua stessa testa, e così, per la prima di tante altre volte, portò le proprie braccia dietro la schiena.

«Cosí Jiminie, bravo.»
E quello era il sorriso del diavolo.

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