XLVII

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«e ti hanno pagato il caffè?»
Rise jimin, a metà fra il sorpreso e l'intenerito. Gli veniva da ridere a pensare ad un Jooheon spaesato che porge al cassiere 7.000 won per un caffè molto, molto ristretto. A quanto pare in Italia non erano soliti bere bicchieroni di caffeina con quantità industriale di ghiaccio.

«Sì, mi avranno visto impacciato e spaesato, non è stata una mossa intelligente scegliere l'Italia come paese per le vacanze. O almeno non quando l'unica lingua che so, altre il coreano, è l'inglese.»
Ribattè sorridente Jooheon.
Vedere jimin ridere, circondato da alberi e fiori, era una visione così celestiale che a momenti pensava di poter alzarsi in piedi a ballare un inno alla terra.
Il loro appuntamento stava andando a gonfie vele, e nonostante avesse saputo della sua recente rottura, non aveva accennato nemmeno una volta all'accaduto. Non voleva metterlo a disagio, e poi si stavano divertendo, fra i panini super imbottiti che aveva portato il minore, e il parco che avevano scelto per il picnic, non c'era stato nemmeno un momento di silenzio.
Non erano sconosciuti, Jimin non dimenticava i loro incontri occasionali, il modo in cui il maggiore si apprestava ad accarezzarlo una volta finito il tutto.
Jooheon lo aveva sempre corteggiato, riempito d'attenzione, ma lui era troppo preso a pensare a qualcun altro.
Non vedeva quel ragazzo come un potenziale compagno per sé, lui era più la scopata occasionale, il sabato sera libero da riempire con qualcosa. In realtà c'era di più, perché la sua compagnia lo rendeva felice, riusciva a mettere in ordine i suoi pensieri e a schiarire le immagini del passato che prepotentemente lo assillavano di notte.
Era difficile distinguere i contorni del loro rapporto, non stavano insieme ma era come se lo fossero, e d'altra parte non sentivano nemmeno il bisogno di metter un'etichetta al loro rapporto. Ne avevano parlato, Joo aveva sorriso e senza pensarci due volte lo aveva rassicurato. Non c'era alcun bisogno di dare un nome a quel rapporto, perché ciò che avevano era abbastanza.
Jooheon aveva un modo di fare che lo colpiva inevitabilmente, lo metteva a suo agio e parlava di ogni cosa, non si fermava difronte ad un argomento tabù e non aveva timore nell'esprimere la propria opinione, pur essendo consapevole di poter ferire la sensibilità di qualcuno. Ricordava una volta in particolare, erano nel solito pub in cui lavorava Jooheon, erano seduti sui divanetti alla fine del turno del barista, e l'argomento in questione erano le persone, più nello specifico, la loro poco resilienza.
Joo era infastidito dall'atteggiamento di alcune persone, dal modo in cui affrontano le difficoltà, dall'incapacità di rialzarsi e fronteggiare tutto il male che durante gli anni ci viene buttato addosso.
Preso dalla rabbia aveva catalogato quel genere di persone come "deboli", dovendo poi fare un passo indietro per via dell'espressione corruciata di Jimin.
Non capiva come quella potesse essere un'offesa, infondo era la pura verità.
Cadi e non ti rialzi, piangi e ti fermi a terra, gridando contro chiunque quanto ti sia fatto male. Perché non alzarsi da terra e continuare?
Forse non ne sei in grado, forse non sei abbastanza forte per farlo, ma se non chiedi aiuto per paura di apparire debole, forse è perché lo sei. Avrebbe voluto continuare a biasimarlo, a rimproverarlo per via della mancanza di empatia, ma poi si era chiesto: perché?
Jooheon amava le persone, ne aveva rispetto, e non si era mai voltato dall'altra parte quando qualcuno era stato male difronte ai suo occhi. Non c'era alcun bisogno di puntargli il dito contro, perché alla fine era consapevole che quel suo pensiero non avrebbe coinvolto il suo modo di approcciarsi.
Infondo anche lui la pensava così, e non era il caso di vestirsi d'ipocrisia proprio nel momento in cui stava cercando di lasciar cadere ogni maschera.

«mi piacerebbe partire, prima o poi.»
Esordì poi il minore, dopo qualche attimo di silenzio.

«dove vorresti andare?»
Il telo si stropicció sotto le gambe del corvino, mentre si sporgeva verso jimin. Gli riservava la sua piena attenzione, sentirlo parlare era quasi come ricevere un assegno dal cielo. Jimin amava anche quello di Jooheon: in una stanza piena di persone, con mille voci a giungergli alle orecchie, lui si sarebbe sempre voltato nella sua direzione.

«In Spagna. Non so ancora dove, non ci ho mai pensato sul serio, ma so che mi piacerebbe andare in un posto semplice, povero, un paese non ancora emancipato. Senza fabbriche, grandi magazzini, autostrada né file di auto in parcheggi sconfinati. Vorrei andare in Spagna per vederne la parte che tutti ignorano, sai, povertà e vita di strada.»
Parlava con il viso rivolto al cielo chiaro, nessun accenno di sorriso sul volto, ma comunque l'espressione serena rimasta immutata.
Jooheon ascoltava assorto, fossette in bella vista e il busto propenso verso quella creatura magica che per grazia di dio aveva la fortuna di poter osservare da vicino.

«sei indescrivibile, park jimin.»
Il minore sorrise, rubandogli un bacio a fior di labbra subito dopo.
Quel bacio sapeva di accomodamento, serenità, stabilità.

«non mi piacciono i baci di Giuda, lo sai!»
Ridacchiò il maggiore, cercando di prendere l'argomento con le pinze. Non voleva catapultare Jimin in un discorso pesante, e aveva imparato che con lui le cose importanti andavano trattate come se non lo fossero.
Jimin era stato trattato così, si era abituato ad essere trattato come un semplice ragazzo sottomesso alle azioni degli altri, ma lui non era così.
Jimin era tanto, così tanto che a volte capire come maneggiarlo portava all'autodistruzione.

«Un giorno lo penserai anche tu.»
Si limitò a dire, accarezzandogli dolcemente i capelli. Il minore d'altro canto rimase immobile sotto le sue carezze, annuendo poco dopo.

«Mi basta guardarmi riflesso nei tuoi occhi.»
E non c'era bisogno di altre parole.

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