Chapter 4

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Older, Sasha Sloan.

"Tu... no Nat, tu... voi mi avete preso per una debole, è questo su cui vi sbagliate di grosso. - le feci notare - Sono orfana, ho stretto il mio unico amore mentre mi moriva tra le braccia, ho avuto una sola amica femmina che è morta pure lei, il mio migliore amico d'infanzia è morto e l'ho saputo solo l'anno dopo.
Ho ventidue anni, ho visto morire tutte le persone a cui tenevo, non sono debole!" urlai allora.

Le lacrime mi erano salite agli occhi: che fossero di dolore o di rabbia non lo sapevo nemmeno io.

"Posso sopportare la notizia del cambiamento di Clint, Nat, non sono più una bambina, anche se voi vi ostinate a trattarmi come tale. Mi volete proteggere, ma da cosa? Non ho bisogno di protezione!"

Mi dispiaceva essermi scagliata contro Natasha, perché era quella che aveva meno colpa di tutti e anche colei che stava soffrendo più di tutti.
Era la persona più sbagliata con cui potessi discutere.

"Scusa, Nat. - sussurrai allora, lasciandomi cadere sulla sedia di fronte a lei, senza alzare lo sguardo - Mi si è fuso il cervello."

Poggiai le mani sulla scrivania, respirando profondamente per non scoppiare a piangere.
Sentii una mano sulla mia. Alzando gli occhi, vidi Natasha che si era sporta per prendermi la mano.
Non era un gesto da Natasha Romanoff, o almeno non dalla Natasha di cinque anni fa.
Era decisamente un gesto da Natasha Romanoff del presente, di quella che ha sofferto e ora cerca di ripartire.

"Lo capisco, Grace. Non serve che tu me lo dica. E scusa, a nome di tutti, per non avertelo detto prima. Hai ragione ti avevamo sottovalutata. Non succederà più. Dobbiamo rimanere uniti ora, anche perché non abbiamo molte opzioni." disse.

Le rivolsi un sorriso, che lei ricambiò sinceramente, e solo allora tutta la rabbia provata in precedenza, che improvvisamente consideravo inutile, si dissolse.

Quelle persone mi avevano ospitata, presa sotto la loro ala per proteggermi e aiutarmi a diventare quello che i miei poteri si aspettavano che fossi: un'eroina. Colei che avrebbe potuto salvare il mondo quando ce ne sarebbe stato bisogno.

"Come mai già di ritorno?"

Natasha mi strappò dai miei pensieri, ritornando a parlare di un argomento molto attuale.
In effetti, non le avevo detto come mai fossi già a casa.

"Sinceramente? - sospirai, alzandomi in piedi. Quando spiegavo certi argomenti, non riuscivo a stare ferma: dovevo camminare, muovermi, fare qualcosa - L'ho scaricato. Gli ho detto che non provavo nulla e gli ho detto tutta la verità: chi sono, cosa sono, a chi apparteneva il mio cuore... si è rivelato un ottimo ascoltatore."

"Quindi? Che farà lui?"

"Mi ha detto che se avrò bisogno lui ci sarà, ma che cercherà di lasciarmi perdere, perché lui era davvero innamorato di me. Mi è dispiaciuto dirgli la verità, ma a volte la menzogna è peggio. Non potevo più vederlo e sapere di starlo solamente deludendo."

Natasha annuì.
"Già. Al cuore non si comanda." sussurrò.

Non l'avrei mai detto, ma in fondo dire la verità della mia posizione a Christopher si era rivelato più difficile del previsto.
Credevo quindi che il peggio fosse passato.

Invece mi sbagliavo.

Non avevo fatto i conti con Steven Grant Rogers.

Proprio in quel momento infatti si spalancò la porta.
Lo sguardo di Steve era di ghiaccio proprio come lo era stato lui stesso per settant'anni.

"Se ho ben capito, lo hai scaricato." esordì, arrivando davanti alla scrivania alla quale stava seduta Natasha e io in piedi accanto a lei.

Incrociò le braccia muscolose al petto, rivolgendosi a me.

"Gli ho semplicemente detto la verità. Non si può vivere di menzogne." risposi.

"Devi dimenticare la vita di cinque anni fa, non l'hai ancora capito? Peter Parker non tornerà, devi andare avanti!" replicò Steve.

Era forse la prima volta che lo sentivo discutere così, ad alta voce, senza sentir ragione.
Mi ritrovai gli occhi pieni di lacrime, ancora.
Se prima mi ero sentita persa e priva di fiducia da parte degli Avengers, in quel momento mi sentii delusa.

Sapevo, dentro di me, che forse Peter non sarebbe davvero tornato indietro, ma sentirmelo dire così da Steve, il solito paziente che in quel momento era una furia, mi aveva distrutta.

Natasha, dal canto suo, osservava la scena senza intervenire. Poteva davvero esprimere la sua opinione? Non sapeva nemmeno prendere posizione ai quesiti nella sua testa, a rispondere ai suoi dubbi, figurarsi se poteva interferire in un'accesa discussione tra noi due.
Con me ci aveva già discusso, aveva appena finito.
E le era bastato.

"Smettila, non è vero! Perchè tu non vai avanti come dici di fare a me? Per me sono cinque anni, per te sono settanta! Cosa stai aspettando?"

Sapevo di averlo colpito.
Non volevo fargli del male, davvero, e sapevo che nemmeno lui voleva farne a me, ma ultimamente eravamo sempre in contrasto, e lui non voleva capire che l'amore della propria vita non si dimentica.
Che poi, forse, non era la stessa cosa che stava facendo lui? Non aveva più dimenticato quella Peggy di cui non parlava quasi mai.

"Non rivolgerti così a me, hai capito? - mi riprese il biondo. Sospirai, rivolgendo lo sguardo altrove - Non capisco il motivo per cui tu non mi sia riconoscente. Avevo trovato quel ragazzo per farti svagare un po'. Sto cercando di farti avere una vita normale!"

Tornai a guardarlo negli occhi, azzurri come il cielo, che però da cinque anni non era più così sereno.
Era cupo, scuro e, in quel particolare caso, minaccioso.

"Non voglio una vita normale! Volevo una vita con Peter, ma non posso averla. Non potrò mai averla."

"Esatto. - osservò Steve - Dovrai davvero fartene una ragione. Mi dispiace ammetterlo, ma è così."

Il tono con cui disse quelle parole non ammetteva repliche, e lasciava capire che, per lui, il discorso poteva considerarsi chiuso.
Ma no, per me non lo era, avevo ancora un miliardo di cose da dire.

Aprii la bocca per rovesciare tutto quel che avevo da esternare, ma fui fermata dal suono del campanello.

Richiusi la bocca e guardai gli altri due.
"Esiste ancora qualcuno che suona al nostro campanello?" feci perplessa.

Natasha fece scorrere il dito sullo schermo computerizzato apparso davanti a lei, che mostrava la ripresa dei fatti fuori dalla porta tramite una telecamera.

Davanti alla porta, un uomo si sbracciava fissando nella telecamera. Strizzai gli occhi per distiguerlo: chi diavolo era?

𝐀𝐕𝐄𝐍𝐆𝐄𝐑𝐒: 𝐋𝐚𝐬𝐭 𝐖𝐚𝐫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora