▪︎Epilogue

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Lucky Ones, Lana Del Rey.

Qualche tempo dopo

Da quando mi ero trasferita da Clint, la mia vita era cambiata radicalmente: in qualche modo mi sentivo finalmente a casa.
Non che prima non lo fossi, con zia Amélie, ma ora trovavo quella tranquillità e quel senso di appartenenza ad un luogo che forse non avevo mai provato prima.

Per qualche tempo non ci furono battaglie, scontri o altre cose simili, altri 'compiti da supereroi', come li avrebbe chiamati Tony.
Mi mancava terribilmente, e mancava anche a Peter. Non sopportavo di vederlo così triste, ma per quanto riguardava quell'argomento, cercavamo di evitarlo il più possibile.
Quelli che ci conoscevano lo evitavano il più possibile.

Poi arrivarono i sogni.
Quei sogni che non sapevo dire se fossero premonitori, se fossero parte del mio passato oppure se fossero sogni e basta; non ne avevo la più pallida idea e non pensavo che ci fosse qualcuno che avrebbe potuto scoprirlo.
Sapevo che era tutto legato con la mia capatina all'interno della gemma del tempo, di questo ne ero certa, e ancora non capivo come avessi fatto a sopravvivere.
La dinamica era chiara, cosa era accaduto, ma il come... continuava ad essere un'incognita, un mistero, che forse sarebbe rimasto irrisolto fino alla fine dei miei giorni.

Giorni che, nel frattempo, passavo ad andare a trovare Steve e Peggy: abitavano nel Queens, forse era stato Peter a consigliarglielo. Dopotutto, è una zona piuttosto calma, e forse in quel posto avrebbero trovato la tranquillità di cui avevano bisogno lui e Peggy.

Non molto distante da casa loro, sempre all'interno dello stesso isolato, aveva preso casa anche Wanda. Mi ero legata a lei ancor di più, lo ero già, ma stavamo riacquistando tutto il tempo perso.

Viveva sola, ancora col pensiero rivolto a Visione, e non potevo certo biasimarla: io avevo passato cinque anni a sperare che il mio ragazzo tornasse indietro, quindi potevo capire appieno la sua condizione.
Diceva di non volere nessun altro se non lei, in quella casa, e ospiti: non avrebbe avuto un marito, ne era fortemente convinta, perchè sarebbe stato un affronto a Visione. Avevano capito che, tra loro, avrebbe potuto funzionare, me l'aveva raccontato in una delle volte in cui ero andata a casa sua. Mi aveva narrato di come, dopo momenti rubati, baci rubati, si fossero accorti che potevano davvero tentare.

La loro storia era senza dubbio triste e tragica.
Non che quella di me e Peter non lo fosse, sia chiaro, però ora io e lui eravamo insieme. Visione e Wanda no.

Un'altra novità era quella di Rhodey.
Si era ritirato dal ruolo di vice cancelliere, o colonnello, o quel diavolo che fosse... non l'avevo mai capito!
Come Happy, passava il tempo andando spesso alla capanna degli Stark per andare a trovare Pepper e Morgan.

Entrambi volevano farle sentire meno sole.
Tutti volevamo il meglio per loro, eppure era capitato loro il peggio.
Nessuno riusciva a convinvere con l'idea che Iron-Man non sarebbe più tornato.

Avevano costruito un monumento in onore di Tony vicino a dove sorgeva la vecchia base degli Avengers, quella che era crollata durante la battaglia contro Thanos.
Sotto la pietra del monumento giaceva il suo corpo e la sua anima altruista, oltre che il suo ancora grande ego.

Al di là di questo, Nick Fury aveva detto che stavano ricostruendo un altra base, non sapevo dire dove perché... beh, si sa, Nick Fury non dice mai niente.
Quella fu l'unica volta che lo sentii da dopo la morte di Tony, poi non si fece più vivo: non avevo idea di che cosa stesse facendo, di dove fosse, se ci fossero altre minacce in giro.
Ma per quello che mi interessava, andava bene così.

Andavo da Peter tutti i giorni, andavo a trovare zia Amélie per farla sentire meno sola, andavo a portare il pane a Steve e Peggy non perché ne avessero bisogno, certo, ma solo per il piacere di vederli; poi, andavo da Wanda a portarle le riviste di moda.

In più, stavo facendo pratica con la macchina di Clint, ma lui non voleva mai lasciarmela... aveva paura che gliela rigassi. L'ho presa un po' sul personale all'inizio, poi ho iniziato a farci l'abitudine.

Infine, io e Peter andavamo spesso da Pepper e Morgan.
Portavamo fuori la piccola, la portavamo a mangiare un gelato e Pepper era sempre molto gentile con noi, forse perché cercavamo di far vivere a sua figlia una vita normale, come ogni bambino avrebbe meritato.
E dopo il gelato o la passeggiata al parco, andavamo sempre e comunque al monumento di Tony Stark e facevamo il mostro minuto di silenzio.

C'erano sempre un sacco di disegni, gagliardetti, sciarpe, fiori... qualsiasi cosa per farci ricordare che Tony era ancora con noi, anche se da lassù.
Aveva fatto cose tremende all'inizio, sì, ma alla fine si era sacrificato per tutti e ci guardava dal cielo, non di certo da sottoterra.

Ogni volta Morgan domandava perché suo padre era morto: volevo sapere tutta la storia.
Ogni volta che andavamo davanti al monumento, tra l'altro, non c'era mai nessuno. Eravamo sempre soli, il che mi faceva venire alla mente in modo nitido quei momenti in cui aveva schioccato le dita, in cui era morto davanti a me, in cui avevo visto la vita abbandonare i suoi occhi e la speranza abbandonare quelli di Peter.
E, probabilmente, anche i miei.

Nel frattempo mi ero nuovamente iscritta a scuola.
Era un modo di dire, in effetti.
Dopotutto non era proprio una scuola: le lezioni erano ricominciate ma erano quasi tutti incentrate su quello che era successo.
Tutti volevano sapere la verità ma nessuno aveva il coraggio di dirla, forse perché nessuno la sapeva veramente.

Io ero costantemente bombardata di domande, anche perchè tutti sapevano chi fossi. A Peter non chiedevano mai niente per il semplice fatto che nessuno sapesse che lui fosse Spider-Man.
Il ragazzo cercava sempre di liquidare le domande, dicendo che era stata una cosa traumatica per me e non era certo il caso che mi disturbassero con tutte quelle domande impertinenti.

In fondo lo sapevo che era stata molto più dura per lui che per me. Io avevo conosciuto Tony, una delle parti migliori della sua anima, ma Peter... Peter l'aveva conosciuto meglio, lo conosceva da più tempo e lo considerava un padre. Non potevo biasimarlo per sentirsi così.

Al di là di tutte queste chiacchiere inutili con cui vi ho bombardato, c'è da sapere che a noi della Midtown è toccato ripetere tutta la sessione di esami: questa è la parte negativa.

Ma poi c'è un'altra parte, stranamente positiva: Europa.

Sì, una gita, una buona idea per staccare da tutto quel che era successo, per prendersi una pausa e per ricominciare una vita, forse migliore di quella di prima.

Nate, Cooper e Layla, i figli di Clint, non erano molto entusiasti all'idea che io andassi via: mi avevano preso molto in simpatia devo dire, non seppi dire se come sorella o come baby-sitter.

Loro non la presero molto bene, ma Clint concordò con me dicendo che sarebbe meglio farmi andare, sarebbe stato un buon modo per ricominciare daccapo. Gliene ero grata, gli ero grata di un sacco di cose.

Anche perché, in realtà, lui non sapeva che io avevo già ricominciato.
Avevo ricominciato dal momento in cui ero andata a vivere in casa loro, dal momento in cui lui aveva deciso che io sarei stata sua figlia.

Lì era cambiato tutto.
Lì era cambiata la mia vita.
Sono sempre stata Grace Edwards.
Ora sono Grace Barton.

𝐀𝐕𝐄𝐍𝐆𝐄𝐑𝐒: 𝐋𝐚𝐬𝐭 𝐖𝐚𝐫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora