Chapter 34

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Apocalypse, Cigarettes After Sex.

Mi svegliai in un letto non mio, con la mano stretta a quella di qualcun altro.
Voltai leggermente il capo e vidi Peter addormentato sulla sedia affianco al letto, la sua mano a contatto con la mia.
Sorrisi e gli accarezzai la mano. Solo allora si mosse e aprì gli occhi.

"Ehi. - esordì sorridendo nella tristezza - Ci hai fatti preoccupare tantissimo."

"Che è successo?" chiesi.

"Hai perso i sensi. Strange ha detto che avevi perso troppo sangue e che ti ha fatto infezione la ferita. - spiegò - Hai rischiato uno shock settico."

"E dove siamo ora?"

"A casa Stark. Domattina ci sono i funerali."

Mi limitai a sospirare. Per un momento avevo quasi sperato che la morte di Tony fosse solo il frutto di un lungo sogno che avevo fatto in tutto quel tempo che avevo dormito.

"Per quanto ho dormito?" domandai.

"Un giorno intero. Ieri, una volta che sei praticamente svenuta tra le braccia del signor Barton, sei stata portata qui urgentemente. Bruce e Strange sono rimasti chiusi qui dentro fino a notte fonda: ti hanno operato, hanno tipo asportato l'infezione, fermato l'emorragia che ti ha fatto rischiare grosso e poi hanno ricucito la ferita."

Sbuffai.
"Che ore sono?"

"È ora che tu mangi. - rispose lui premurosamente - Per cena Wanda ha fatto delle bistecche. Vuoi che te ne porti una?"

"Se proprio insisti... - mi rassegnai. Il ragazzo si alzò, poi però lo richiamai - Pete. È... è morto anche Kevin."

Lui annuì.
"Lo so. Mi dispiace. Il suo funerale sarà domani insieme a quello di Tony."

Sentii gli occhi inumidirsi.
"Nat, Kevin, Tony... Vi abbiamo riportati qui, ma quanto è costato?"

Peter si avvicinò di nuovo al letto e mi posò una mano sulla guancia. Io voltai leggermente il capo per poterne baciare il palmo.

"Basta rimpianti. Dobbiamo andare avanti, ti prego. Ora sei qui con me e io ho bisogno che mi aiuti. Che ci aiutiamo. Lo dobbiamo al signor Stark. - disse - È stato il suo unico desiderio in punto di morte."

Io annuì.
Peter si abbassò e mi baciò la fronte.
"Vado a prenderti il cibo." si congedò, prima di uscire dalla stanza.

Cercai di mettermi seduta, ma faticai a causa della ferita.
Decidi quindi di restare ferma e lanciai uno sguardo fuori dalla finestra: vedevo l'erbetta verde del giardino attorno a casa Stark. Il solo pensarlo, quel cognome mi dava i brividi.

Peter rientrò con un piatto, che poggiò sul comodino vicino al letto.
"Puoi aiutarmi ad... alzarmi?" gli chiesi facendo una smorfia, a causa del tentativo, ovviamente fallito, di rimettermi seduta senza bisogno di aiuto.

Il ragazzo mi circondò la vita con le braccia, appena sopra la ferita, e mi aiutò a sollevarmi. Con un po' di sofferenza riuscii a sedermi e ad afferrare il piatto.

"Grazie." mormorai, mangiando qualche pezzo di carne, che poi alla fine lasciai a metà.
Non avevo fame, e gli eventi da poco accaduti mi toglievano definitivamente ogni traccia di voglia di mangiare che mi era rimasta.

"Oh, a proposito. - parlò Peter - So che non potremo essere felici quest'oggi, ma qui fuori c'è qualcuno che vuole vederti."

Aggrottai le sopracciglia.
"Beh, se vuoi fallo entrare."

E fu quando la porta si aprì e rivelò la sua figura che restai di sasso. Nel dolore, nella sofferenza e nella tristezza di come si erano sviluppati gli eventi, riuscii a sorridere.

"Theo!"

Nonostante fosse cresciuto di cinque anni, il ragazzo sulla porta era sempre lo stesso: i suoi occhi verdi che da sempre mi donavano sicurezza, i capelli castano chiaro che sparavano da tutte le parti e quel buffo sorriso che ci rivolgevamo da anni.
Il mio migliore amico era tornato, e nonostante tutto la felicità prese il sopravvento su di me. Scoppiai a ridere senza nemmeno sapere il perchè, e in breve tempo mi ritrovai a stringerlo tra le braccia.

"Quanto mi sei mancato." sussurrai contro la sua spalla, sentendo le sue labbra vicino alla mia guancia curvarsi in un sorriso.

Si allontanò da me e restò in pied accanto al letto.
Fece un cenno verso il mio fianco.
"Dopo aver salvato il mondo volevi davvero passare all'altro mondo per un piccolo taglietto? - domandò, e dopo cinque anni ricominciai ad amare il suo pessimo black humor - Come va?"

"Pulsa un po', ma non sanguina. Ed è ciò che conta." risposi.

Theo sembrò ricordarsi poi di una cosa, quindi si accovacciò al fianco del letto, scuro in volto.
"Mi sono materializzato esattamente nello stesso punto in cui mi ero polverizzato, non due centimetri più in là. - iniziò, alzando il capo per guardarmi negli occhi - Perciò, ero in casa vostra, di tua zia e di tuo cugino quando sono tornato. Erano straniti, e potevo comprenderli benissimo. Dopo due minuti è arrivata la tua chiamata... e ho capito che tutto era tornato come prima. Kevin ha lasciato giù il telefono e ha ignorato le parole di Amélie che gli dicevano di stare lì, che là fuori non era sicuro perché si vedeva benissimo anche a molti isolati di distanza che c'era una nave spaziale che incombeva su New York. Kevin era già fuori dalla porta, quando è tornato indietro e mi è venuto appresso. Mi ha detto che quando sarebbe tornato indietro con te avremmo fatto una sfida: mi ha messo un mano una freccetta e mi ha detto 'nel frattempo esercitati, che dopo così tanto tempo sarai parecchio arrugginito'. Io, ecco... - Theo mise la mano in tasca e tirò fuori la freccetta. Gli occhi mi diventarono lucidi - So che sembra una cosa stupida, che non ha nessun significato per te, ma per me... beh, è l'ultima cosa che mi ha detto, le ultime parole che mi ha rivolto. Ma tu ne hai più bisogno di me. Questa devi averla tu."

Lo guardai negli occhi, e vidi che anche nei suoi le lacrime facevano capolino.
Presi in mano la freccetta e me la rigirai nella mano, poi lanciai uno sguardo a Peter, che aveva ascoltato tutto senza fiatare, lasciandomi il tempo di cui necessitavo insieme al mio migliore amico, insieme a mio fratello.

"Posso vederlo?" mormorai.

Lui annuì.
"Vieni, ti do una mano."

I due ragazzi mi aiutarono ad alzarmi e piano piano camminai fuori dalla stanza, terrorizzata all'idea che la ferita potesse riaprirsi.
Scesi le scale e giunsi nel salone. Un po' di persone parlavano sottovoce, singhiozzavano o semplicemente fissavano una bara al centro della stanza.
Tony, indubbiamente.

Strinsi le labbra e mi sforzai di non pensare a lui.
Avrei fatto visita a lui solo quando non fosse rimasto più nessuno, se non Peter.
Vidi alcuni voltarsi verso di me, e tra tutti individuai Steve. Capii che non voleva tempestarmi di domande sulla mia salute, sapendo che avrei risposto a fatica, e lo ringraziai con lo sguardo.

"Dov'è?" domandai.

Peter e Theo mi fecero strada, e raggiunsi il vecchio tavolo da lavoro dove giaceva l'intelligenza artificiale di Stark. Il tavolo era stato spostato, e vicino al muro giaceva un'altra bara.
Una sola persona era chinata su di essa: zia Amélie.

Mi avvicinai e la raggiunsi, allungando una mano per circondarla attorno alla sua vita. Mi appoggiai al suo petto, e la sentii sussurrare:
"Stai meglio?"

"Fisicamemte sì. Per il resto... meglio non dirlo." risposi a bassa voce.

Amélie si sedette sulla sedia al fianco della bara, mentre io restai in piedi.
Guardai il viso angelico del giovane uomo che sembrava sorridere sott ai baffi, come se tutto fosse uno scherzo e improvvisamente avesse riaperto gli occhi.
Sapevo che non sarebbe accaduto.

Gli accarezzai i capelli scuri, lanciai uno sguardo alla giacca che indossava e che nascondeva la ferita mortale inflittagli da Thanos.
Mi chinai e gli lasciai un bacio sulla fronte.

"Sei un eroe." mormorai, sapendo che dovunque fosse mi avrebbe sentito.

Depositai la freccetta nella bara, accanto alla sua mano.
Se avesse voluto, in paradiso avrebbe insegnato a Tony come giocarci, e si sarebbero sfidati.
Chissà chi dei due avrebbe vinto.

𝐀𝐕𝐄𝐍𝐆𝐄𝐑𝐒: 𝐋𝐚𝐬𝐭 𝐖𝐚𝐫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora