13 - A Private Matter

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Quella sera, Sara rientrò improvvisando alcuni passi di danza su un motivetto canticchiato a mezza voce. Accompagnò la porta con il piede e fece una mezza giravolta prima di appendere giacca e borsa sull'attaccapanni. Indossava una morbida camiciola celeste sopra a un jeans a zampa e un paio di pratiche sneakers.

Quella parentesi di leggerezza s'interruppe bruscamente alla vista dell'album di foto sul tavolino del salotto.

Il loro album.

«Ciao, amore, tutto ok?» sentì dire a Jem dalla cucina, alle prese con la cena.

«Tutto bene. E a te? Com'è andata con Danny?» indagò raggiungendo il tavolo che il compagno e convivente stava apparecchiando.

«Sento una nota polemica nella tua voce, o sbaglio?» percepì lui mentre impostava al millimetro le posate ai lati dei piatti.

«Dimmelo tu» Sara sollevò le spalle e lo fissò con insistenza. «Dovrei esserlo?»

«Scusa, Sara, non ti seguo» Jem spostò lo sguardo dalla tavola al timer del forno nel quale stavano cuocendo pollo e patate. «Ho fatto qualcosa di male?»

A quel punto, lei gli si piazzò davanti e gli agitò l'album sotto al naso. Jem si maledì per non averlo messo via.

«Gli hai mostrato il nostro album?» la voce di Sara era salita di almeno un'ottava.

«Sì, e allora? Qual è il problema?» fece Jem infastidito da quel tono di rimprovero.

In realtà, sapeva benissimo qual era il problema.

Sapeva quanto lei custodisse gelosamente quell'album e lo tenesse lontano da occhi indiscreti. Sapeva quanto fosse importante per lei, per loro, per la storia che c'era dietro. Era il regalo che lui le aveva fatto nell'ora più buia. Il suo valore affettivo era indiscutibile.

Aveva ragione a volerlo tenere privato?

Forse sì.

Aveva ragione a stabilire apriori cosa dire o mostrare del loro passato come fosse di sua esclusiva proprietà?

Forse no.

In fin dei conti, quelli erano anche la sua vita e il suo passato.

«Il problema è che è una cosa privata» aveva risposto lei.

Jem alzò gli occhi al cielo.

«E dài, Sara! Hai ancora paura di condividere il nostro passato all'infuori di noi?»

Tra tutte le loro conoscenze londinesi, c'era una sola persona che sapeva: quella persona era Andrew. Non era stato intenzionale, anzi; ma era successo, e se n'erano fatti una ragione.

Andrew era stato il primo del corso a cui Jem aveva rivolto la parola. Dopo una delle prime lezioni, gli aveva presentato Sara e si erano fermati tutti e tre al bar dell'università a chiacchierare del tempo, delle materie e dei professori; poi erano scesi sul personale. Un tremolio di labbra, un silenzio imbarazzato, un'occhiata sfuggente di troppo e avevano finito col dirgli tutto - o quasi. Avevano ceduto entrambi dopo poche ma puntuali domande poste a regola d'arte da quel demonio di Andrew. Per quanto avessero cercato di circoscrivere, omettere, sorvolare, era praticamente impossibile inventare di sana pianta una vita senza Will.

Will stava a loro come loro stavano a Will.

Era una proporzione inalterabile, scolpita nella pietra, incisa sulla pelle.

«Certo che ho paura» la voce di Sara s'incrinò. «Pensavo l'avessi anche tu.»

«Ce l'ho anch'io, Sara! Ma sto provando a superarla.»

«E come? Confidandoti con un ragazzo che conosci da... non so, due mesi, piuttosto che con la tua ragazza che conosci da una vita?»

«Forse è proprio questo il punto: ci conosciamo così bene che non sentiamo più il bisogno di parlare.»

«Ma di cosa vuoi parlare, Jem? Di Will? E per quanto, ancora?» urlò Sara, rossa di rabbia. «Sono tre anni che non parliamo d'altro, e ogni volta che succede è come riaprire una ferita. Dobbiamo pur andare avanti con le nostre vite, no?»

«Senti, a te starà bene andare avanti sorridendo e fingendo che sia tutto a posto. Beh, con me non funziona!» la rimbeccò Jem infervorandosi a sua volta. «Ho provato anch'io ad archiviare, a prenderla con filosofia, e sai bene come va a finire: finisce che non ci dormo la notte.»

«E, quindi, cosa pensi di fare?»

«Penso che dovremmo smetterla di tenere il nostro passato in cassaforte, perché trova comunque il modo di uscire. Forse non dovremmo più trattarlo come un tabù.»

«Tu dici? E in che modo raccontare la morte di Will dovrebbe farci stare meglio?»

Din din din.

Jem staccò il timer.

«Non lo so, Sara, ma vedi: abbiamo evitato per così tanto di parlarne, come se questo rendesse meno reale l'orrore che abbiamo vissuto. Magari mi sbaglio, ma parlarne con qualcuno che sia estraneo alla cosa potrebbe aiutarci a cambiare prospettiva, a ricominciare con una maggiore consapevolezza e serenità.»

«Ah, adesso parli di ricominciare?! E come, mettendo Dan in mezzo? Provando a riformare il mitico trio, magari?» disse Sara con un sarcasmo che a Jem non piacque.

«Non dire scemenze» sbottò irritato. «Il trio era e sarà sempre quello formato da me, te e Will. Il nostro legame è unico, così come unico è Will: non potrei mai rimpiazzarlo.»

«Sicuro?» lo istigò Sara acida. «Perché a me sembra proprio quello che stai cercando di fare: riempire il vuoto lasciato da Will con Dan.»

Jem mise una mano sul fianco e sfregò esasperato la fronte con l'altra.

«Non capisco cosa ti faccia realmente incazzare: il fatto che Dan abbia visto le foto o che io abbia trovato qualcuno a cui non temo di mostrarle.»

Sara rimase a bocca aperta e lo fissò con occhi sgranati.

Jem le aveva tirato un colpo basso: sapeva che le ragazze e i membri dei club non erano che una piacevole ma, in fondo, frivola compagnia utile solo a riempirle la mente e le giornate; rideva, scherzava, ci organizzava eventi e pigiama party ma non avrebbe mai nominato Will in loro presenza.

«Ci sono cose che debbono restare private» rimarcò. «Come quest'album,» fece sollevandolo «come quello che è successo a Will. Solo noi sappiamo cos'abbiamo passato.»

«Ma non cos'è successo davvero quella notte, né perché. Quello è ancora un mistero...»

«E tale resterà» concluse lei perentoria. «È inutile affannarsi a cercare risposte che non avremo mai.»

«Sai una cosa? Forse hai ragione: forse Dan non doveva vedere quelle foto, forse non "meritava" di sapere. Eppure, in quel momento di crisi, lui c'è stato per me. Ha avuto la bontà di stare lì ad ascoltarmi. Senza sminuire il mio dolore. Senza giudicarmi. Mi ha fatto sentire capito, non compatito.»

Sara contrasse il viso in una smorfia, come avesse mandato giù una medicina amara.

«Allora è questo che pensi? Pensi che parlare con Dan sia più facile che parlare con me?»

«Per forza: con te è impossibile!» le sbatté lui in faccia con brutale schiettezza. A quelle parole, l'espressione di Sara mutò visibilmente: da furente si fece avvilita, come se non avesse più le forze, né la voglia di litigare.

«Perché mi fai questo?» gli chiese con un filo di voce, l'album pressato sul cuore.

«No, Sara, la vera domanda è: perché siamo arrivati a questo?» la corresse Jem.

In quel momento, sentì odore di bruciato e si rese conto che, preso dalla discussione, aveva spento il timer ma non il forno. Si precipitò a ruotare la manopola e ad aprire lo sportello, ma ormai era troppo tardi.

La cena era andata in fumo.

Imperfect DreamsWhere stories live. Discover now