20 - In Memoriam

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Un'aula magna gremita applaudì la conclusione del discorso di Sara: un discorso di empowerment, parole cariche di fiducia in se stessi e di lotta per i propri sogni e ideali, sulla scia dei tanto amati e adulati Dreamers quali lei, Will e Jem erano stati.

Quella mattina del ventidue dicembre si concludeva al loro liceo, il "Foscolo" di Oderzano, la terza edizione del contest artistico-letterario in memoria di Will, voluto dai suoi due più cari amici che erano lì, insieme a professori e partecipanti per la cerimonia di premiazione.

Sara indossava un tailleur rosso con una blusa bianca sotto la giacca e scarpe nere; i capelli erano raccolti in un morbido chignon che lasciava fuori alcune ciocche a incorniciarle le guance rosa e le labbra in tinta con il completo.

Ringraziò il pubblico e si voltò verso il compagno seduto alle sue spalle.

Jem lisciò il pantalone nero con le mani, sistemò giacca e cravatta e si avvicinò al leggio. Non aveva nessuna voglia di fare quel discorso - non che ne avesse avuta le volte precedenti - ma quell'anno si era trovato particolarmente in difficoltà con gli argomenti da affrontare. Di una cosa era certo: voleva allontanarsi da quell'edificio il prima possibile. L'incubo che si era consumato nei bagni poco distanti da quell'aula era ancora fresco nella sua mente.

«Ringrazio anch'io la nostra preside, i professori e tutti gli studenti che hanno voluto mettere alla prova il loro talento in questo concorso a noi caro per le ragioni che ben sapete. Vi sono grato per la vostra attiva e sentita partecipazione» esordì Jem al microfono, ricevendo un caloroso applauso in risposta - alcune ragazze si erano perfino alzate a sventolare dei cuori disegnati in fogli di quaderno.

Vedere tutte quelle facce giovani, gli occhi curiosi, i sorrisi entusiasti a lui rivolti gli ricordò i giorni d'oro del liceo e del Grand Tour. Pensò ai pomeriggi trascorsi con Sara e Will a comporre poesie e sognare di far provare ai loro coetanei lo stupore che provavano loro di fronte alla bellezza dell'arte. Anche loro avevano la stessa luce negli occhi, la stessa vibrante euforia in corpo, allora.

Si schiarì la voce e il pubblico, come d'incanto, tacque.

«Siamo qui oggi per onorare la memoria di William De Santis, e chi di voi ha avuto la fortuna di conoscerlo sa che non esagero nel descriverlo come un artista straordinario e un amico vero. Tuttavia, non intendo parlare di un disegno divino che voleva che andasse così, che era scritto nelle stelle, e che i lutti e le disgrazie che ci colpiscono sono orchestrati da un Dio che vuole testare la nostra fede. Se così fosse, che Dio crudele sarebbe... e che vita triste se fosse già tutto prestabilito dall'alto. Il nostro potere di incidere sugli eventi del mondo, sulla vita degli altri sarebbe pressoché nullo, no?

Era destino che Will morisse? O è solo ciò che ci siamo ripetuti negli anni per alleggerirci la coscienza? Per mettere le distanze tra noi e il dramma, per non pensare che chi di noi l'ha conosciuto avrebbe potuto fare qualcosa in più per lui?

Quello che mi chiedo e chiedo a voi oggi è: c'è altro che possiamo fare, oltre a piangere, pregare, lasciare fiori e rassegnarci all'assenza dei nostri cari?

Mi sono posto spesso queste domande e no, non sono ancora riuscito a darmi una risposta che mi permetta di guardare alla vita con rinnovata speranza.

Forse non possiamo fare niente dopo perché, banalmente, è troppo tardi per rimediare. Stare lì a rimuginare su cosa avremmo potuto fare per evitarlo non solo non cambia il passato, ma rischia di farci impazzire.»

Jem fece una pausa. Respirò il peso delle proprie parole su di sé e i suoi ascoltatori. Percepiva i loro occhi spalancati, i corpi immobili, i respiri sospesi; attendevano di capire dove sarebbe andato a parare. Il bello era che non lo sapeva neanche lui.

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