39 - At the Crossroads

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«Ti ringrazio per l'invito, ma non fingerò di non sapere perché siamo qui.»

Sara sedette impettita a un tavolino libero del Bloomsbury Café, la schiena dritta e la bionda chioma vibrante di elettricità.

«Dunque hai accettato solo per cortesia» insinuò Andrew prendendo posto di fronte a lei.

Quel pomeriggio, l'aveva pedinata all'uscita da lezione, lungo corridoi affollati, fino a intrufolarsi tra gli scaffali della biblioteca dov'era solita fermarsi a studiare. Dopo aver simulato stupore per quel "fortuito" incontro, aveva – con una disinvoltura da attore consumato – attaccato bottone menzionando un paio di titoli della letteratura femminista inglese del diciannovesimo secolo ancora freschi di studi, e proposto di continuare la conversazione in ambienti più comodi e meno polverosi.

Cosa non si fa per gli amici, pensò mentre inquadrava il QR code del locale in bella mostra sul portatovaglioli e scorreva distrattamente il menù delle bevande.

«Non fraintendermi: non è con te che ce l'ho... anche se so che stai dalla sua parte» ribatté Sara pungente.

«Beh, non posso certo nascondermi dietro a un dito» scrollò le spalle Andrew, arrotolando la camicia a quadretti sui robusti avambracci e preparandosi al primo round. «Io e Jem siamo amici e, per quanto mi dispiaccia prendere atto di certi suoi comportamenti alquanto discutibili, non ho potuto rifiutarmi di ascoltare la sua versione dei fatti.»

«Che sarebbe?» lo incalzò Sara sporgendosi sul tavolo e arcuando le sopracciglia.

«Te lo dico subito, a patto che non mi lanci addosso questo portatovaglioli, o la tua borsa piena di libri.»

Sara si lasciò sfuggire un sorriso a denti stretti.

«Le premesse non sono confortanti, ma ok: avrò pietà di te» concesse roteando gli occhi.

«Thank God! E poi, ambasciator non porta pena» ci tenne a rimarcare lo scozzese.

«Ebbene?» lo sollecitò lei, braccia incrociate e sguardo vigile.

Andrew brontolò interiormente, chiedendosi per quale maledetto motivo si fosse messo in quella situazione. Trasse un respiro grave e disse: «Ebbene, il ragazzo versa in uno stato di confusione totale!»

«Questo l'avevo notato.»

«Non per muoverti a compassione, Sara, ma da quando lo conosco non l'avevo mai visto così ansioso e spaesato. Mi ha detto di quella discussione sul vostro passato e di come tu te ne sia andata di casa. È stato un brutto colpo per lui, l'abbiamo visto a pezzi al lavoro. Ora, non voglio entrare nel merito dei fatti vostri ma mi è parso di capire che, da allora, qualcosa si sia rotto; come se aveste toccato un punto di non ritorno.»

«È così. Quell'episodio ci ha devastato» confermò Sara in tono sofferto. «Col senno di poi, mi ero infuriata con lui per qualcosa che, in fin dei conti, non era così grave da compromettere in modo definitivo la nostra relazione... almeno, dal mio punto di vista. Riflettendoci a sangue freddo, mi sono resa conto di aver avuto anch'io delle "colpe" che il trauma della morte di Will mi aveva portato a rimuovere, e che non ero pronta a rivivere. Quando è successo, abbiamo cominciato a rinfacciarci tutta una serie di cose a cui, evidentemente, ciascuno di noi dava un peso diverso. Credo di aver reagito in maniera esagerata urlandogli contro e andandomene via. L'indomani mi mancava già e volevo tornare da lui, ma ero troppo orgogliosa per farlo.»

«Ah sì?»

«Sì» ammise Sara rigirandosi tra le dita i numerosi anelli argentati. «Dopo aver sbollito la rabbia per qualche giorno a casa di Emily, mi ero convinta a chiedergli scusa.»

Imperfect DreamsWhere stories live. Discover now