24 - The Dearest

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Jem non avrebbe saputo dire quale forza ultraterrena lo avesse spinto ad abbandonare il tepore della sua stanza e uscire di casa in quella gelida mattina di metà gennaio. Lui e Sara erano rientrati a Londra dopo le vacanze natalizie e l'indomani avrebbero ripreso a frequentare i corsi alla UCL.

Ma c'era ancora una cosa da fare quel giorno.

Durante quelle tre settimane di pausa dalla sua vita londinese, si era ritrovato a riflettere su tante cose, a smontare e analizzare aspetti di sé che non aveva mai avuto motivo di mettere in discussione. Non era stato un esame indolore, ma aveva sentito il bisogno di farlo. Doveva essere stata quella spinta interiore, quel bisogno impellente di capire, di agire, a farlo svegliare presto in quello che era il loro ultimo giorno di vacanza.

Ignorando le deboli proteste di una Sara semi addormentata provenienti dall'altro capo del letto, si era tolto le coperte di dosso, aveva indossato capi pesanti ed era uscito.

Quella notte la temperatura doveva essere scesa parecchio, a giudicare dallo strato di ghiaccio che copriva i marciapiedi e i vetri delle auto. Gran parte della gente che gli sfilava a fianco calzava stivali ai piedi ed era imbacuccata in sciarpe e cappelli di lana. Jem tirò su il cappuccio del suo parka nero e avvolse la sciarpa stretta attorno al collo, la bocca e le narici che rilasciavano nuvolette di vapore a ogni respiro.

Dopo il viaggio in metro e un breve tratto a piedi, aveva raggiunto la sua destinazione.

Ricordava il suo portone di casa: rosso con un lampione nel marciapiede dirimpetto. Ci erano passati davanti al termine della serata al Black Moon con i suoi amici.

«Hi» aveva esordito, abbassando il cappuccio e ravvivando i capelli congelati.

«Jem?! Wow, che piacere rivederti» lo accolse il biondo con voce briosa, superata l'iniziale sorpresa. Si fece da parte per lasciarlo entrare nella palazzina a due piani della fattura simile a quella delle sue vicine: parallelepipedi dalle piatte facciate in mattoni su cui si aprivano finestre bianche tutte allineate e identiche tra loro.

Jem accettò di buon grado il passaggio a temperature più confortevoli.

Mentre varcava la soglia, sentì la propria intraprendenza vacillare. Il senso di colpa per aver lasciato Sara sola a letto ed essersi presentato a casa di Dan, senza preavviso e a quell'ora del mattino, lo frastornò come uno scossone in pieno sonno.

Dall'altra parte, Dan appariva sereno e in gran forma, per nulla turbato dall'ondata di gelo che gli era appena entrata in casa. Gli parve perfino più imponente di come lo ricordava. Aveva tagliato i capelli di recente e si era appena rasato, a giudicare dall'odore di dopobarba che aveva sentito passandogli accanto; indossava una t-shirt bianca sotto alla giacca aperta di una tuta grigio chiaro e scarpe da ginnastica nuove di zecca. La luce naturale esaltava il biondo miele dei suoi capelli e i contorni regolari del suo volto disteso, rendendolo simile a un divo del cinema.

Guardandolo, Jem non poté fare a meno di pensare a quanto fossero diversi. Lui: perennemente infreddolito e indisponente. Dan: energico e disinvolto, pronto a sfidare il mondo a viso aperto.

«Che piacere rivederti» gli aveva detto con quel sorriso spontaneo che, si rese conto, gli era mancato.

Alla luce mattutina, sembrava la personificazione del paradiso.

Sembrava...

Jem si morse il labbro e deviò lo sguardo, colto a tradimento da quella fastidiosa associazione.

Dan aveva nel suo modo di essere e fare qualcosa di Will, e quel qualcosa metteva in allerta i suoi sensi; lo allontanava e lo attirava allo stesso tempo.

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