III

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«Che le lagrime degli angeli di Cristo possano mondare le tue ferite. Che serafini, cherubini, troni e dominazioni si uniscano in preghiera affinché le tue piaghe si rimarginino. Che la nostra fede possa raggiungere l'empireo e che Dio Onnipotente ascolti la nostra supplica di guarire questo giovane corpo mortale. Abbia pietà di noi, o Signore. Abbi pietà»
Rebecca socchiuse gli occhi mentre versava l'acqua santa sopra il taglio sulla coscia del ragazzo. Egli ebbe un lieve sussulto e schiuse inconsciamente le labbra.
«Shh, piano, piano. Ecco qui» Rebecca posò la bacinella accanto al letto e incominciò a fasciare la ferita con garze pulite. Il bambino non sembrava star troppo male. Era certamente febbricitante e non si era ancora ripreso dallo shock, ma respirava regolarmente e non aveva perso molto sangue. Isaia spostò il peso da una gamba all'altra mentre osservava quel magro corpicino. L'acciaio dell'armatura non riusciva a nascondere il nervosismo che lo tormentava. Scandì mentalmente le preghiere, accompagnando la sorella nella speranza che la ferita non sviluppasse infezioni, poi si sedette nella seggiola di fianco al letto. Quel poveretto stava vivendo un inferno; era meglio tenerlo d'occhio in caso si fosse ripreso.
Rebecca finì di fasciare la gamba e sistemò le coperte di lana sopra il corpo del bambino.
«Hai preso una buona decisione, fratello» disse quindi sottovoce «anche se non credo che ti salverà dall'eterna punizione. La possibilità del Purgatorio è irraggiungibile ormai»
Isaia incrociò le braccia, facendo tentennare i pezzi dell'armatura, poi lanciò un'occhiataccia alla sorella attraverso le fessure dell'elmo.
«Hai ragione, mi dispiace» Rebecca abbassò lo sguardo «è stato solo un gesto di pietà. Le mie labbra hanno tradito ciò che pensa il cuore, di questo ti chiedo perdono»
La donna si avvicinò al persecutore e lentamente alzò la maschera dell'elmo «Il pensiero che non ti rivedrò più mi consuma. Le persone che martirizzi hanno la consapevolezza che vedranno i loro cari una volta dall'altra parte, mentre per me è l'opposto. So che conosci ciò a cui vai incontro, eppure mi sembra così ingiusto. Non riesco a non pensarci»
Il volto cupo di Isaia, una volta liberato dall'elmo, rimproverò Rebecca con un'occhiata colma di disappunto. Ciò che aveva detto assomigliava a una blasfemia, non aveva senso mettere in discussione il giudizio dell'Onnipotente. Ci teneva a preservare lei da pensieri turbolenti, non voleva rischiare che dicesse qualche stupidaggine in grado di aggiungere anni all'esperienza in purgatorio. Rebecca gli carezzò i riccioli schiacciati dal peso dell'elmo e gli strofinò le guance incrostate di sudore. Gli diede quindi un bacio prima di dirigersi verso l'uscita della stanza.
«Buonanotte, fratello. Riposati. Domani il ragazzo si sarà già ripreso»
Isaia annuì distrattamente, gli occhi fissi sul bambino rannicchiato sotto le coperte. I passi della donna echeggiarono nel corridoio adiacente alla camera, poi diminuirono d'intensità finché l'unico rumore udibile fu il mormorio degli spifferi tra le pareti e il respiro del fanciullo. Il persecutore restò seduto sulla seggiola, studiando le ombre che il candelabro proiettava sulle coperte di lana. Il suo cervello era infettato da dubbi e preoccupazioni che non lo avevano mai sfiorato prima d'ora. Lentamente, la responsabilità che sentiva verso il ragazzo si era tramutata in apprensione nei suoi confronti. Si poteva quasi dire che fosse un lievissimo e acerbo sentimento paterno. Come avrebbe reagito il bambino una volta ripresosi? Forse avrebbe resistito alle loro cure, troppo arrabbiato per riflettere lucidamente sull'avvenuto. O forse avrebbe cercato di attaccare di nuovo Isaia, spinto dall'odio che provava per lui.
Normalmente lui era il personaggio più temuto e rispettato della città e non si era mai sentito vittima di rancore. Anzi, i familiari di coloro che martirizzava lo ringraziavano tra i singhiozzi per la sua opera di bene. Quel ragazzino era la prima persona che non aveva dimostrato timore di lui.
Dopo svariati minuti Isaia si alzò dalla seggiola, lasciando solo il bambino addormentato. Si recò nelle segrete a lavare gli strumenti di tortura e a depositare il guadagno giornaliero. Solo allora, quando aprì il sacco di iuta, si ricordò della lettera. Era ancora lì, gettata tra le lame di acciaio, e il persecutore la prese in mano con delicatezza. Dopo averla aperta con il seghetto, quindi, si avvicinò al lume e lesse in silenzio.

O persecutore,
io, Giacomo Timordomini, ti imploro affinché tu possa leggere questa lettera e adempiere alle mie infinite suppliche. Durante il corso degli anni sono venuto meno alla castità. Ho macchiato la mia purezza con una donna ora lontana e mai ho sentito di meritare il perdono da parte dell'Onnipotente. Addolorato più di cento vedove, ho tenuto nascosto il frutto marcio di quel rapporto di dannazione per anni. L'ho tenuto segregato nei sotterranei del mio palazzo sotto le cure di una beatissima nutrice, senza permettergli di vedere il sole finché non avesse compiuto l'età adatta. Mai nel corso della mia vecchiaia ho provato amore per quell'essere immondo, per quella una creatura nata da atto diabolico. Dio ha mandato quel bambino come punizione per i miei peccati, lo so, e col cuore compunto ho dovuto nutrirlo e nasconderlo al mondo per anni. Mi è toccato pagare la nutrice, sia benedetta, affinché lo accudisse e gli stimolasse la voglia di sopravvivere nelle viscere del mio palazzo. Eppure, adesso che la mia ora si avvicina, inizio a sentire qualcosa. La nutrice è morta di mali interiori poche settimane fa e non ho potuto trovare una sostituta, perciò ho dovuto nutrire io il bambino. E ad un tratto mi sono reso conto di essere suo padre. Sono stato preso un forte amore che mi è stato difficile reprimere. Quella creatura resta un errore, un seme caduto fuori dal campo, eppure non posso abbandonarlo: commetterei un peccato ancora più grande. Quando leggerai questa lettera mi sarò già fatto martirizzare, nella speranza che l'Onnipotente mi perdoni, ma lascia vivere il bambino. Aprirò per la prima volta la porta della sua cella, così potrai trovarlo e mostrargli il mio corpo redento dai peccati. Una volta uscito, quindi, ti prego di esaudire l'ultimo desiderio di un vecchio. L'unica cosa che ti chiedo è condurre il ragazzino nel Sacro Ospitale dell'Isola delle Rose. Lì si trova sua madre, un'infermiera di cui non conosco il nome. Le donne ti aiuteranno a rintracciarla, ma nel caso non vi riuscissero ricorda che ha una voglia sul collo identica a quella del bambino. Lei potrà occuparsi di Timoteo una volta ch'io sarò morto. Di questo ti scongiuro e ti prego con tutto il mio animo. So che ciò che ti chiedo non è di tua competenza, ma desidero col cuore che il bambino abbia un futuro. Non voglio che continui a vivere nella sofferenza. Ti saluto, o persecutore, e ti chiedo perdono per questa lettera. Possa tu ascoltare le ultime preghiere di un vecchio,

Giacomo Timordomini

Isaia ripose la lettera mordendosi le labbra. Dunque quel bambino si chiamava Timoteo. E, come sospettava, era un figlio illegittimo del vecchio Timordomini. Il persecutore si sedette a riflettere per parecchio tempo. Il pensiero che quel bambino fosse davvero rimasto segregato a Palazzo Timordomini durante tutta l'infanzia lo innervosiva. Se suo padre era davvero stato così cieco da considerarlo una punizione divina, non c'era da meravigliarsi che egli avesse agito in modo così impulsivo quella notte. In fondo provava pena per lui. Chissà perché lo aveva attaccato. Dopo tutte le angherie subite dal padre avrebbe dovuto gioire della sua morte, non piangerlo. Isaia sperò che, nonostante il martirio, Giacomo Timordomini fosse finito nel girone dell'inferno che gli spettava per aver trattato così il figlio.
Sospirando, il persecutore salì nella propria camera e si levò l'armatura per andare a dormire. Le ferite tornarono a respirare a contatto con l'aria, ed egli dovette stringere i denti per il dolore. La corazza d'acciaio era il carapace che lo separava dall'oscurità del mondo esterno. Odiava abbandonarla e sapeva già che avrebbe passato una notte insonne. Tanto meglio, così avrebbe potuto riflettere sul destino del ragazzo. Pensò al taglio che gli aveva provocato e a come scusarsi senza proferire parola. E se il bambino non fosse stato in grado di leggere? Come poteva comunicarvi? Questi e altri pensieri turbinavano nella mente del persecutore mentre egli si sdraiava sul letto in attesa dell'alba. La morbidezza del tessuto a contatto con la pelle viva lo infastidiva, ma era troppo stanco per pensarci. La cascata di emozioni intense che lo aveva investito quella notte lo aveva completamente esaurito, e Isaia cadde subito addormentato nel nero abbraccio di sogni turbolenti.

Venezia PenitenteOnde histórias criam vida. Descubra agora