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«Siete stati davvero fortunati a incontrare mio fratello» tuonò Oreb mentre rientrava nella stanza. Jawed e Timoteo sussultarono e ripresero a fissare il pavimento, i loro volti colmi di preoccupazione come scolari che hanno appena irritato il proprio maestro.
«A noi Discepoli di Viburnia non piacciono gli stranieri che s'intrufolano nel nostro territorio. Se non fosse stato per lui, non avreste avuto nessuna possibilità» continuò, senza smettere di ghignare «mentre invece ne avrete una. Vedrete. Non scherzava il sacerdote quando vi ha ordinato di fare un sacrificio alla santa. Auguratevi che non assuma troppo Malephar»
Jawed alzò la testa e cercò di sostenere lo sguardo del cacciatore. Era spaventato, eppure il suo volto era piuttosto serio. Forse stava cercando di utilizzare l'arma della sottomissione nella speranza di sembrare dignitoso. La sua gola vibrava a vuoto, come se egli volesse articolare delle parole, ma la paura gli stava bloccando i muscoli della faringe e il viso gli si stava impregnando di sudore.
«Che facce funebri» commentò Oreb, poi si voltò verso Isaia «non credi?»
Il persecutore non rispose.
«Posso cercare di tirar su il morale ai tuoi compagni? Non mi sembrano a loro agio e devi sapere che noi cacciatori siamo famosi per le nostre barzellette. Spesso le raccontiamo ai prigionieri prima di giustiziarli»
Isaia scosse la testa. Aveva già spaventato Timoteo a sufficienza e come al solito stava iniziando a esagerare. Un imbarazzato silenzio seguitò, spezzato solo dagli sbuffi dei rematori che incalzavano sempre di più.
«Suvvia!» protestò Oreb «D'accordo. Allora ne racconterò una leggera, se proprio ti infastidisce così tanto. Poi non vi disturberò oltre, voglio solo che siate dell'umore giusto per la festa»
Anche Timoteo rialzò il capo, gli occhi arrossati dalla stanchezza, e volse uno sguardo colmo di frustrazione a Isaia prima di tornare a fissare il vuoto.
«La barzelletta fa così» iniziò Oreb, allargando il suo ghigno «ci sono due muratori che, durante l'epoca del peccato, più di cento anni fa, devono fare spazio in un quartiere per costruire una casa. Così abbattono gli alberi, tolgono i cancelli e radono al suolo tutti gli ostacoli per spianare il terreno. L'unica cosa che manca da abbattere è un santuario dedicato alla madonna che sorge proprio in mezzo al terreno su cui devono costruire...»
Isaia sbuffò dentro l'elmo, irritato dalla leggerezza con cui il fratello continuava a prendersi gioco di tutti.
«Così chiedono al capo cosa fare, perché temono che abbattere un santuario possa far arrabbiare Dio. Ma il loro capo dice "non vi pago per fare domande, ma per lavorare! Se non abbattete quel santuario non vi darò la paga!". E il giorno dopo i due muratori con le loro macchine iniziano a buttarlo giù. Ed è proprio allora che una grande luce invade il cantiere e all'improvviso... la Madonna in persona appare di fronte a loro! Una bellissima donna vestita di luce! E si ode una voce solenne che li avverte: "abbiate misericordia, figli miei, e non lasciate che la tentazione vi porti a compiere simile opere di distruzione! Pregate e abbiate fede, invece!". E i due muratori le rispondono: "signora, ci dispiace davvero molto ma qui se non finiamo il lavoro non ci pagano". E così finiscono di radere al suolo il santuario...»
Timoteo e Jawed corrugarono la fronte, serissimi, forse aspettandosi una continuazione all'assurda storia, invece Oreb proruppe in una risata fragorosa. Scorgendo l'infinita confusione nei volti dei due compagni, anche Isaia non riuscì a resistere e accennò un brevissimo sorriso dentro l'elmo, ma lo ritrasse subito. In nessun'altra circostanza avrebbe riso a una tale scemenza, eppure era ancora così lieto per aver ritrovato Oreb che non poté farci niente. Lasciò che il fratello si appoggiasse al suo braccio mentre quello si sbellicava come una iena e dovette trarre un respiro profondo per riacquistare compostezza. Oreb si avvicinò quindi al suo orecchio e, dopo aver dato un'occhiata alle facce intontite di Jawed e Timoteo, iniziò a gorgogliare risolini mentre già pregustava la frase che gli avrebbe sussurrato.
«Mi sa...» balbettò «mi sa che non l'hanno capita»
Isaia scosse la testa e le labbra gli si arricciarono nuovamente in un ridicolo sorrisino che fortunatamente l'elmo riusciva a nascondere ai loro occhi. Eppure Oreb sembrò percepire che il fratello aveva reagito alla sua ilarità perché gli si strinse affettuosamente contro e gli lanciò un'ultima occhiata d'intesa prima di staccarsi. Jawed e Timoteo lo seguirono inebetiti con lo sguardo mentre egli si voltava per uscire dalla stanza come promesso. Le loro gambe avevano ripreso a tremare.
«Io ci ho provato» annunciò Oreb, avvicinandosi alla soglia con le code della marsina verde che svolazzavano dietro di lui «vi lascio da soli per un po'. Non uscite da questa stanza per nessuna ragione. Tra poco arriveremo alla rocca e incomincerà il banchetto. Tornerò a prendervi io, così potrò scambiare un altro paio di parole con mio fratello. Vi saluto»
Detto questo, uscì dalla stanza e chiuse la porta, ancora ridacchiando fra sé e sé. Timoteo boccheggiò come se avesse trattenuto il respiro per tutto quel tempo, poi incominciò a mangiucchiarsi nervosamente le nocche.
«Era quello tuo fratello?» domandò con voce roca. Isaia annuì e si avvicinò al bambino per rassicurarlo. Gli tolse le mani sporche dalla bocca e gli sistemò i riccioli sudati che gli si erano impiastricciati sulla fronte.
«Non mi piace. Non è come te. Vorrei che ce ne andassimo subito»
«Non possiamo andarcene. Siamo prigionieri» rispose Jawed, che finalmente era riuscito a sbloccare la gola. Le sue spalle erano ancora rigide e gli occhi ancora sgranati, ma la paura iniziale era scomparsa dal suo volto. Al suo posto era apparsa una sorta di strana stizza, come se l'insorgere di una situazione in cui il suo carisma non aveva potere lo avesse disturbato. O forse non si fidava più del persecutore dopo che Oreb li aveva canzonati. Agli intellettuali non piaceva essere messi in ridicolo in alcuna situazione.
«Sono molto confuso, tuttavia» continuò, rivolgendosi a Isaia «Voi mi avevate solamente detto che eravate diretti qui, nelle acque meridionali della laguna, ma non mi avete detto lo scopo. Lo scopo era per caso trovare vostro fratello? Ho l'impressione che sia stato inaspettato anche per voi, ma non mi vorrete far credere che è stata una coincidenza. Se mi aveste detto subito che vostro fratello era un cacciatore di reliquie di certo non avrei stretto nessun patto»
Il tono altezzoso di Jawed irritò il persecutore, che gli lanciò un'occhiataccia. Il primo dei due ad aver mentito era stato proprio lui, continuando a sostenere che avrebbero raggiunto la casa del maestro entro la mezzanotte. Se non avessero girovagato intorno alle isole così tanto non si sarebbero imbattuti nella processione dei cacciatori e la presenza di Isaia gli aveva permesso di salvarsi la vita. Afferrò la pergamena e scrisse: La mia missione riguarda il bambino, non mio fratello. Non sapevo che fosse diventato un cacciatore. La vostra vita è salva grazie a lui. Siete stato imprudente.
«Non possiamo proprio andarcene? E tuo fratello, non puoi semplicemente chiedergli una barca?» insistette Timoteo. Isaia scosse la testa e l'espressione del bambino si rabbuiò mentre concentrava tutte le energie nel riflettere sulle circostanze del rapimento. Jawed lesse il messaggio in silenzio, poi titubò un paio di secondi prima di porgere la pergamena al persecutore.
«Quindi è una coincidenza?» domandò con tono teatralmente scettico.
Isaia annuì.
«Se è davvero così, allora ho bisogno di una prova. Dovrete spiegarmi il vero scopo del vostro viaggio, altrimenti mi vedrò costretto a sciogliere il patto che abbiamo stretto. Finora mi sono fidato della vostra buona volontà, ma comincio a dubitare che ci troviamo tutti qui per caso»
Isaia alzò gli occhi al cielo. Il cartografo era evidentemente troppo preso dal panico per riuscire a riflettere con lucidità.
Non ho nessun interesse nel finire di onorare il patto, scribacchiò irritato, ed è la mia pietà a tenervi in vita. Basterebbe una sola mia parola all'orecchio di mio fratello per uccidervi.
Jawed impallidì non appena lesse il messaggio. Le sue mani iniziarono a tremare con la stessa veemenza delle gambe e il sudore tornò a imperlargli il collo. Ogni segno di fierezza era svanito dai suoi occhi quando rialzò lo sguardo dalla pergamena.
«E va bene» biascicò, la voce colma di rassegnazione «non ho altra scelta che seguire voi. Non ho alcuna fiducia, tuttavia, tenetelo bene a mente. Zaneto mi aveva avvertito su di voi e io l'ho ignorato, convinto che foste un uomo degno di rispetto. Misero me!»
Timoteo aggrottò le sopracciglia, turbato dall'improvvisa disperazione del cartografo, poi fissò Isaia con sguardo smarrito.
«Non vuoi farci uscire perché vuoi stare con tuo fratello? Vuoi parlare con lui? Non mi piace! Non è una buona persona, ti prego!» esclamò. Il suo tono era quasi accusatorio, fin troppo adulto per un bambino spaventato, e Isaia dovette scuotere la testa così freneticamente che l'acciaio gli sbatté sulle guance. Forse una parte di lui, sepolta nelle profondità dell'inconscio, voleva continuare a stare con suo fratello, ma egli non si era dimenticato della missione che gli era rimasta marchiata nel cervello per tutti quei giorni. Troppe persone avevano già sacrificato la loro vita per quell'impresa. Troppe notti erano trascorse senza che il persecutore rimuginasse insonne sul significato del suo affetto per Timoteo. Nemmeno un miracolo li avrebbe fermati a quel punto. L'Isola delle Rose era a meno di due miglia di distanza ormai. Non avrebbe gettato via quell'ultima opportunità per stare con Oreb.
Ecco cosa faremo, scrisse sulla pergamena, è impossibile fuggire da questa nave. Una volta sulla costa, quando saranno distratti dalla festa, convincerò mio fratello ad aiutarci a fuggire. Sussurratelo al bambino, per favore
Jawed accettò la pergamena con riluttanza, temendo che fosse un altro messaggio di minacce, ma sembrò rincuorarsi un poco quando capì le intenzioni di Isaia. Mormorò le parole all'orecchio di Timoteo come richiesto e anche lui parve calmarsi. Aveva ancora gli occhi vitrei e sembrava sempre più disorientato dalla situazione, eppure c'era ancora un filo di speranza a tenerlo incollato al persecutore. La crescente quantità di sventure che Isaia gli aveva fatto vivere stava pian piano uccidendo il suo corpo fragile, ma la sua anima non desisteva. A casa di Zaneto, quando aveva confessato i propri pensieri al compagno, era come se una connessione indelebile si fosse formata tra i due. Portavano le stesse cicatrici sulla pelle e avevano respirato i feromoni l'uno dell'altro unendosi in qualcosa di più di un rapporto di fiducia e protezione. Il buio nelle orbite della maschera del persecutore era sempre meno spaventoso per Timoteo e, anzi, stava diventando l'unica boa luminosa in mezzo all'oceano che tempestava nella sua mente. Le sue gambe, tuttavia, stavano iniziando a cedere. Non avrebbe retto quel viaggio ancora per molto.
«Immagino che non ci sia alcuna possibilità di risolvere la questione pacificamente. Non possiamo barattare la libertà per qualcosa e convincerli a liberarci» continuò Jawed, studiando i messaggi scritti dal persecutore.
Isaia lo zittì con foga, facendolo sussultare. Prese la pergamena e scrisse: Non parlate ad alta voce di una fuga. Potrebbero ascoltarci. Poi scosse la testa. Quei cacciatori non li avevano accolti, ma sequestrati. Non li avrebbero lasciati andare, abbagliati dal fanatismo verso Santa Viburnia, e Isaia era certo che stessero progettando qualcosa di losco. Il sacerdote li aveva definiti "l'evento coronante della serata" e quest'affermazione non piaceva affatto. Nemmeno era sicuro che Oreb li avrebbe aiutati. Anche se lo rispettava, la sua indifferenza sarebbe stata un grosso ostacolo da superare visto che non faceva mai nulla che non lo stuzzicasse. E se aiutare il fratello a fuggire era un'esperienza che non gli andava di fare, nulla avrebbe potuto convincerlo.
D'accordo, scrisse Jawed, pensate che la sorveglianza sarà alta?
Non credo. I cacciatori non sono disciplinati. Non vorranno perdersi la festa, rispose Isaia.
Siete mai stato nel luogo dove ci stanno portando?
No. Mio fratello lo conoscerà e ci aiuterà. Lasciatemi fare. Tra pochi minuti arriveremo, perciò getto la pergamena.

Jawed annuì e si scostò affinché Isaia potesse scaricare in mare la pergamena attraverso una grossa fessura tra le assi. Quando se ne fu liberato, il persecutore tornò a sedersi di fronte a Timoteo e incrociò le braccia. Il chiasso provocato dai cacciatori sul ponte della chiatta aumentava di minuto in minuto e l'atmosfera solenne evocata da Sarpedonte con i suoi discorsi sui miracoli era ormai svanita per lasciar spazio all'euforia della festa imminente. Jawed inspirò a fondo per calmare i nervi.
«Speriamo vada tutto per il meglio. Ho un brutto presentimento» mormorò, lo sguardo fisso nel vuoto. Isaia annuì livido per condividere il pensiero del cartografo.
I rematori smisero improvvisamente di grugnire dopo pochi minuti. Trassero le lunghe voghe di legno a bordo e il loro chiacchiericcio si aggiunse presto al trambusto provocato dai loro compagni sul ponte. Isaia alzò la testa. Dovevano essere quasi arrivati a destinazione. Il rumore dei passi sopra le loro teste sembrava turbare Timoteo, che si strinse nell'impermeabile fino a coprirsi le orecchie arrossate, e Isaia lo osservò con sguardo compatito. Presto le barche dinanzi a loro cozzarono contro la pietra del molo di Rocca Scarlatta e sempre più boati inebrianti si levarono mentre i marinai si univano agli altri discepoli che li stavano già aspettando a terra. Le cime d'ormeggio vennero annodate ai parapetti, i faretti direzionali vennero spenti e infine la chiatta si fermò. Jawed e Timoteo sussultarono non appena la porta della sala tornò ad aprirsi e il viso severo di Oreb fece capolino dalla soglia.
«Coraggio, siamo arrivati» annunciò il cacciatore «il banchetto vi sta aspettando»

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