XII

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Dei singulti di sorpresa trapelarono da dietro la porta. Una voce maschile sussurrò qualcosa con tono allarmato, dopodiché si udirono dei passi. Isaia arretrò di qualche passo e strinse la presa sull'elsa della spada. Chiunque fossero gli inquilini, sembravano sorpresi da quella visita mattutina. Se erano semplici pescatori, il persecutore non li avrebbe toccati con un dito in cambio di riparo dalla pioggia.
Lo spioncino di legno si aprì e un paio di occhi bovini scrutò i due compagni da dietro la porta.
«Chi va là?» domandò bruscamente la voce.
Isaia restò immobile e lasciò che l'individuo squadrasse lui e il ragazzo. Timoteo si girò verso il compagno e mormorò: «Posso rispondere?»
Il persecutore attese un momento, poi annuì lentamente. Poteva rispondere, ma con l'accortezza di non rivelare dettagli scomodi. Non voleva che si sapesse in giro ciò che era accaduto alla Pala poche ore prima o che Timoteo si fidasse troppo di quella gente. Molti contadini della zona erano soggetti alle angherie dei Cacciatori di Reliquie e in circostanze sbagliate non avrebbero esitato a rivelare informazioni vitali.
«Due viaggiatori! Cerchiamo un riparo» gridò Timoteo. Il figuro dietro la porta strabuzzò gli occhi per vedere meglio i due compagni attraverso la pioggia, poi sussultò quando riconobbe la corazza di Isaia.
«Bontà divina! Noi non cerchiamo guai! Siamo brava gente!» balbettò la voce.
Timoteo sussultò, intimorito dall'inaspettata paura dell'uomo. Alzò lo sguardo verso Isaia, cercando conforto dall'asprezza della voce sconosciuta, e inspirò profondamente per farsi coraggio. Isaia gli fece cenno di rispondere senza timore.
«Stiamo solo cercando un riparo! Non vi faremo del male!»
«E che garanzia mi date? Riconosco un persecutore quando ne vedo uno! Non sono uno sciocco! Non ospiterò il diavolo nella mia casa! Non sai cosa si porta dietro in quel sacco... ohh. Strumenti di morte, i più terribili che tu possa immaginare!» insistette lui «Mi dispiace...»
«Ma noi non siamo cattiva gente, noi...» balbettò Timoteo. Per tutta l'infanzia era stato abituato a sentire solo un paio di voci familiari e Isaia notò che stava facendo degli sforzi immensi per trovare le parole da dire di fronte all'estraneo. Il bambino rivolse un altro sguardo smarrito al persecutore e si racchiuse in un timido silenzio mentre pensava a cosa dire.
«Noi non siamo cattiva gente... noi. Noi giuriamo sull'Inferno che non vi faremo del male se non ce ne darete motivo» riuscì infine a rispondere.
 Isaia sgranò gli occhi e lanciò un'occhiata colma di sgomento al bambino. Aveva davvero formulato un tale giuramento con tanta sfrontatezza? Sentì le mani fremere per la volontà di zittirlo con una manata, ma riuscì a trattenersi con un respiro profondo. Lo avrebbe rimproverato più tardi. Anche l'individuo dietro la porta boccheggiò dalla sorpresa quando udì le parole sconsiderate del ragazzo.
«Bontà divina! Siete completamente dannati, lo immaginavo» gli rispose in tono scorbutico, poi sospirò «ma negarvi riparo dopo un tale giuramento sarebbe peccato mortale. Suppongo che non accetterete un mio rifiuto, proprio come i cacciatori che ogni settimana mi assillano con le loro stupidaggini. Che siate maledetti voi tiranni che tormentate la brava gente e giurate sull'Inferno di fronte all'Onnipotente! Vi farò entrare perché la mia anima non sia dannata come la vostra, ma ve ne andrete non appena finirà la pioggia»
«Lo giuriamo» mormorò Timoteo.
«E voglio vedere il contenuto di quel sacco! Che non ci siano lame e strumenti di morte!»
L'uscio si aprì e sulla soglia apparve un torvo omicciolo con gli occhi sgranati e un'espressione stizzita. Era un uomo basso e sulla quarantina d'anni, col mento ricoperto da barba incolta e una tunica logora come vestito. Il suo volto rugoso e scavato dalla salsedine non lasciava dubbi: doveva essere un pescatore della zona. Forse in quella casa avrebbero trovato anche la moglie e i figli.
Isaia posò a terra il fagotto e lo aprì per mostrare all'uomo che conteneva solamente provviste e strumenti per il viaggio. Egli strabuzzò gli occhi per esaminarlo a fondo, poi annuì con fare accigliato.
«Prego, dannati» sbraitò, aprendo la porta e scostandosi per accogliere i due compagni.
Il persecutore chinò il capo in segno di riconoscenza ed entrò nell'atrio insieme a Timoteo. Non appena sentì il familiare crepitio del fuoco provenire dal soggiorno, il nodo che aveva in gola gli si sciolse. Erano stati fin troppo fortunati a trovare un casone così ospitale nel bel mezzo del nulla. Forse le preghiere che Rebecca mormorava tutto il giorno avevano smosso la Provvidenza dal suo trono celeste. La corazza sgocciolava acqua dappertutto, così Isaia restò fermo nell'atrio per un po' di tempo prima di seguire il pescatore attraverso i corridoi dell'abitazione.
«Io sono Zaneto Bergonci. Vivo qui con mia moglie da molti anni. Vi prego di non toccare nulla e di portare rispetto per questa casa. È una dimora benedetta e consacrata dall'Ordine di San Pantaleone» disse lui «più tardi vi porto nella stanza degli ospiti, dove già risiede un vagabondo. È un uomo di cultura, perciò non disturbatelo e comportatevi civilmente»
«Ti siamo debitori» rispose timidamente Timoteo. Il suo tono strascicato e incupito sembrò turbare il pescatore, che gli lanciò un'altra occhiata diffidente. Isaia sperò che non avesse scambiato il distacco materiale del ragazzo per cinismo, ma egli scrollò le spalle e guidò i due verso il soggiorno.
«Il persecutore non parla?» domandò, voltandosi verso Isaia.
«È muto»
«Tanto meglio. È un vostro parente?»
Timoteo non rispose. Zaneto aprì la porta di legno che conduceva al soggiorno e fece entrare i due compagni. La stanza era piuttosto piccola e questo rendeva più intenso il tepore del fuoco. Le pareti d'intonaco scrostato erano ricoperte delle classiche icone a Maria e ai santi e tre sedie in vimini erano disposte intorno al tavolo già apparecchiato per il pranzo.
«Asciugatevi qui, siete completamente fradici» mormorò con diffidenza Zaneto, indicando loro di sedersi di fronte al camino.
«Mille grazie, davvero. Non sappiamo come ringraziarvi» Timoteo fu lieto di sentire il tepore delle fiamme. Si inginocchiò subito davanti al fuoco e serrò gli occhi per godersi il calore e asciugare l'umidità che aveva assorbito fin nelle ossa. Isaia lo osservò compiaciuto di vederlo più sereno, specialmente dopo il forte impatto che aveva avuto in lui la morte di Sanudo, e posò a terra il sacco per accomodarsi di fianco a lui. Prima, però, estrasse una decina di monete d'oro dal fagotto e le porse al pescatore. Zaneto sgranò gli occhi non appena vide il denaro.
«Non siamo una locanda. Spero che questa non sia una richiesta di allungare l'alloggio» rispose, preso alla sprovvista dal gesto. Isaia scosse la testa. Era l'unico modo che aveva per ripagare l'ospitalità di quell'uomo. Dopotutto ne aveva a bizzeffe di soldi e quella era una piccola somma paragonata allo sforzo che il pescatore stava facendo per accogliere due sconosciuti in casa propria. Zaneto esaminò corrucciato il mucchio di denaro, dopodiché sospirò profondamente e diede le spalle al persecutore.
«Rispetto la vostra cortesia ma non voglio dei soldi guadagnati col sangue, mi dispiace. Non preoccupatevi per noi, asciugatevi e lasciateci in pace. Spero che questa pioggia finisca presto»
«Anche noi» disse Timoteo.
Zaneto annuì nervosamente, poi borbottò qualcosa tra sé e sé prima di sparire dietro la soglia. Isaia rimise via i soldi e si sedette di fianco al compagno con un clangore dell'armatura. Avrebbe voluto sfilarsi la corazza e lasciare che il fuoco gli scaldasse la pelle, ma era ancora titubante a denudarsi in tal modo. Le maglie che portava sotto le placche d'acciaio erano bagnate, ma si sarebbero asciugate comunque tra qualche ora. Se solo il pensiero di mostrarsi a Timoteo lo turbava, figuriamoci quello di scoprire il volto di fronte a dei pescatori spaventati. Istintivamente, però, portò le mani al viso e carezzò le incisioni della visiera come per controllare di non star sognando. Il bambino sembrò accorgersi di quel gesto malinconico e le sue mani ebbero un fremito. Era ancora disabituato al fatto che ci fosse un volto umano sotto quell'elmo a forma di maschera veneziana.
«Ho parlato bene?» mormorò, fissando le scintille che si levavano dal fuoco.
Isaia scosse la testa con fare severo. I giuramenti su Dio o sull'Inferno non erano nulla su cui scherzare. Sarebbe stato meglio morire di stenti sotto la pioggia che mancare alla promessa con cui lui aveva appena marchiato la propria anima. Timoteo sussultò, sorpreso dalla risposta del persecutore, poi tornò a osservare mogio le fiamme. Aveva la testa troppo satura di preghiere ripetute senza scopo e di concetti religiosi banalizzati fino a diventare fiabeschi; non poteva capire la realtà dei fatti.
«Mi dispiace, non mi veniva in mente nient'altro» biascicò «mio padre diceva sempre quella frase, lo sentivo dal piano di sotto. Con i creditori e i preti che visitavano la casa. Ma ho visto come mi hai guardato». Non poteva capire che Isaia era inevitabilmente condannato alla dannazione eterna e lui poco fa aveva giocato con la propria anima mettendo a subbuglio ciò per cui egli lo stava proteggendo. Il persecutore lo aveva preso quasi come un gesto di scherno verso i santissimi ideali per cui lui si sacrificava ogni giorno, la massima blasfemia verso la sua condizione. Ma in fondo era solo un bambino incosciente. Ciò che sapeva della religione era solo una tiritera che aveva ripetuto per anni in una cella senza possibilità di crescere davvero. Più stupidaggini commetteva, più Isaia si affezionava a lui e sentiva la necessità di aiutarlo a riscattarsi dall'ingiustizia subita. Era la sua crociata e non avrebbe permesso che quel giuramento la rendesse vana. Improvvisamente le fiamme del focolare sembrarono bruciare con più ardore, sibilando sotto la carne come quelle dell'Inferno che lo aspettava dopo la morte, e Isaia fu assalito da un forte senso di nausea. Dovette alzarsi e allontanarsi dal fuoco, boccheggiando dentro la corazza mentre le sue membra vacillavano. Il dondolio della barca e l'incessante ululato dello zefiro lo avevano scombussolato parecchio. Timoteo lo osservò con il sopracciglio alzato, intimorito da quell'imprevisto momento di debolezza, e i suoi occhi s'inumidirono.
«Bene, dovreste esservi asciugati ormai» Zaneto irruppe nel soggiorno con la medesima espressione accigliata «venite, vi mostro la stanza degli ospiti»
Isaia respirò profondamente per rimettersi in sesto, poi lui e Timoteo seguirono il pescatore attraverso una serie di angusti corridoi. Una volta salita una scalinata dai gradini scricchiolanti, Zaneto bussò a una delle porte di legno del piano di sopra.
«Sì?» rispose una voce maschile dall'interno.
«Sono arrivati due viaggiatori. Restano qui finché la pioggia non finirà e la marea tornerà bassa» gridò Zaneto «spero che non vi danno disturbo»
«Immagino di no. Entrate pure»
Il pescatore abbassò la maniglia e la porta si aprì cigolando per rivelare un ampio dormitorio ricolmo di piccoli letti a castello. Seduto a una scrivania di fronte alla finestra stava un gracile individuo di carnagione mulatta che si voltò per squadrare i nuovi arrivati. Era un giovane uomo dai lineamenti spigolosi e vestito con una tunica decorata di arabeschi, probabilmente originario di qualche zona del medio oriente. Stava chino su delle carte con una penna stilografica in mano e portava dei minuti occhiali a pince-nez sull'arcata nasale, che gli conferivano l'aria di un dotto letterato nonostante la giovinezza.
«Oh, che aspetto minaccioso» l'uomo aggrottò la fronte non appena vide l'imponente figura di Isaia «non avevo mai visto un simile cavaliere prima d'ora»
«Non è un cavaliere, infatti. È un persecutore. Un epuratore di anime» lo interruppe Zaneto, spostando coperte e cuscini per liberare un paio di letti.
«Lo vedo, è senza alcuna effigie» un sorriso amaro si dipinse sul volto dell'individuo «da appassionato di cultura locale, ciò mi intriga. Spero sia disponibile a scambiare due chiacchiere a scopo accademico»
Isaia sentì Timoteo stringergli il fianco. Doveva essere spaventato dall'apparenza di quel figuro, dato che non aveva mai visto nessuno con quei lineamenti, e istintivamente si era nascosto dietro l'armatura. Il persecutore gli carezzò gentilmente la spalla per fargli coraggio, poi se lo scrollò di dosso mentre Zaneto scuoteva la testa.
«Per sua fortuna è muto. E non credo che sia interessato a delle "chiacchiere accademiche", come le chiamate voi. Se vuole può provarci ma glielo sconsiglio. In ogni caso se ne andrà presto» rispose, facendo cenno ai due compagni di entrare.
«Capisco» l'espressione dell'altro tornò seria.
«Ecco qua. Potete stare qui e riposare mentre aspettate» Zaneto accomodò Isaia e Timoteo su due letti sgombri «ora torno giù. Vi chiamerò quando sarà pronto il pranzo»
Isaia fece un cenno con la mano per indicare che non ce n'era bisogno e che avevano già delle provviste, ma il pescatore si accigliò.
«Ormai il cibo è sul fuoco! Ed è certamente migliore di qualunque cosa  vi siete portati appresso. Niente storie, ringraziate l'ospitalità di mia moglie piuttosto! Spero che cucinare per due bocche come le vostre possa accorciarle il purgatorio di tanti anni quanti quelli che avete passato a riscattare vite per la morte» sbraitò, contrariato dalla resistenza del persecutore, poi se ne andò chiudendo la porta dietro di sé. Isaia restò interdetto. Apprezzava l'ospitalità di quell'uomo, eppure aveva l'impressione che tutte quelle gentilezze nascessero puramente dalla paura e dall'obbligo religioso. Come se il loro arrivo fosse solo un'opportunità per comportarsi virtuosamente agli occhi di Dio e null'altro. Forse non era altro che l'ennesimo sfidante nella gara spietata di seguire i precetti del Vangelo senza la minima comprensione della loro natura. Gettò a terra il fagotto e si sedette su uno dei letti, che scricchiolò sotto il peso dell'armatura, poi si voltò verso l'individuo seduto alla scrivania. Li stava ancora fissando con un'espressione leggermente imbarazzata, come se stesse riflettendo su come introdursi in modo da piacergli. Ma Zaneto aveva ragione, non era proprio in vena di conversazioni in quel momento. Voleva solo riposarsi per riacquistare lucidità. Qualche altro attimo di silenzio trascorse prima che l'individuo decidesse di aprire bocca.
«Non mi sono ancora presentato. Sono Jawed di Damasco e sono un aspirante cartografo»

Venezia PenitenteDonde viven las historias. Descúbrelo ahora