XXXV

31 4 7
                                    

Quando arrivarono alla barca, Isaia fece cenno a Timoteo di aspettarlo lì. Doveva prima fare una cosa. Il bambino annuì, svuotato anche dell'energia di chiedergli cosa fosse, e si sedette a gambe incrociate sul molo. Ora che la tempesta era finita, si riusciva a scorgere il profilo della costa poco distante dall'Isola delle Rose. Il bambino osservò le increspature collinari all'orizzonte e gli alberi maestri dei navigli ormeggiati che si stagliavano sopra la nebbia. I suoi occhi erano tornati stanchi e rassegnati, ma sembrarono contemplare il panorama con una fioca luce di limpidezza. Anche se l'incanto dell'isola si era infranto, il verde delle distese di piante palustri era più vivace di prima, immerso nelle tinte rossastre del tramonto. Aguzzando la vista, si riusciva addirittura a scorgere i pennacchi di fumo che si levavano dalle città della costa meridionale e il luccichio delle lamiere di Rocca Scarlatta che palpitava a est. Isaia osservò per qualche istante il panorama a fianco del bambino, sperando che quei colori potessero momentaneamente riempire la voragine che si era aperta dentro di lui, dopodiché sospirò e tornò a concentrarsi su ciò che doveva fare. Senza fare rumore, si sporse verso la barca ormeggiata e afferrò il fagotto con dentro le provviste e la mappa. La suora che poco fa li aveva accolti sul molo camminò verso di lui, forse convinta che fossero già pronti a partire, ma si immobilizzò nei suoi passi non appena il persecutore estrasse lo spadone a due mani dal sacco.
«Oh, cielo benedetto!» esclamò, sbigottita dal gesto «Fermatevi! Che avete intenzione di fare?»
Isaia sbuffò mentre soppesava la lama. Il braccio gli doleva ancora per lo sforzo che aveva compiuto brandendola con una mano sola, ma questo non lo avrebbe fermato. La suora boccheggiò esterrefatta quando vide il persecutore tornare verso il sentiero che conduceva all'Ospitale con la strada stretta in mano.
«Fermatevi!» ripeté, la voce colma di terrore, ma Isaia la ignorò. Continuò a camminare senza fretta verso l'edificio, ascoltando il proprio respiro farsi più pesante dietro la maschera. La sua marcia ponderata e inevitabile, gelida in ogni passo, fece trasalire anche dei mercanti intenti a ormeggiare la propria barca al molo. Essi lo fissarono completamente sbigottiti mentre una strana sensazione iniziava ad avvolgere l'intera isola. Nulla poteva fermare quell'uomo corazzato, intento a camminare verso l'Ospitale senza la minima paura negli occhi. Emanava un'aura trascendente, mortifera, minacciosa al punto da congelare i pensieri di chiunque lo incontrasse in quell'istante. Una volontà irrefrenabile, spinta da passioni di magnitudine troppo grande per essere compresa, stava per compiersi. Era impossibile non percepirlo nell'aria.
Isaia salì la scalinata di calcare, avvolto in un silenzio tombale, e presto raggiunse l'Ospitale. Non appena la sua sagoma varcò la soglia d'ingresso, tutto ammutolì. Anche i profumi degli unguenti sembrarono dissiparsi, soffocati dalla sua ombra come piante avvizzite dall'arrivo del gelo invernale. Nessuno, nemmeno i Cacciatori di Reliquie, aveva mai osato entrare nell'Ospitale con la spada sguainata. La potenza di una tale blasfemia era così forte da rapire il fiato e oscurare ogni barlume di ragione anche dalle menti più pure. Alcune infermiere provarono a fermare Isaia, articolando parole sbigottite con le gole scosse da fremiti di paura, ma lui non le sentì. Come sulla barca, aveva perso ogni percezione dei sensi. In quel momento le uniche cose che sentiva erano il freddo abbraccio dell'armatura e il dolore del braccio ferito che lo costringeva a stringere i denti. Isaia scosse la testa. Nulla poteva distrarlo dall'obiettivo che si era fissato in mente ed egli superò le suore con fredda disinvoltura, senza curarsi dei loro sguardi. Attraversò a ritroso la strada di prima, lasciando che l'oscurità calasse sempre più soffocante sull'edificio, e si fermò solo quando giunse di fronte all'ampio giardino che adornava il chiostro principale.
L'albero sacro dell'Isola delle Rose sembrò sostenere lo sguardo di Isaia con le sue fronde. La luce della luna sorgente trapelava dalle foglie illuminando il giardino di una luce spettrale mentre le tinte del tramonto si spegnevano all'orizzonte. Isaia strinse la presa sull'elsa della spada e alzò gli occhi per ammirare l'albero in tutto il suo splendore. Non si era accorto che le suore lo avevano seguito e ora lo stavano spiando dal corridoio. Dopo un profondo sospiro, quindi, Isaia scavalcò lo steccato di ferro che circondava il giardino e si diresse a passo sicuro verso l'albero. Le infermiere inorridirono quando capirono le intenzioni del persecutore, ma era troppo tardi.
Isaia mulinò la spada con furia incredibile e scoccò un colpo micidiale al tronco della betulla. Il legno emise un gemito assordante e le suore strillarono all'unisono dietro di lui. Quando il persecutore staccò la spada, un profondo squarcio era apparso sul tronco. La corteccia era andata in frantumi e la polpa si era scheggiata lasciando scoperti gli anelli del legno. Isaia inspirò profondamente e menò un secondo fendente, ancora più brutale, che provocò un taglio simile poco più sopra. Le suore corsero verso lo steccato, terrorizzate, e lo implorarono di smetterla tra gli strilli di paura, ma Isaia non era intenzionato a fermarsi. Vibrò un altro colpo, poi un altro e un altro ancora. Con una furia mai vista prima, il persecutore continuò a vibrare rapidi fendenti al tronco dell'albero. Le schegge volavano nell'aria come scintille e la linfa sgorgava dalle ferite come sangue. L'albero scricchiolava e latrava, implorando l'uomo corazzato di fermare la sua vendetta, ma la determinazione di Isaia era inattaccabile. Non gl'importava dei muscoli del braccio intenti a lacerarsi e delle infermiere che lo supplicavano con voce distrutta dal dolore. Non gl'importava più di niente. I suoi fendenti selvaggi dilaniarono il legno pezzo per pezzo, squarciando ogni fibra finché il tronco non iniziò a ondeggiare avanti e indietro. Il cuore di Isaia esplose di passione quando il suo braccio scoccò il colpo di grazia definitivo. Il tronco lanciò un ultimo, straziante grido di dolore prima di piegarsi su se stesso e precipitare inerte sul giardino con un'infernale coro di schiocchi. Le suore dell'Ospitale tacquero, sconcertate. Un lungo silenzio avvolse l'edificio mentre Isaia abbassava lo sguardo per contemplare ciò che aveva fatto. Meditò per qualche istante, ignorando le vene del braccio che pulsavano accecandolo dal dolore, e sentì il suo respiro ansimante placarsi di fronte al tronco martoriato. Ora non si sentiva più vuoto.
Senza aggiungere altro, Isaia agitò la spada nell'aria per pulirla da resina e schegge, dopodiché si voltò e se ne andò. Le suore lo fissarono completamente sconvolte mentre il dolore iniziava a sostituire il terrore. Alcune di loro iniziarono a mugolare, troppo invase dalla disperazione per contenerlo nelle loro gole, altre non riuscirono a staccare lo sguardo dall'uomo corazzato che ora le stava abbandonando con disinvoltura. Isaia scavalcò la recinzione di ferro e aggirò il gruppo di infermiere senza guardare nessuna di loro negli occhi. Poi percorse a ritroso la strada di prima fino a raggiungere il molo. Un gruppo di curiosi si era riunito di fronte all'entrata dell'Ospitale, forse allertati dalla suora che lo aveva visto brandire la spada, e tutti loro sussultarono quando videro il persecutore uscire dall'atrio senza curarsi di loro. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto e le braccia in preda a incontrollabili spasmi di dolore. Qualcuno di loro gli inveì contro, chiedendogli perché fosse entrato armato nella struttura, ma tutti ammutolirono quando videro la lama sporca di trucioli di legno. Isaia non poteva essere più distaccato dal mondo in quel momento. Gli insulti e le domande pregne di panico sembrarono rimbalzare sulla sua corazza e svanire come echi nell'aria mentre egli continuava a camminare verso il molo. Quando scese gli scalini, gli sembrò di camminare a venti centimetri dal suolo, immerso in un tesseratto di pensieri agglomerati con una densità tale da cancellare ogni altra cosa. Accelerò il passo, a malapena abbastanza cosciente da ignorare il dolore con sforzo sovrumano, e presto giunse alla sua barca. Le sue mani sembrarono sciogliere i nodi d'ormeggio autonomamente, come se il suo apparato locomotore si fosse distaccato da ogni volontà dello spirito. Isaia non era nemmeno più certo di avere uno spirito. Sciolse i nodi in fretta, stremato da quell'avventura, e tirò un profondo sospiro di sollievo non appena riuscì a salire a bordo con un balzo. Non sarebbe riuscito a ricacciare indietro il dolore a lungo. Era meglio godersi quei momenti di purissimo distacco da ogni sensazione terrena finché sarebbero durati, intimi com'erano. Timoteo osservò il persecutore con indifferenza, noncurante della resina che aveva imbrattato la spada. Gli indagò gli occhi per qualche istante, in silenzio, poi afferrò i remi poggiati sul fondo della barca e la spinse goffamente verso il largo. La folla di curiosi era scesa lungo il molo, perciò il bambino si allontanò in fretta dall'isola mentre le loro voci si perdevano nell'aria rarefatta. Quella gente era furiosa, ma nessuno di loro avrebbe avuto il coraggio di sfidare il persecutore. Restarono lì sul molo, coprendo di ingiurie i due compagni finché la barca non fu troppo distante, e Timoteo presto li vide tornare nell'edificio con passi nervosi. Allora il silenzio tornò ad avvolgere la laguna.
«Qual è la direzione?» domandò il bambino.
Isaia si rigirò, cercando di trovare una posizione che alleviasse il dolore, poi alzò il braccio e indicò il nord-nord-est.
«Bene»
Timoteo cominciò a remare verso il punto indicato dal compagno. L'acqua era molto meno mossa rispetto a prima, perciò gli sforzi che egli doveva fare erano alla sua portata. Inoltre, si era già abituato all'attività di remare e non soffriva praticamente più il mal di mare. La barca attraversò la notte della laguna silenziosamente, solcando le acque immerse in un silenzio ossequioso per diversi minuti. Dietro di loro, la sagoma dell'Ospitale si fece sempre più piccola fino a sparire, ma questa volta Timoteo non si soffermò a guardarla. Era troppo intento a fissare il vuoto, abbandonato ai propri pensieri senza più la forza di lottare contro di essi. Il profilo delle terre costiere venne presto inghiottito dall'oscurità mentre egli remava con le braccia indolenzite, e Isaia dovette alzarsi per accendere la lanterna di prua. Una volta fatto, quindi, si accomodò sul fondo della barca e incominciò a vegliare sul bambino con gli occhi offuscati dalla stanchezza. Abbattere l'albero dell'Isola delle Rose lo aveva drenato di ogni forza, ma sentiva di dover restare sveglio. Non voleva che i remi cadessero in acqua. E qualcosa dentro di sé gl'impediva di abbandonare il bambino alla solitudine per l'ennesima volta. Fortunatamente, Timoteo remò con fredda concentrazione, forse sperando che quel movimento ripetitivo lo aiutasse a cancellare i pensieri, e la barca proseguì per qualche miglio prima che egli si fermasse.
«Sono stanco morto» disse, strofinandosi via il sudore dalla fronte. Isaia annuì e osservò il cielo stellato sopra di loro. Dovevano essere le dieci di sera e c'era appena un filo di vento nell'aria. Raramente aveva visto la laguna così tranquilla. Era surreale percepire una simile quiete mentre i loro animi erano tempestati dall'esperienza appena vissuta.
«Mangiamo qualcosa»
I due compagni posarono la lanterna a olio al centro della barca e si sedettero a gambe incrociate. Il rollio dell'imbarcazione era quasi confortevole nonostante l'oscurità che avvolgeva ogni cosa intorno a loro. Il persecutore estrasse qualche galletta e un paio di fette di formaggio dal fagotto. Li porse a Timoteo, poi si prese una razione anche per sé. I due mangiarono senza parlare. Erano ancora parecchio scossi, ma la navigazione notturna li aveva leggermente rincuorati. Per qualche strana ragione, una docile sensazione di isolamento aveva riempito i loro cuori dopo che la tempesta era cessata, una sorta di sospiro crepuscolare che rendeva ogni momento più raccolto nonostante i pensieri turbolenti. Timoteo mangiò con calma il proprio pasto, perdendosi a osservare le briciole che gettavano ombre sottili alla luce della lanterna, e bevve un po' d'acqua dalla borraccia di cuoio del compagno. Il suo viso si contrasse in un'espressione inacidita quando provò un pezzo di formaggio, ma Isaia gli fece cenno di mandare giù senza pensarci.
«Quindi cosa facciamo adesso? Verrò a vivere con te?» domandò, dopo qualche istante di titubanza.
Il persecutore annuì, masticando un'altra galletta. Questa volta si era tolto l'elmo di fronte al bambino per mangiare insieme a lui, troppo stanco per preoccuparsi delle proprie insicurezze. L'oscurità celava i suoi lineamenti dietro una coltre d'ombre, lasciando solo intravedere qualche guizzo di volto alla luce baluginante della lanterna.
«Ti ringrazio davvero molto» l'espressione di Timoteo tornò malinconica «e mi dispiace che sia andata così». Isaia si piegò in avanti con un forte clangore dell'armatura e gli posò la mano sulla spalla in segno di conforto. Non doveva scusarsi assolutamente di nulla. Il bambino lo guardò negli occhi e annuì con gli occhi velati di rammarico.
«Non vedo l'ora di tornare da Rebecca. Spero stia bene» disse. Isaia finì di mangiare e si rimise lentamente la maschera. Era certo che stesse bene e che avesse pregato per la buona riuscita di quel viaggio giorno e notte in attesa del suo ritorno. Anche lui non vedeva l'ora di rivederla. Tornò a distendersi sulla schiena per osservare il cielo stellato, quindi si rigirò sopra il braccio in modo da cercare di alleviare il dolore. Il richiamo di un uccello notturno in lontananza fece sussultare i due compagni. Dovevano essere vicini a qualche isola immersa nel buio lagunare. In qualunque altra circostanza Isaia sarebbe rimasto in allerta, specialmente in una notte inusualmente tranquilla come quella, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato necessario. Dopotutto erano quasi fuori dal territorio dei Cacciatori, e in ogni caso lui non sarebbe stato in grado di difendersi in caso di attacchi a sorpresa visto lo stato delle sue braccia. L'aria della laguna era sempre in fermento, ma non quella notte. Quella notte Isaia aveva l'impressione che tutto dormisse.
Timoteo finì le gallette e trasse un sospiro profondo.
«Cosa farai quando torneremo?» domandò, giocherellando con l'orlo dell'impermeabile.
Isaia aggrottò la fronte dietro la maschera. Non ci aveva ancora pensato. Solo una cosa era certa nella sua mente.
A fatica, il persecutore si piegò in avanti per rialzarsi e mettersi seduto. Timoteo lo vide cercare qualcosa nell'oscurità, tastando il fondo della barca con il braccio teso, e sistemò la lanterna in modo da aiutarlo. Quando la luce giallastra si rifletté sullo spadone a due mani, poggiato vicino ai suoi piedi, Isaia ringraziò il bambino con un cenno del capo. Afferrò la spada e la esaminò. La lama si era irrimediabilmente scheggiata per via dei colpi inferti al legno e l'arma era ancora ricoperta di trucioli e resina raggrumata. Isaia la fissò per alcuni secondi, ringraziandola nel suo intimo per i servigi che gli aveva recato. Dopodiché, la buttò in acqua. La spada venne subito inghiottita dall'ombra della notte, svanendo alla vista dei due compagni, e si udì solo il tonfo del metallo che precipitava nella laguna prima di affondare gorgogliando. Timoteo osservò tutto senza battere ciglio. Aveva perfettamente capito il significato di quel gesto. Non era un modo per abbandonare la sua custodia o un gesto di inerte abbandono nelle braccia della sorte. In quello stato, Isaia non avrebbe potuto usare la spada in ogni caso finché non fossero tornati a Venezia. No, il significato di quel gesto era ben più profondo.
Timoteo si avvicinò a Isaia, fissandolo negli occhi spossati con un bagliore di solenne gratitudine. Allargò le braccia, sciogliendo ogni rigidità che lo aveva congelato nel suo silenzio colmo di apatia, e il compagno lo abbracciò stritolandolo in una morsa affettuosa. I due uomini restarono in quella posizione per un tempo che parve infinito, abbracciati come vecchi amici mentre la barca beccheggiava nel più profondo silenzio. La loro lanterna solitaria nell'oscurità sembrava una stella nel cielo notturno, tremolante dietro i vapori tossici della laguna ma incredibilmente bella nella sua semplicità. Timoteo carezzò il freddo metallo dell'armatura con gli occhi serrati, stando attento a non toccare le braccia di Isaia per non ferirlo, e si staccò solo quando sentì di essersi scaldato abbastanza.
«Andiamo, ora. Domani mattina potresti provare a remare tu, sempre se te la senti» disse, posando i remi sugli scalmi. Isaia annuì silenziosamente e tornò a sdraiarsi nella medesima posizione di prima. Ora non si sentiva decisamente più vuoto. I pericoli del viaggio di ritorno incombevano sui due compagni mentre la barca tornava a muoversi verso nord-est, ma Isaia si sentiva fiducioso. Non avevano più un'arma ed entrambe le sue braccia erano dilaniate dal dolore, ma il peggio era passato. D'altronde la tempesta era finita e la laguna non era mai stata così placida, anche se non sarebbe durato a lungo. Se erano riusciti a sopravvivere a Rocca Scarlatta, nulla avrebbe potuto scalfire le loro volontà d'animo, e il pensiero che la provvidenza divina avesse gettato una maledizione su di loro non lo turbava affatto. La stessa rassegnazione che contraddistingueva Timoteo si dipinse nei suoi occhi mentre la barca solcava le nebbie della laguna addentrandosi in acque ignote. Dopodiché, Isaia si addormentò cullato dalle onde.

Venezia PenitenteМесто, где живут истории. Откройте их для себя