XXII

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I Discepoli di Viburnia si sedettero all'unisono, alcuni al proprio tavolo e altri sul pavimento di marmo, e iniziarono a parlottare tra loro mentre dalle cucine si levava un profumo stucchevole. Presto gli schiavi uscirono brandendo enormi vassoi di bronzo e incominciarono a distribuire le pietanze agli invitati partendo da Sarpedonte. Timoteo sembrò accigliarsi al vedere gli uomini vestiti di stracci e coperti di lividi, ma non disse nulla. Teneva lo sguardo basso e giocherellava con il tovagliolo, immerso nel tentativo di ignorare il panico che lo aveva assalito alla vista del cinghiale. Isaia lo compatì. Chissà dov'era finito Oreb, in mezzo a tutta quella folla. Ogni secondo trascorso era un momento di nervosa attesa in vista della fuga. Il persecutore tornò a scrutare i conviviali nel tentativo di scorgere il suo volto ma non ci fu niente da fare. Anzi, vide Sarpedonte in fondo alla sala inalare del Malephar da una navicella d'argento e ciò lo fece sentire ancora più nauseato e irrequieto.
Timoteo sussultò quando gli schiavi arrivarono al loro tavolo. Vi posarono una caraffa di vino rosso, diversi piatti a base di carne e una specie di poltiglia di riso condita, poi fecero un breve inchino e se ne andarono. Isaia osservò i piatti con la fronte corrugata. Sembravano unti e calorici, decisamente l'opposto delle pietanze che Rebecca gli preparava di solito. Normalmente potevano permettersi il miglior pane della città e verdure fresche con i suoi guadagni, oltre ai tagli più pregiati del macellaio. Tutto l'opposto del cibo troneggiante su quei vassoi. I tre uomini restarono immobili a fissare la carne per diverso tempo, indugiando nei propri pensieri. Non avevano paura che il cibo offerto dai nemici fosse guasto, si sentivano solo troppo confusi e insicuri in mezzo a tutta quella folla che li osservava famelica. Jawed fu il primo a superare l'esitazione e allungò lentamente il braccio verso la poltiglia di riso.
«Ci stanno osservando in cagnesco» mormorò, trascinando il piatto verso di sé con le mani rigide «potrebbero offendersi se non mangiamo nulla. Meglio non dare nell'occhio»
Isaia confermò le parole del cartografo annuendo, ma restò immobile. Gli altri due dovevano mangiare, ma lui non poteva togliersi l'elmo di fronte all'intera setta dei seguaci di Viburnia. Dopotutto non avrebbero osato toccare il fratello del loro comandante. In più, la nausea stava peggiorando di minuto in minuto. Timoteo lo guardò con un'espressione interrogativa dipinta sul volto. Forse era ancora titubante di fronte a pietanze così strane ai suoi occhi. Isaia gli fece cenno di mangiare e il bambino prese malvolentieri un pezzo di carne oleosa.
«Potreste dirmi di che carne si tratta, se avete intenzione di assaggiarla?» gli domandò Jawed «Io non posso mangiare alcuni tipi di carne, ma se è pollo o vitello posso mangiarla»
Timoteo si voltò verso di lui con il più totale smarrimento dipinto negli occhi.
«Non saprei...» rispose «non ho mangiato molta carne»
«Oh. Non fa niente» Jawed prese una cucchiaiata di riso e se la portò alla bocca. Una volta sorbita la pappa biancastra, quindi, il suo viso si contrasse in una smorfia inacidita. Ingoiò il boccone, si pulì la bocca col tovagliolo e si voltò verso Isaia.
«Non è per niente come la zuppa di pesce di mezzogiorno» biascicò «ve la sconsiglio semmai abbiate intenzione di mangiare»
Il persecutore scosse la testa e il cartografo tornò a chinarsi sul piatto per riprendere a mangiare. Anche Timoteo addentò il suo pezzo di carne con un po' di titubanza, ma il suo piatto sembrava avere un sapore migliore perché la sua espressione si distese leggermente. Isaia incrociò le braccia e osservò i due compagni mangiare in silenzio mentre il tempo passava lentissimo. Il rumore delle mandibole che masticavano impiastricciate di grasso era quasi più forte dell'euforico cicalìo dei commensali, tanto che iniziò a provocargli una sorta di allucinata sonnolenza. Dovevano essere le tre o quattro di notte e l'ansia stava iniziando a stremarlo mentalmente e fisicamente. Dopo il forte pugno emotivo che Oreb gli aveva mollato, il persecutore avrebbe dovuto riposarsi invece di lasciarsi trascinare in quel posto. Ma non aveva avuto scelta. Ora si trovava nelle profondità della tana del nemico, impotente e disarmato, e ogni suo muscolo era in allerta. Intorno a lui i cacciatori stavano tracannando vino e miele in quantità preoccupanti. Le loro urla si stavano facendo sempre più disumane e i loro occhi sempre più iridescenti. Il vapore della carne si alzò verso il soffitto, mischiandosi con il fumo nero dei bracieri in un turbinante vortice che faceva venire le lacrime agli occhi e che si contorceva con ogni respiro della sala.
«Quando possiamo andarcene?» domandò Timoteo, deponendo le ossa ancora piene di polpa sul vassoio.
Isaia lo fissò per qualche secondo senza reagire, poi gli fece cenno di continuare a mangiare.
«Non ho molta fame» il bambino tornò a carezzare il tovagliolo con le dita.
«Nemmeno io, ma non c'è scelta» gli rispose Jawed.
Timoteo annuì e rivolse uno sguardo dolente a Isaia, poi si voltò verso l'ingresso della sala che era presidiato da diverse guardie.
«Perché prima hanno liberato quel mostro?» domandò.
Jawed sospirò «Non so, dev'essere un loro rituale legato a usanze locali. Come recitare la preghiera prima di mangiare»
«Non hanno recitato la preghiera prima di mangiare» gli fece notare Timoteo.
«Era solo un esempio» il cartografo si tolse un pezzo di grasso che gli era rimasto incastrato tra i denti e rivolse uno sguardo preoccupato a Isaia. Il persecutore aveva la testa chinata e il petto pulsante, come se stesse dormendo. Non sembrava affatto lucido. Timoteo mugugnò e riprese a mangiare controvoglia, osservando il cibo a lungo prima di dargli qualche morso schizzinoso. E molti minuti passarono.
Quando Isaia rialzò la testa, dei servi erano arrivati al loro tavolo per portare via gli avanzi. Intorno a lui il banchetto stava iniziando a degenerare. I Discepoli di Viburnia erano esplosi in gracchianti risate con le fauci piene di cibo e si rotolavano a terra annebbiati dall'ubriachezza. Sarpedonte tentò di biascicare altre parole cerimoniali ma tutto ciò che gli uscì dalla gola furono degli starnazzi euforici. I cacciatori intorno a lui lo canzonarono in coro. L'atmosfera insalubre era tanto densa che gli schiavi sembravano fluttuare tra i tavoli in una sorta di sogno allucinato. Isaia li seguì con gli occhi strabuzzati finché una coppia di loro si avvicinò al loro tavolo con una panciuta caraffa di bronzo.
«Il quartiermastro Oreb vi offre in dono questo vino» le loro parole giunsero ovattate alle orecchie del persecutore «dalle cantine di Gernione, invecchiato settantadue anni. Insiste molto affinché lo assaggiate»
Timoteo sussultò e si voltò di lato non appena notò i due schiavi. Jawed gonfiò le guance e inspirò profondamente facendo colare il sudore dal naso. Anche lui iniziava a non sopportare più l'aria pesante da baccanale.
«Mille grazie» rispose, lasciando che gli schiavi versassero il vino nella sua coppa.
«Ha anche un messaggio per voi» aggiunse il servo che aveva parlato. Isaia drizzò le orecchie e si riscosse improvvisamente dall'estasi sonnolenta. Che fosse finalmente giunta l'ora della fuga?
«Il suo messaggio è: "Quando il bue arriverà inatteso". Così mi ha detto di riferirvi» continuò lo schiavo, accingendosi a versare il vino anche nella coppa del persecutore.
«Solo questo?» domandò Jawed, inarcando il sopracciglio.
«Sì, è tutto» rispose l'individuo una volta riempito il calice «ha detto questo e vi raccomanda di accettare il suo dono e di berlo con gusto»
Il cartografo mugolò in segno affermativo e i due servi fecero un breve inchino prima di allontanarsi frettolosamente. Isaia li seguì con gli occhi mentre si districavano tra la folla sempre più incontrollata. Gli sgabelli erano rovesciati in tutta la stanza e il sudore grondava gocciolando dalle barbe insieme al grasso liquefatto. In più, si poteva sentire una lieve puzza di vomito in mezzo all'odore di feromoni e sugo sparso sul pavimento. Jawed e Timoteo si voltarono verso Isaia, aspettando ulteriori istruzioni, e il persecutore si chinò in avanti per esaminare il vino appena versatogli. Se Oreb aveva ordinato ai servi di insistere, doveva esserci un motivo. Certo, poteva essere solo il suo solito modo di fare per invitarli ad accettare un dono che altrimenti avrebbero rifiutato. Era sempre stato un amante dei migliori vini. Ma poteva anche essere un tassello fondamentale della fuga. Forse aveva disciolto qualcosa nel vino per aiutarli. Magari un antidoto per qualcosa? E se il cibo fosse stato avvelenato? E se invece il veleno fosse in quel vino e Oreb avesse deciso di tradire il sangue del proprio sangue? "Quando il bue arriverà inatteso". Non era proprio tempo per gli enigmi. Isaia strinse i pugni, frustrato dalla coltre di nebbia che gli congestionava il cervello. Non riusciva a riflettere lucidamente dopo tutte quelle ore di fracasso.
«Che facciamo?» gli domandò Jawed, allungando il collo per controllare l'aspetto del vino. Isaia lo fissò innervosito. La sua faccia imperlata di vapore condensato si stava facendo sempre più disorientata, e lo stesso valeva per Timoteo. Non poteva indugiare troppo.
Senza esitazione, Isaia afferrò la coppa di vino e si voltò verso la colonna. Una volta assicuratosi che nessuno potesse vedere il suo volto, quindi, alzò la visiera e tracannò metà del calice in un unico sorso. Jawed sussultò, colto alla sprovvista dalla bruschezza con la quale il persecutore aveva risposto.
«Speriamo bene, allora. Alla salute» disse prima di seguire il persecutore sorseggiando dalla coppa.
Timoteo osservò i due compagni senza fiatare, visibilmente scettico, poi tornò a guardarsi le mani respirando pesantemente per restare sveglio. Isaia bevve un altro sorso, poi si calò la visiera e tese il braccio per richiamare l'attenzione del bambino. Era meglio dare un po' di vino anche a lui per sicurezza, ma egli scosse la testa e si ritrasse sulla sedia.
«Ne bevo un po' dopo» disse «adesso non ce la faccio. Mi scappa la pipì»
Isaia inclinò il capo. Era un muto "perché non l'hai detto prima?". Pose il calice sul tavolo e si alzò facendo cigolare la corazza, poi allungò la mano verso il bambino. Timoteo si spinse in avanti con le braccia per scendere dall'alto sgabello di metallo e accettò riluttante la mano del compagno.
«Che stanchezza» mormorò Jawed, seguendo con gli occhi i due compagni in procinto di allontanarsi «servirebbe un caffé, non del vino. Ma è un buon vino in fondo». E sbadigliò intensamente prima di bere un altro sorso dal calice.
Isaia e Timoteo si allontanarono dal tavolo e si diressero verso il corridoio che conduceva alle latrine. Era passata più di un'ora dall'inizio del banchetto e attorno a loro il baccanale stava infuriando con più forza che mai. La sala era diventata teatro di vomito e schiamazzi, con cacciatori che si rotolavano nel lardo strepitando e rovesciando anfore di vino nelle loro bocche sbilenche. Isaia dovette trattenere il respiro da quanto l'aria si era fatta pesante e rarefatta. Sarpedonte ora era accasciato a terra come una balena di carne sudata e stava leccando del Malephar rimasto sul pavimento con il volto contratto in un'orrenda smorfia d'ingordigia. Intorno a lui, i suoi compagni più fidati si erano denudati quasi del tutto per il calore insopportabile e si avvinghiavano tra loro per cercare di muoversi in giro in una sorta di lago di braccia e gambe. Isaia rabbrividì. Ecco, era proprio a quello che assomigliava la sala: a un lago di corpi luridi e fetidi che sghignazzavano e latravano in preda all'irrefrenabile estasi collettiva che aveva avvelenato l'aria. I due compagni scavalcarono la panciuta carcassa di un discepolo intento a divorare una costoletta sdraiato al suolo e aggirarono un gruppo di cacciatori cosparsi di grasso che lottavano con gli occhi rapiti dall'ebbrezza. Timoteo fu costretto a girarsi dall'altra parte quando in mezzo alla folla vide un uomo chino a quattro zampe con i testicoli penzolanti e singhiozzò contro la corazza di Isaia.
«Mi viene da vomitare» mugugnò con tono sofferente «non riesco a respirare qui dentro. Ti prego, andiamocene»
Isaia gli avvolse il braccio intorno alle spalle e gli carezzò la testa, poi affrettò il passo. Le due guardie in piedi di fianco alle latrine li lasciarono entrare e sogghignarono non appena videro la smorfia di disgusto sul viso del bambino. I passi di Timoteo e Isaia rimbombarono nelle pareti di marmo del corridoio mentre il frastuono gorgogliante del banchetto si faceva sempre più ovattato e l'aria più puzzolente. Sbucarono quindi nella latrina e Timoteo strabuzzò gli occhi più volte e si pulì le lacrime dal volto con la manica macchiata di sebo.
«Grazie» mormorò, drizzando la schiena. Isaia lo aspettò dalla porta mentre lui si dirigeva verso un bagno libero. Il pavimento era sudicio e incrostato di ogni tipo di liquidi umani, ma era sempre meglio dell'atmosfera del banchetto. Timoteo fece attenzione a non calpestare nulla di eccessivamente disgustoso mentre si avvicinava alle latrine. La puzza di escrementi era insopportabile. Si calò le braghe con le mani che tremavano e fece la pipì più velocemente possibile dentro uno degli svariati buchi che componevano le latrine.

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