XXXII

16 4 2
                                    

«Come? Devo remare io?» domandò Timoteo, osservando i remi che Isaia gli aveva allungato con la fronte corrugata. Il persecutore annuì energicamente. Gli indicò il braccio ferito, che tremava sotto le gelide folate di vento, e agitò i due remi per invitarlo a prenderli. Finora era riuscito ad allontanare la barca dalla palafitta grazie al suo unico braccio funzionante, ma la corrente era troppo forte per un remo soltanto.
«Ne sei sicuro?»
Isaia annuì in segno affermativo.
«D'accordo» sbuffò Timoteo «ma non l'ho mai fatto prima»
Prese delicatamente un remo dalle mani di Isaia e ne saggiò il peso con le braccia gracili. Dopodiché, lo poggiò a uno degli scalmi della barca e ripeté la stessa cosa con l'altro. Le sue braccia erano piuttosto corte, così Isaia gli fece cenno di stringere con forza i remi per non rischiare che cadessero in acqua.
«Ora che faccio?» domandò, osservando gli schizzi che bagnavano il legno.
Isaia gli mostrò il movimento utilizzando il braccio sano e Timoteo lo imitò goffamente, facendo stridere i remi contro l'osso in cui erano intagliati gli scalmi. Avanti, indietro, avanti, indietro. Isaia continuò a roteare ritmicamente il braccio e invitò il bambino a seguire il ritmo. Timoteo sbuffò un'altra volta, irritato dall'idea che avrebbe dovuto remare fino all'Isola delle Rose, e seguì a specchio i movimenti del compagno finché l'imbarcazione cominciò timidamente ad avanzare. Le onde erano ancora parecchio mosse, ma egli ci prese la mano dopo soli pochi minuti. La barca iniziò a dirigersi lentamente verso sudovest e Isaia controllò sulla mappa che la rotta fosse giusta.
«Come farai a tornare indietro se non riesci a remare?» il tono di Timoteo non era curioso, solo svogliato e un po' cinico. Isaia ignorò la domanda e gli fece cenno di affondare con più determinazione i remi nell'acqua. Con quelle braccia corte, il bambino a malapena ne immergeva le punte. Dopodiché aguzzò la vista per guardarsi intorno. Stavano navigando molto vicini al confine delle terre dei Cacciatori di Reliquie e Isaia non voleva rischiare ulteriori incontri. Osservò le casupole del villaggio dell'Arca Sinoda farsi più piccole dietro di loro, così silenziose da sembrare disabitate, e le acque paludose farsi più profonde con ogni vogata di Timoteo. Con quella pioggia torrenziale sarebbe stato difficile trovare altre barche nei paraggi, ma vista la recente attività dei Cacciatori di Reliquie non si poteva essere abbastanza prudenti. Tuttavia, sembrava che non ci fosse nessuno a far loro compagnia nel raggio di chilometri.
«Quando finirà la pioggia?» chiese Timoteo, col respiro un po' più ansimante.
Isaia gli indicò con le dita che non sarebbe durata ancora a lungo. Le tempeste non duravano mai più di tre o quattro giorni e quella era già stata eccezionalmente lunga. Le nubi che incombevano sopra di loro presto si sarebbero sfilacciate in sbavature grigiastre nel cielo e il sole sarebbe tornato a splendere. Timoteo annuì cupamente e abbassò gli occhi a fissare il fondo della barca, dove la pioggia aveva formato un dito d'acqua stagnante. Un piccolo gorgo era apparso sopra la fessura tra due assi e vorticava incessantemente come i suoi pensieri, intorbidendo l'acqua sporca. Il suo moto a spirale era abbastanza ipnotico da distrarlo dalla noia e aiutarlo a mantenere il ritmo con le braccia già stanche per lo sforzo. Timoteo sbadigliò, si sistemò l'impermeabile sul naso e iniziò a remare con più foga sperando che il tempo passasse in fretta.
La barca continuò a navigare lentamente verso est durante il pomeriggio. Presto il paesaggio cambiò, e dalle paludi allagate della Pellestrina passò alle acque più placide della laguna meridionale. Timoteo era ancora un po' impacciato con i remi, ma se la cavava molto bene considerando la pioggia e le onde del mare mosso. Isaia dovette aggiustare la rotta solo un paio di volte, controllando i punti di riferimento dipinti sulla mappa per orientarsi nella nebbiolina lagunare. Dopo poco più di un'ora, quindi, Timoteo trasse a bordo i remi e incominciò ad ansimare profondamente.
«Non ce la faccio più» boccheggiò, stremato dall'attività fisica a cui non era abituato «continua tu, ti prego»
Isaia annuì, prese uno dei remi e gli diede il cambio. Non mancava molto ormai. Se si aguzzava la vista, si poteva scorgere un puntino in lontananza, nascosto dietro il muro di pioggia. Isaia era certo che fosse l'Isola delle Rose, e il pensiero di raggiungerla entro sera era senz'altro abbastanza da sovrastare ogni fatica. Prima di riprendere a remare, tuttavia, lo sguardo di Isaia si posò sulla sagoma del pugnale ancora nascosto sotto le brache di Timoteo. Si chinò in avanti, guardò il bambino dritto negli occhi e gli fece cenno di tirarlo fuori. Timoteo sembrò stizzirsi non appena comprese la richiesta.
«Ti ho già detto quello che penso» disse, senza nascondere una punta di frustrazione, «e se riesci a malapena a remare, non puoi difendermi. Hai paura che mi faccia male? Guarda! L'ho avvolto in uno straccio per non ferirmi. Se avevi paura di questo, ecco qua»
Timoteo tirò nervosamente fuori il pugnale dai pantaloni. Lo aveva arrotolato in uno spesso panno trovato in casa dell'Ustà, lasciando fuori solo l'elsa. Isaia osservò l'arma con il sopracciglio sollevato, preoccupato dall'ostinazione del bambino, e gli fece cenno per l'ennesima volta di consegnargliela. Timoteo digrignò i denti.
«Ti ho già detto di no» insistette, «quante volte devo ripeterlo? Inizi a stufarmi»
Isaia cercò di allungare la mano in avanti con uno scatto improvviso, ma Timoteo lo aveva previsto. Si nascose la lama dietro la schiena e i suoi occhi fulminarono il compagno.
«Finiscila! Sai solo ricorrere alle mani quando qualcosa non va come vuoi!» esclamò «Solo perché sei muto, non vuol dire che devi fare così! Pensi di sapere sempre tutto, ma ti sbagli. Non sapevi nemmeno la rotta prima che il maestro di Jawed ti desse quelle mappe! Facevi finta di niente pensando che io fossi stupido. Non mi vuoi nemmeno dire cos'è successo a Rocca Scarlatta perché pensi che sono troppo stupido per capire. Non sono stupido! Secondo te lo sono perché ho passato tutta la vita da solo e sono come un neonato, ma non è vero. Sono uscito dalla mia cella, ho visto com'è il mondo fuori e so come bisogna vivere per andare in paradiso. Mi avevi detto che questo viaggio sarebbe finito subito e non era vero. Sei partito proprio quanto è arrivata una tempesta senza fine, hai fatto uccidere Sanudo, mi hai fatto ammalare di una febbre che sento ancora adesso e ci hai quasi uccisi tutti a Rocca Scarlatta. Però io sono stupido e non so niente, già...»
Timoteo abbassò lo sguardo, fuggendo dagli occhi del persecutore, e ricominciò a fissare il minuscolo mulinello che gorgogliava tra le assi della barca.
«Sono stufo di questo viaggio e sono stufo del tuo silenzio. Perché anche se non dici niente si capisce benissimo quello che pensi. Se hai paura che faccia qualcosa di stupido con questo pugnale, non succederà. Avrò bisogno di potermi difendere quando il viaggio sarà finito e lo sai benissimo anche tu. Io mi sono fidato di te per tutto questo tempo. È ora che ti fidi tu di me per una volta»
Detto questo, il bambino alzò lo sguardo e guardò Isaia con severità. Aveva lo stesso sguardo fiero che aveva lampeggiato nei suoi occhi la prima volta che il persecutore lo aveva incontrato.
«Giuro sull'Inferno che userò questo pugnale solo in estremo caso di difesa» disse Timoteo, senza staccare gli occhi dal compagno. Pronunciò ogni parola senza il minimo accenno di paura, le labbra vibranti di energia ora che poteva finalmente sfogarsi. Continuò a sostenere lo sguardo di Isaia per diversi istanti, lasciando che le sillabe del giuramento echeggiassero nella nebbia con solennità, poi si girò a guardare la pioggia.
«E spero che basti»
Isaia era sorpreso. E così la diga era crollata. Timoteo aveva perso definitivamente la pazienza quando ormai mancavano poche ore alla fine del viaggio. Il persecutore cercò di immaginare il mondo attraverso gli occhi del bambino, nel tentativo di trovare la radice di una reazione così inaspettata, ma non vi riuscì. Come temeva, il mucchio di macigni accumulatosi sulla sua schiena durante il viaggio gli aveva finalmente spezzato le ossa. In fondo Isaia aveva ragione: dopo che Timoteo lo aveva visto in faccia il loro rapporto era cambiato. Il persecutore non era più l'amorevole figura senza volto pronta a proteggere il ragazzino con ardore cavalleresco. No, era solo un altro individuo con un floscio braccio di carne e il viso di un demone. L'affetto tra i due non si era ancora disgregato, per fortuna, e la voce di Timoteo non esprimeva alcun rancore, ma tutto era improvvisamente cambiato. Negli occhi del bambino si era accesa la luce di una nuova, triste comprensione. Respirando la stessa aria di Isaia e osservando i gesti con cui comunicava, ne aveva assorbito ogni pensiero ignorando la pesantezza della sua anima. E si era affidato a lui per giorni, ma adesso era impossibile ignorare. Era impossibile distrarsi dalla nera frustrazione che aveva oscurato il mondo da quando aveva messo piede fuori dalla cella e che ora stava fagocitando anche il persecutore. Isaia non lo aveva mai davvero difeso, in fondo: era tutto così chiaro. Il monolite che sembrava invulnerabile era infine ceduto di fronte alle intemperie fino a lasciare solo un mucchio di sassi.
Lo sguardo di Timoteo si fece più distaccato mentre indugiava nella pioggia intorno a loro. Isaia ricominciò a remare con il braccio sano e crollò in un profondo silenzio di rammarico. Provò a ripetersi in testa che il suo obiettivo principale era sempre stato condurre il bambino dalla madre, non conquistare il suo amore, ma non era vero. La verità è che le parole di Timoteo lo ferivano cento volte più del banale sarcasmo di Oreb. In fondo Isaia aveva sempre saputo la verità. L'unica cosa che lo sconfortava davvero era che Timoteo avesse scelto proprio quel momento, a un passo dalla meta, per sbattergliela in faccia.
Il puntino in lontananza crebbe a vista d'occhio durante l'ora seguente. Si poteva vedere il profilo della costa sabbiosa dietro di esso e anche il luccichio di Rocca Scarlatta a est. Presto il puntino divenne un basso promontorio di roccia e le guglie di calcare emersero dalla pioggia come nebulosi obelischi in un sogno. Isaia riconobbe il gigantesco edificio color bianco sporco e il molo a cui erano ormeggiate barche di tutte le forme e dimensioni. Remò con più fretta, impaziente. Man mano che i due si avvicinavano, sempre più dettagli apparvero di fronte ai loro occhi. Dalla pioggia emersero le finestre protette da inferriate barocche, i cipressi del cimitero nella parte bassa dell'isola e infine la bianca cupola della cappella centrale. Isaia trasse un attimo il fiato per contemplare lo spettacolo delle colonne marmoree e dell'albero sacro al centro del chiostro. Finalmente i suoi occhi potevano posarsi sul Sacro Ospitale dell'Isola delle Rose.

I due compagni raggiunsero l'isola in una dozzina di minuti. Isaia remò in modo impacciato e irregolare, con le braccia che gli tremavano per l'irrequietezza. Il suo cuore traboccava di un'emozione inspiegabile. Non era gioia per essere finalmente arrivato, né soddisfazione per aver adempiuto alla promessa. Era una sorta di amara serenità, un tiepido sospiro di sollievo che portò un po' di quiete nei suoi pensieri. Dopo un viaggio così sfaccettato era impossibile decifrare quel profondo sentimento, ben distinto da banalità come letizia e meraviglia così come dalla malinconia. Timoteo invece era impassibile. Osservò l'isola farsi sempre più grande con la fronte corrugata e gli occhi inariditi, visibilmente lieto di vedere l'isola dopo tutte quelle peripezie ma al contempo sospeso nella desolazione di chi si è ormai abituato a contemplare la vista delle rovine. I rombi di tuono non erano fanfare celesti per il loro arrivo e le tinte rossastre del tramonto non riscaldavano i loro cuori. La conclusione del viaggio non assomigliava a nulla di glorioso. Nessuno aveva vinto, dopotutto, se non l'inespressiva musa del destino. Ciò nonostante, era un momento immensamente solenne. I due compagni videro anche un paio d'imbarcazioni dei Cacciatori di Reliquie navigare poco lontano da loro, ma le ignorarono. Nulla poteva spezzare l'incantesimo dell'isola circondata dalla nebbia, e la barca continuò a sfidare il mare con zelo finché non lambì la roccia del sacro molo.

Venezia PenitenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora