VIII

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Le ore trascorsero al ritmo della voga di Sanudo: lentamente. Timoteo continuò a dormire per tutto il pomeriggio, la bocca semiaperta e il viso contratto dai sogni turbolenti. Il persecutore lo teneva d'occhio mentre la barca si addentrava sempre di più nella nebbia che ammantava le acque vicino a Poveglia. Durante quelle ore, estrasse più volte la lettera dallo zaino per rileggerla, sperando di esorcizzare le insicurezze che già iniziavano a emergere.
«un'infermiera di cui non conosco il nome» scandiva la sua mente «ricorda che ha una voglia sul collo identica a quella del bambino»
Isaia si avvicinò cautamente a Timoteo e gli scostò l'orlo del maglione. La voglia era lì: una macchia rossastra di forma irregolare che ricordava vagamente la sagoma di un pesce. Il persecutore non l'aveva mai notata prima d'ora. Si ritrasse cercando di non fare rumore e tornò a sedersi al centro della barca, poi prese inchiostro e pergamena dal fagotto. Era meglio comunicare adesso con Sanudo, visto che presto non ci sarebbe stata abbastanza luce.
Dove ci accampiamo? scrisse, e mostrò il messaggio al barcaiolo.
«Alla Pala di San Sebastiano» rispose Sanudo «dobbiamo tenerci più possibile al largo della costa. Presto entreremo nel territorio dei Cacciatori. In quell'isola non ci va mai nessuno. Con un po' di fortuna potremo passarci la notte indisturbati»
Non c'è modo di trattare? aggiunse Isaia.
«Qualche mese fa, sì. Ma da quando il Mastro del Reliquiario Crisostomo è divenuto il capo della comunità, il fanatismo ha raggiunto vertici mai visti. Il loro idealismo sfrenato li acceca al punto da consumarli, rendendoli più feroci che mai, e presto saranno abbastanza pazzi da creare problemi alla teocrazia. Lotte intestine si prospettano all'orizzonte per loro, e questo non va a nostro beneficio. Ci sono voci che parlano di una tempesta senza precedenti che incombe sulla laguna, perciò nessun altro barcaiolo ti avrebbe condotto attraverso queste acque eccetto me»
Isaia annuì in segno di riconoscenza al vecchio, poi tornò a fissare la distesa d'acqua paludosa che circondava la barca. Passando la maggior parte del suo tempo in solitudine aveva imparato a svuotare la mente, a chiudersi in una muta contemplazione del vuoto. Erano minuti sottratti alla vita come il sonno, ma in un mondo così povero di stimoli quella era la prassi. Dopotutto durante le celebrazioni religiose la mente non poteva divagare altrove e l'unica alternativa era riflettere sul vuoto stesso, sull'insignificanza del tempo come infinita attesa della morte. O almeno questo era ciò che gli sembrava perfettamente logico. Solo dopo la seconda venuta del messia la gente si era accorta di quanto avessero trascurato l'ombra della morte. Leggevano romanzi su stermini senza battere ciglio, guardavano teschi polverosi e ne ridevano per l'aspetto bislacco. Nessuno visitava più le tombe dei cari e tutti sognavano un proprio mausoleo con la stessa ingenuità di un bambino che desidera il tozzo di pane più grande. Ora era tutto l'opposto: la gente desiderava la sofferenza e la morte con la stesso vorace individualismo. Tutto era l'opposto eppure nulla era cambiato.
La barca continuò a navigare nella zona più aperta della laguna per un altro paio d'ore prima che la Pala di San Sebastiano apparisse ai loro occhi. Era un atollo roccioso molto piccolo, non più grande dell'Isola del Santo Spirito, e poco familiare agli abitanti di Venezia. La sua posizione piuttosto lontana dalle coste la rendeva un luogo di transito ideale per coloro che non volevano essere notati e Isaia pregò che nessuno vi stesse già alloggiando. Agguantò quindi il fagotto con gli oggetti del viaggio e iniziò a prepararsi per l'attracco. Nel trambusto, Timoteo si strofinò gli occhi e poi si svegliò.
«È già buio» disse sbadigliando «manca molto?»
Il barcaiolo lanciò un'occhiata a Isaia per chiedergli il permesso di rispondere e il persecutore annuì lievemente.
«Ci fermeremo lì per la notte» disse quindi, indicando l'isola verso la quale si dirigevano col dito nodoso «lì, nella Pala di San Sebastiano. Domattina partiremo presto e potremo raggiungere la destinazione concordata»
«Pala di San Sebastiano?» domandò Timoteo con tono timido.
«Sì. La chiamano così per un mosaico di San Sebastiano che dimora nelle profondità della sua grotta. Quando c'è la bassa marea lo si può ammirare» rispose Sanudo, aguzzando la vista per orientarsi nel buio della notte che si faceva sempre più fitto.
«E ora c'è la bassa marea?»
Il barcaiolo lanciò uno sguardo di rimprovero al ragazzo, come se percepisse una certa irriverenza dietro quella domanda «No. Di sera la marea si alza. Ma forse a quest'ora potreste scorgere il suo torso»
Timoteo fece per aprir bocca di nuovo, ma fu interrotto da Isaia che si sedette con un forte clangore dell'armatura di fianco a lui. Era buio e perciò era difficile leggere i gesti e il corpo dell'altro, tuttavia il bambino si sentì protetto all'ombra della torva figura del persecutore. Anche Isaia percepì che Timoteo non sembrava più turbato dalle sue goffe dimostrazioni di affetto, o meglio, di custodia. Era lieto che la barriera tra i due fosse finalmente crollata, anche grazie all'aiuto di Rebecca, e si chiese quanto il ragazzo fosse consapevole della cosa. Se fosse in grado di riconoscere e rispettare le sfumature del loro rapporto e se quel viaggio in solitaria verso sua madre avesse potuto avvicinarli di più. Il persecutore pregò di no.
I tre giunsero finalmente nel promontorio di roccia che fungeva da molo per l'isola e Sanudo iniziò la procedura di ormeggio. Isaia fu felice di vedere che non c'erano altre barche oltre la loro e ciò significava che non avrebbero ricevuto visite indesiderate. Erano da soli su un'isola nel bel mezzo della parte più remota della laguna. Nessuno li avrebbe disturbati. Il persecutore aiutò il barcaiolo a legare le cime d'ormeggio mentre Timoteo accendeva le lanterne a olio e osservava le fiamme danzare attraverso il vetro. Una volta sistemata la barca, quindi, Isaia si caricò in spalla il fagotto e i tre si avviarono lungo il sentiero che conduceva alle rovine della vecchia cappella.
Il ronzio delle cicale era una melodia fresca alle orecchie del persecutore, abituato allo sciacquio delle barche e al solenne silenzio della città. Anche l'odore dell'erba lo allietava, insieme allo scintillio delle lucciole e al rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera sotto di loro. Era da molto tempo che non abbandonava i pavimenti di marmo e l'ombra delle colonne doriche, perciò tornare in mezzo alla natura gli donava una vaga serenità in grado di distrarlo dall'angoscia del viaggio. I tre figuri percorsero la salita illuminando la strada con le lanterne e presto giunsero nei pressi della grande cappella che un tempo adornava l'isola, ora ridotta a un cumulo di mattoni e di rampicanti. Ad accoglierli trovarono i resti del focolare risalenti a qualche giorno prima e Isaia pose a terra il fagotto con soddisfazione. Gettò via i tozzi di legno carbonizzato e stava per avviarsi a prendere della nuova legna secca quando Timoteo gli batté le nocche sulla corazza.
Il ragazzo sussultò quando il persecutore si voltò di scatto verso di lui, poi raccolse il proprio coraggio e domandò: «Si può vedere il mosaico di San Sebastiano?»
Isaia aggrottò la fronte dentro l'elmo. Se l'aspettava quella domanda, ma non pensava che Timoteo l'avrebbe chiesto così presto. Il barcaiolo posò la lanterna e fissò il persecutore in attesa di istruzioni.
«Se non è possibile, non fa niente» aggiunse il bambino, guardandosi le punte delle scarpe. Isaia spostò lo sguardo verso il barcaiolo, poi verso Timoteo. Sospirò quindi dentro l'elmo e annuì in segno affermativo, facendo scintillare gli occhi del bambino.
«Meglio che vi sbrighiate. Io raccolgo la legna nel frattempo» disse Sanudo, avviandosi verso gli arbusti che crescevano vicino alla ripida scogliera.
Isaia annuì nuovamente e lo salutò col braccio, poi agguantò la lanterna e si addentrò nelle rovine seguito dal bambino.
«Grazie» sussurrò Timoteo, mentre i due passavano sotto un arco romanico divorato dall'edera. Il persecutore scavalcò un pilastro di marmo crollato, poi si diresse verso le scalinate polverose in fondo alla cappella. Aguzzò la vista per adattarsi alla fioca luce lunare che trapelava dalle grosse crepe nelle pareti e fece segno al bambino di prestare attenzione a dove metteva i piedi. Una volta scese le tre rampe di scale che conducevano nel sottosuolo, quindi, i due si trovarono in un buio antro di roccia invaso per metà dall'acqua e Isaia puntò la lanterna verso il fondo. Timoteo sgranò gli occhi quando il busto di San Sebastiano gli si presentò agli occhi.

Un immenso ammasso di tappi di bottiglia, frammenti di stagnola, buste di plastica e altre diavolerie metalliche rigurgitate dalla laguna era stato disposto su un ampio strato di colla per formare il bellissimo mosaico. La pelle del santo era formata da cartone annerito e rosee conchiglie, mentre dalle sue ferite - laddove erano conficcate le frecce - grondava acrilico solidificato. L'artista lo aveva legato alla colonna con vere corde, ora intrise di acqua tossica, e le alghe rimaste impigliate in quelle cianfrusaglie erano come sanguisughe che amplificavano il suo martirio ancora di più. E la sua espressione... nonostante fosse un mosaico di oggetti grossi e bitorzoluti i lineamenti del santo sembravano genuinamente contratti dal dolore, come se l'autore stesso si fosse inferto le stesse pene per riprodurre quell'immensa sofferenza il più fedelmente possibile. Timoteo provò una grande pena per lui.
«Chi è l'artista?» domandò, muovendo qualche passo nell'acqua torbida per ammirare il santo più da vicino.
Isaia fece spallucce. Non ne aveva idea, forse nessuno lo sapeva. Qualcuno che un tempo viveva sull'isola, molto probabilmente.
Timoteo era incantato dal mosaico. Fissò i suoi occhi perlacei, volti in alto a guardare Dio, e gli tornò in mente il lenzuolo imbrattato di sangue che un tempo era stato suo padre. Si ricordò della furia che lo aveva sopraffatto in quel momento e della consapevolezza che il responsabile dell'assassinio era a pochi centimetri da lui. Non c'era nulla di glorioso in quel mosaico, la sua era un'ammirazione per il dolore che il santo dimostrava. E un profondo compatimento, come se invece della morte fosse da piangere tutto ciò che aveva portato a quell'esatto momento. Imprigionato in quel reticolo di plastica e spago, la sua morte era cristallizzata nel tempo così da vanificare l'intera sua vita e l'esistenza dei suoi persecutori. E lo stesso valeva per suo padre, per sempre martire e mai più uomo. L'odio tornò a galoppare nelle vene del ragazzo, soffocando il distacco emotivo a cui ormai si era abituato, e Timoteo strinse i pugni. Avrebbe voluto strappare via quelle frecce conficcate nei lembi del santo, cancellare dalla memoria l'immagine del padre morto con la puzza ferrigna di sangue nell'aria. Il suo disgusto per la feticizzazione della morte era tale che voleva distruggere quel mosaico e osservare quelle cianfrusaglie precipitare nei fondali della laguna per poi restare in eterno seppellite sotto la sabbia. Voleva scordarsi di tutto e tornare nella cella dove aveva sempre vissuto, laddove la morte non era rappresentata se non come verbo e non avrebbe mai potuto vedere quell'orribile mosaico figlio della disperazione. Loro non potevano capire quanto era dolorosa, quanto averla vicina a ogni ora del giorno gli impedisse di dormire sogni tranquilli o di aggrapparsi a qualsiasi speranza.

Improvvisamente l'eco flebile di uno strillo giunse alle orecchie dei due compagni. Isaia si voltò di scatto, preso alla sprovvista, e tese le orecchie. Un altro grido di dolore sembrò risuonare nell'aria, le urla di un vecchio colpito a morte che emetteva il suo ultimo lamento. Sanudo! Erano le grida di Sanudo!
Isaia e Timoteo si guardarono negli occhi con sguardo pregno di terrore quando realizzarono che non era un'allucinazione. Il persecutore sguainò la spada e si precipitò su per le scale, seguito dal ragazzino. Prese ad ansimare mentre correva sotto il peso della corazza. Non era possibile. Non c'erano barche ormeggiate al molo, l'isola doveva essere per forza vuota. I gemiti strozzati di Timoteo, confuso e terrorizzato mentre seguiva Isaia, parvero mescolarsi a un impercettibile chiacchiericcio che sembrava provenire dalla scogliera. Una volta fuori dalla cappella, Isaia si preparò in posizione di combattimento. Impallidì quando la luna illuminò chi era uscito allo scoperto mentre loro ammiravano il mosaico nelle profondità dell'isola, e strinse i denti per prepararsi all'inevitabile scontro mentre Timoteo si nascondeva dietro la sua armatura.

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now