XXVII

21 4 0
                                    

La pioggia ricominciò a sferzare non appena la Rocca fu un puntino in lontananza. Iniziò con gocce fini che punzecchiavano la pelle e continuò incalzando sempre più forte finché le nubi non coprirono il sole. Timoteo fissò le gocce di pioggia cadere sulle assi di legno di fronte a lui. Quando queste cadevano, il legno della barca le assorbiva, lasciando una piccola macchia scura d'umidità. Le assi si scurirono a poco a poco, diventando maculate come la pelliccia di un ghepardo, e il bambino le osservò silenziosamente. Provò a contare le macchie ma non conosceva i numeri dopo il ventitré. Sapeva che c'era un quaranta, come i giorni nel deserto, e un cento da qualche parte, ma non sapeva dove si trovassero nella scala dei numeri. E poi c'erano i patriarchi antidiluviani, che avevano vissuto per ancora più anni, così tanti che non riusciva a immaginarli. E Rebecca gli aveva detto qualcosa a proposito delle case di Venezia nominando un numero enorme. Forse quel numero si avvicinava alla quantità di gocce di pioggia che cadevano durante un temporale, ma Timoteo non ne era sicuro. Quando fu stanco di fissare le assi della barca, si voltò a guardare il mare. Le onde si stavano facendo piuttosto mosse, ma l'acqua era bassa in quelle zone. La parte meridionale della laguna era una sorta di palude piena di secche e isolotti fangosi che sbucavano dalla nebbia. C'erano molti casoni e palafitte sghembe disseminati qua e là, per la maggior parte disabitati, ma alcuni di questi avevano le finestre illuminate. Timoteo poteva vedere lumi accesi fluttuare dietro la coltre di pioggia di tanto in tanto, poi rabbrividiva e si stringeva addosso a Isaia in cerca di conforto.
Il persecutore era caduto in un sonno profondo poco tempo dopo che la barca aveva abbandonato l'isola. Aveva gli occhi serrati in un'espressione dolorante e teneva ancora stretta in mano la spada. La pioggia lavò via il sangue fresco di cui era imbrattata l'armatura, facendolo colare in rivoli sbiaditi come un macabro acquerello, e Timoteo si accigliò. Era certo che il compagno aveva dovuto uccidere ancora, com'era successo nell'Isola di San Sebastiano. Non gli aveva detto che il viaggio sarebbe stato così difficile. Se lo avesse saputo, Timoteo avrebbe insistito per restare nel castello dove aveva passato quei pochi giorni con Rebecca. Improvvisamente una profonda tristezza lo investì. Scrutò le palpebre flosce di Isaia attraverso la visiera dell'elmo e cercò di ricostruire i suoi lineamenti. Le rughe intorno alle occhiaie sembravano alludere a un'espressione esausta, in cui ogni singolo muscolo era teso a causa del sovraccarico emotivo. Timoteo si sentì responsabile. Non aveva idea di cosa Isaia avesse passato nella fortezza, ma il suo viso non sarebbe stato così stravolto se quel viaggio non fosse mai iniziato. Perché stava affrontando tutti quegli ostacoli, in bilico come un funambolo sul baratro della morte? Cosa ne stava ricavando, a parte ferite sulla pelle e squarci nella psiche? Il suo affetto era quasi invasivo per Timoteo, inspiegabilmente inquietante. Era come se si aspettasse qualcosa in cambio dal bambino, una volta arrivati all'Isola delle Rose, come ricompensa per i suoi sforzi. Timoteo si tirò su lo scialle per coprire naso e bocca come Isaia gli aveva insegnato e poggiò i gomiti al parapetto per contemplare il paesaggio che scorreva lentamente. Ormai non soffriva più di mal di mare, né aveva paura dell'acqua. Dopo la cattura da parte dei Cacciatori di Reliquie, non aveva più paura di molte cose.
La barca continuò il suo tragitto per diverse ore, manovrata dal cartografo che aggirava gli isolotti disegnando ampi archi sull'acqua. Erano ancora in pieno territorio dei cacciatori, perciò serviva la massima prudenza, ed era meglio evitare le rotte principali indicate dalle bricole sporche di fango. In effetti molte delle palafitte che sorgevano sulle isole circostanti erano abitate dalle famiglie degli uomini che li avevano rapiti, perciò Jawed se ne teneva alla larga il più possibile. Anche lui percepiva una strana nebbia nella testa che gl'impediva di riflettere sull'accaduto. Ciò che era capitato aveva scosso le fondamenta del suo essere, catapultandolo in una realtà che non gli era mai appartenuta, e ora la sua mente si era inceppata. Si sentiva  perfettamente lucido, talmente in allerta da percepire ogni singola goccia di pioggia sulla pelle, ma allo stesso tempo era completamente assente. Per la prima volta da quando era bambino non si era soffermato a giudicare l'ambiente intorno a lui, troppo invaso dalla paura. E mentre Isaia combatteva contro i gladiatori non aveva avuto la forza di reagire in alcun modo, spaesato com'era. Se tra i suoi libri sapeva perfettamente come muoversi, agile come una scimmia a districarsi tra i lemmi, la rocca aveva tirato fuori le sue debolezze più profonde. Jawed avrebbe voluto riflettere sull'accaduto, pensando a quanto era stato fortunato e a come quell'esperienza avrebbe impattato la sua vita, ma non riusciva a pensare a niente. Nella sua testa c'era solo il rumore del remo contro le onde. I ricordi del combattimento erano sbiaditi, come se ad agire in quel momento fosse stata un'altra parte di lui più istintiva e rettiliana, ben diversa dalla sua normale attitudine. E quella sensazione non sembrava voler finire man mano che la barca proseguiva, costringendolo a restare vigile. Era come essere in un incubo, troppo concentrati sulla paura per accorgersi di non star vivendo qualcosa di reale. Con la differenza che il sangue sulla corazza del persecutore era assolutamente reale. Jawed lo osservò per controllare che respirasse, poi riassettò la barca per evitare di cozzare contro una secca.
La traversata continuò monotona sotto la pioggia per diverse ore prima che Isaia si svegliasse. Era ancora parecchio intontito e faticava a percepire le punte delle dita, ma si era riposato abbastanza da tornare definitivamente in sé. La prima sensazione che provò fu panico non appena vide le ossa che adornavano i parapetti della barca. Perché si trovava a bordo di un'imbarcazione dei Cacciatori di Reliquie? Si guardò intorno freneticamente, facendo sussultare Timoteo dalla sorpresa, e aggrottò la fronte quando vide che non c'era nessun altro a parte loro tre. Cercò di riportare alla memoria gli ultimi avvenimenti, ma tutto ciò che ricordava era la faccia di Oreb che lo fissava impassibile e la luce del sole che lo abbagliava trapelando da dietro le nubi. Si ricordò anche del braccio rotto, che gli pizzicava anche restando fermo, e decise che non si sarebbe mosso da quella posizione. Ruotò comunque la testa per guardarsi intorno e vide che Jawed aveva condotto la barca il più lontano possibile dall'isolotto di Rocca Scarlatta. Si trovavano ancora nelle acque paludose della regione meridionale, ma almeno si vedeva il profilo del lido in lontananza e questo gli dava un po' di conforto.
«Sei sveglio?» domandò Timoteo con un fil di voce.
Isaia annuì lentamente.
«Ti abbiamo svegliato noi?»
Isaia scosse la testa. Si era svegliato perché il sangue gli martellava ancora nelle orecchie. Il suo riposo era stato più un dormiveglia febbricitante che un vero e proprio sonno. Gli facevano male le ossa. Fece per alzare il braccio che non gli doleva e notò che stava ancora impugnando la spada. Era davvero a pezzi. Mollò delicatamente l'elsa, lasciando l'arma sul fondo della barca, poi alzò il braccio per gesticolare a Timoteo. Voleva la sua penna e la pergamena per comunicare con Jawed, ma si ricordò improvvisamente che erano rimaste a Rocca Scarlatta. Nella frenesia della fuga non si era ricordato di prendere il suo fagotto. E, insieme a quello, lì erano rimaste anche tutte le provviste per il viaggio e la lettera che provava che Timoteo era il figlio di Giacomo Timordomini. Isaia si paralizzò. Come aveva fatto a dimenticarsi di una cosa tanto importante? Anche il cibo che aveva portato per il viaggio di ritorno era perduto. Improvvisamente, un nodo gli si strinse intorno alle viscere. Non aveva mangiato nulla al banchetto e si sentiva debolissimo. Il dolore del braccio sembrò aumentare alla luce della terrificante realizzazione. Isaia strinse i denti e Timoteo si accigliò non appena notò lo smarrimento del compagno.
«Stai male?» gli chiese con tono preoccupato.
Isaia tentennò per un secondo, indeciso su cosa rispondere, poi scosse la testa e indicò il cartografo in piedi a pochi passi da lui. Timoteo comprese la richiesta del persecutore – voleva parlare con Jawed – e richiamò l'attenzione del cartografo, che continuava a remare con lo sguardo fisso nel vuoto. Jawed si riscosse dai suoi pensieri e guardò Isaia. Dunque si era svegliato. Depose il remo e si accucciò di fronte a lui per ascoltarlo.
«Ditemi» disse, scostandosi i capelli fradici dalla fronte per vederci meglio.
Isaia alzò il braccio e iniziò a disegnare lettere invisibili col dito sul fondo della nave. Jawed seguì i movimenti del dito con attenzione e annuì quando comprese che stava scrivendo la parola "cibo".
«Per adesso vi ho solo allontanato da acque poco sicure» disse, spostando lo sguardo verso Timoteo che lo guardava turbato, «ma abbiamo bisogno di cibo, avete ragione. Anch'io comincio a essere stanco. Non riuscirò a remare fino a sera con questo mare»
Jawed abbassò lo sguardo, riflettendo sulle opzioni che erano loro rimaste, poi osservò il profilo del sole nascosto dalle nubi e indicò la direzione opposta.
«Il nord-ovest è di là» continuò, puntando il dito verso l'orizzonte, «e forse possiamo trovare qualcuno che ci ospiti nelle isole costiere»
Isaia scosse la testa. Non c'era molta gente ospitale da quelle parti, così vicino ai territori dei Cacciatori di Reliquie. E di certo nessuno avrebbe dato vitto e alloggio a un persecutore. Jawed abbassò il braccio e mugugnò a bassa voce.
«Allora c'è solo un'unica opzione, ma non vi piacerà» disse, continuando a fissare il cielo «ed è tornare indietro, verso le palafitte che sorgono dai Murazzi. La casa dell'Ustà Biyar, il mio vecchio maestro di cartografia, non è molto distante. E vi prometto che, una volta lì, egli saprà accogliere tutti e tre con abbastanza cibo da saziarvi per il resto del...»
Isaia interruppe Jawed scuotendo violentemente la testa. Ma chi si credeva di essere? Anche dopo aver rischiato la vita di tutti con il suo capriccio non aveva imparato niente. Era ancora convinto che avrebbe trovato quell'ustà, o come si chiamava, sperduto nel mezzo della laguna senza accorgersi che si aggrappava a fantasticherie infantili. Il persecutore maledisse il giorno in cui aveva deciso di caricarsi in barca un idiota così monumentale e fece per muovere il braccio, ma una fitta di dolore lo fece desistere. Dovette limitarsi a lanciargli un'occhiata infuocata per fargli capire cosa pensava di quelle parole. Jawed, tuttavia, non sembrò troppo sorpreso dalla rabbia di Isaia.
«L'avevo detto che non vi sarebbe piaciuto» continuò, senza scomporsi «ma non abbiamo altra scelta. Avremo la corrente dalla nostra parte se torniamo indietro, perciò dovremmo arrivare a destinazione entro metà pomeriggio se partiamo subito. L'Ustà Biyar si ricorda di me, ne sono certo, e vi aiuterà. Una volta arrivati lì, potrete tenervi la barca e concludere il vostro viaggio. Non vi disturberò mai più e non sarò mai più un peso per voi»
Isaia continuò a fissare Jawed con occhi sprezzanti, ma l'ira lo stava stancando. Aveva consumato tutto il proprio odio durante il combattimento nell'arena, perciò le parole del cartografo lo seccavano appena con la confusione che aveva in testa. Mai e poi mai avrebbe permesso che quell'idiota li riportasse nel ventre della bestia, dove la morte aspettava in agguato. Con le lotte intestine tra i Cacciatori che infuriavano in tutta la laguna, era quasi impossibile passare inosservati di notte. Figuriamoci in pieno giorno. Anche Timoteo guardò il cartografo con una certa diffidenza, pur senza il coraggio di contraddirlo, e si avvicinò a Isaia per sostenere il compagno nel suo dissenso.
«Anche con questa pioggia, so dove ci troviamo di preciso nella laguna» insistette Jawed «circa un miglio a nord dall'Isola del Plinio, dove abbiamo incontrato ieri la processione, e due miglia a sud-est dal Relitto dell'Eschiona. Il lido e i cantieri, dove i Cacciatori hanno razziato l'abbazia di Sant'Antonio, sono a meno di due miglia a est. Non troveremo nessuno ad accoglierci per almeno cinque miglia a nord e le mie braccia iniziano a cedere. In più la tempesta potrebbe peggiorare da un momento all'altro. Se devo fare un ultimo sforzo, preferisco portare la barca da qualcuno che conosco e fare un tentativo. Le palafitte dell'Arca Sinoda sono comunque il luogo più ospitale in cui possiamo dirigerci in questo momento, e sono molto vicine all'Isola delle Rose. Mi dispiace molto, ma in qualità di cartografo spetta a me tracciare la rotta in una situazione d'emergenza come questa»
Detto questo, Jawed si alzò svogliatamente in piedi, riprese in mano il remo e tornò a poggiarlo sullo scalmo.
«Mi dispiace davvero che voi pensiate male di me. Io vi devo la vita e vi sono infinitamente debitore, perciò se vi porto dal mio maestro è perché ho visto in che condizioni siete. Avete assolutamente bisogno di curare quel braccio e di mangiare qualcosa il più presto possibile»
«Che è successo al suo braccio?» domandò Timoteo.
«Non vedi come lo tiene?» gli rispose Jawed, rivolgendogli uno sguardo fugate «Lo hanno ferito in combattimento. E anche l'altro braccio non sta bene, dopo che lo ha usato per manovrare una spada a due mani»
Timoteo sbiancò, ricordandosi del dolore che aveva provato quando Isaia lo aveva ferito alla gambe. Quella sensazione che gli aveva scosso ogni muscolo e gli aveva svuotato le vene di sangue fino a fargli perdere i sensi. Anche Isaia era stato ferito così? Timoteo esaminò il braccio afflosciato sulle gambe del persecutore in cerca di tracce di sangue, ma non si vedeva nulla sotto la corazza.
«Tranquillo» disse il cartografo «si è solo strappato un muscolo, non ha emorragie. Ero lì quando è accaduto. Devo la mia vita a quella ferita, egli è davvero inarrestabile. Ma ha bisogno di cure immediate. Non può continuare il viaggio senza prima riposarsi. L'Ustà Biyar è molto saggio e sono certo che potrà curarlo»
Isaia scosse ancora la testa, ma stavolta con poca determinazione. Continuò a fissare il cartografo con occhi rabbiosi e cercò di muovere le gambe senza successo. Era come se il calore del suo corpo non raggiungesse più le estremità, rendendole degli arti fantasma che non percepivano il freddo tocco dell'armatura. Se portare la corazza tutto il giorno gli aveva già inibito parecchio i sensi, la fame e il sonno stavano sgretolando ogni appiglio che lo rendeva cosciente del mondo intorno a lui. Isaia sospirò. Jawed aveva ragione su una cosa: gli sarebbe servito un qualche farmaco per guarire in fretta. Non era mai stato così male, nemmeno quando aveva contratto la difterite da ragazzo, e temeva che senza un aiuto ci avrebbe impiegato settimane a riprendersi. Voleva alzarsi in piedi e fermare Jawed con la forza, buttandolo a mare. Poi avrebbe saccheggiato qualche casone per trovare cibo e avrebbe finalmente messo qualcosa sotto i denti. Infine, avrebbe portato Timoteo all'Isola delle Rose. Ma non poteva farlo; ogni volta che comandava qualcosa ai muscoli questi gli rispondevano con fitte di dolore lancinante. Come poteva il cartografo essere così egoista? Come poteva un uomo di scienza, riempito di studi, non avere nemmeno l'onore di restituire il favore a chi gli aveva salvato la vita più volte? Isaia sogghignò, pensando che con quel peccato anche Jawed si era probabilmente meritato l'Inferno. Un dotto come lui, che si vantava della propria intelligenza, non capiva nemmeno una cosa semplice come la vita. Né Oreb né lui si erano mai curati di proteggere un uomo destinato agl'Inferi dopo che questo aveva messo a rischio la propria vita per loro. Ecco perché esisteva la severissima giustizia divina. Non per giudicare lui, ma uomini come loro, meritevoli di sorti più crudeli di un persecutore che combatteva contro mulini a vento per portare un bambino da sua madre. Così ipocriti ed egoisti... il pensiero che potessero essere redenti fece venire la nausea a Isaia. Ormai si era rassegnato. Non era morto a Rocca Scarlatta, certo, ma neanche si era salvato la vita. L'aveva solo prolungata di un altro paio di ore, dato che quei due uomini avevano già deciso il suo destino. Tutto era già deciso. Timoteo poggiò la testa sulle spalle del persecutore, vedendo che la sua espressione si era fatta più livida, e Isaia alzò lentamente il capo. Con uno sforzo allucinato riuscì a muovere il braccio e a poggiarlo sul petto di Timoteo. Non si meritava tutto questo, si ripeté, almeno il bambino non si meritava tutto questo. Le preghiere di Rebecca erano state vane.

Venezia Penitenteحيث تعيش القصص. اكتشف الآن