XVI

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«Sono davvero felice che abbiate accettato la mia proposta» disse Jawed, il volto serio ma evidentemente compiaciuto «vi condurrò al più presto dove avete ormeggiato la barca e dopodiché mi accompagnerete dal mio maestro. Senza imprevisti, dovremmo arrivare lì per mezzanotte o poco meno. Speriamo che l'Ustà vi permetta di alloggiare lì, altrimenti se preferite fare scalo su un'isola vicina conosco un paio di...»
Isaia lo zittì con un brusco gesto del braccio. Non aveva intenzione di fermarsi a dormire nel cuore del territorio dei cacciatori di reliquie. Se questo "Ustà" non avesse avuto intenzione di ospitarli, lo avrebbe costretto con la forza. Dopotutto il loro patto non prevedeva di trattare con rispetto quel tale da cui si stavano recando, né di continuare a difendere i ridicoli interessi del giovane cartografo. Certo, il pensiero di navigare attraverso la laguna a notte fonda lo infastidiva, ma ormai Timoteo aveva giurato. Non potevano aspettare l'indomani per partire.
«Come preferite» Jawed finì di riporre le ultime cose nello zaino mentre il persecutore aiutava Timoteo a rimettersi i vestiti incrostati di fango. Il bambino emise un gemito disgustato quando la sua pelle venne a contatto con la consistenza del tessuto lercio. Era ancora piuttosto pallido e barcollante, ma almeno il rossore attorno agli occhi si era affievolito e il suo naso non gocciolava più. La tisana di Zaneto gli era stata di grande aiuto. Per quanto il pescatore si fosse dimostrato gentile non tanto per pietà quanto per timor di Dio, aveva pur sempre salvato la vita a entrambi. Isaia non lo avrebbe dimenticato.
«Ecco qua» Jawed si ficcò in spalla lo zaino e abbozzò uno spento sorriso «sarà meglio che vada a slegare le cime. Abbiamo fatto dei nodi piuttosto stretti, perciò ci vorrà un po' per liberare la barca. Scendete appena siete pronti. Avrò bisogno di aiuto»
Detto questo, uscì dalla stanza e scese le scale a passi pesanti. Isaia lo udì salutare sbrigativamente Zaneto e la moglie, aprire la finestra del soggiorno e scavalcare il davanzale per uscire. Il persecutore scosse la testa, sempre più seccato dall'energia di quello straniero. Mentre finiva di aiutare il bambino a indossare le scarpe inzaccherate, si tolse uno dei guanti e poggiò la mano nuda sulla sua fronte per saggiarne la temperatura. Voleva controllare se aveva la febbre. Timoteo sussultò, colto alla sprovvista dal tocco con la fredda carne del compagno, e s'immobilizzò sotto un'improvvisa scarica di brividi. Isaia sospirò. La fronte era calda, ma non bollente. Decisamente febbricitante ma non abbastanza da allarmarlo.
«Sto un po' meglio adesso» mormorò il bambino, ritraendosi. Piegò la schiena e fissò la tozza mano del persecutore con lieve titubanza.
«Non preoccuparti, ce la faccio»
Isaia annuì severo e si rimise il guanto, poi controllò di non aver lasciato nulla nella camera prima di accompagnare il ragazzo giù per le scale. Timoteo lo seguì strascicando i piedi e fissando il vuoto con espressione turbata. Era la prima volta che l'uomo corazzato lo aveva toccato davvero, senza nascondersi dietro l'armatura. Non era niente di che, eppure quel gesto gli restò impresso nella mente. Il suo vero padre non lo aveva mai toccato per moltissimi anni, perciò Timoteo era restìo all'idea del contatto fisico. Già solo restare vicino a Zaneto durante il pranzo lo aveva messo estremamente a disagio, figuriamoci essere sfiorato da un estraneo. Invece quella carezza sulla fronte non lo aveva minimamente turbato. Anzi, gli aveva solleticato qualcosa nel cuore, come se avesse appena ricevuto una sorta di intimo sacramento. Era tutto molto confuso, ma il bambino ora sentiva una sorta di malinconico calore dentro di sé di cui non aveva mai fatto esperienza prima d'ora. Era spaventoso, eppure – in un certo senso – confortevole.
I due compagni entrarono in salotto, dove Zaneto e la moglie li stavano aspettando, e si fermarono. Qualche attimo di silenzio trascorse, poi Isaia si chinò lentamente in avanti fino a inginocchiarsi di fronte al pescatore. Era la massima riconoscenza che potesse offrirgli, sia per il pasto che per la medicina. Timoteo lo imitò, nonostante ignorasse il significato del gesto, poi entrambi si rialzarono in piedi sotto lo sguardo accigliato dei due coniugi.
«La gratitudine da parte di un uomo come te non vale niente» disse il pescatore «ma vi rispetto lo stesso. Siamo tutti peccatori in fondo»
Il suo tono non era più sprezzante, solo stanco e rassegnato.
«Vi auguro buona fortuna per il viaggio»
«Mille grazie» rispose Timoteo, il capo ancora chino «e grazie infinite anche per il pranzo e le erbe. Il pesce era davvero buono»
Zaneto indicò la finestra con un cenno della testa «uscite pure dalla finestra. Noi ci ritireremo in campagna tra pochi giorni, quindi non tornate qui perché non ci troverete. Abbiamo delle buone conoscenze che possono aiutarci a ricostruire una vita dopo la redenzione. Siete stati dei buoni ospiti, ma ora è tempo che partiate. Addio»
«Addio, Zaneto. E addio anche a voi, signora Bergonci»
I coniugi abbassarono il capo in segno di saluto mentre i due compagni uscivano dalla finestra e percorrevano il pontile allagato fino a raggiungere Jawed. Timoteo si voltò indietro un'ultima volta per guardare i pescatori attraverso lo spesso pannello di vetro. Era il secondo addio in due giorni. Il pensiero di non vedere mai più quella gente gli era ancora piuttosto alieno dopo l'infanzia passata nell'esistenza fatta di routine e facce sempre uguali. Forse non ci si sarebbe mai abituato.
«Eccovi! Ho quasi finito» borbottò Jawed. Si era messo un paio di strambi occhiali da aeronauta, forse per proteggersi dai fumi della laguna, e una bandana rosso acceso che lo rendeva molto appariscente sotto la pioggia fine. Isaia stette a guardare mentre il cartografo scioglieva gli ultimi nodi rimasti e barcollava per restare in equilibrio sulla barca sballottata dalle onde.
«Salite pure» esclamò. Isaia gettò il suo fagotto a bordo e aiutò Timoteo a montare sull'imbarcazione. Il bambino si tirò subito su lo scialle per proteggersi naso e bocca dalla nebbiolina tossica, poi si trascinò a prua per rannicchiarsi com'era solito fare. Il persecutore lo squadrò bene, ancora piuttosto timoroso riguardo al suo stato di salute, e si sedette a gambe incrociate di fianco a lui.
«Tenetevi forte. Il mare è piuttosto mosso» disse Jawed, estraendo un lungo remo da sotto i sedili. Tirò a bordo le ultime cime gronde d'acqua, poi fece leva col molo contro il pontile per far uscire la barca dal ghebo. L'imbarcazione dondolò pericolosamente mentre il cartografo piantava il remo sugli argini del canale e spingeva con tutte le sue forze. Timoteo si aggrappò al palchetto e prese a respirare pesantemente, spaventato dal mare di gran lunga più mosso di prima, ma Isaia lo rassicurò posandogli la mano sulla spalla.
«Hai paura del mare, ragazzo?» domandò Jawed, districando la barca dalle correnti avverse.
Timoteo alzò gli occhi e distolse subito lo sguardo quando incrociò quello del cartografo.
«Già» mormorò timidamente.
«Non devi aver paura. Anche se le onde sono voluminose, la tempesta non riprenderà per un bel po' di tempo»
«Come? Non è ancora finita?»
«Purtroppo no» Jawed guardò accigliato le gonfie nubi grigie che coprivano il cielo «una simile tempesta può durare molti giorni. Gli abitanti del luogo mi hanno riferito che è piuttosto comune qui»
Isaia incrociò rumorosamente le braccia, provocando un minaccioso clangore con l'armatura. Una volta che ebbe l'attenzione del cartografo, quindi, gli fece bruscamente il segno di chiudere la bocca. Il suo volto si rabbuiò immediatamente.
«Chiedo scusa» mormorò «volevo solo tirarlo su di morale. Tutto qui»
Isaia scosse la testa e ripeté il gesto. Non c'era pazienza o sopportazione per chi disobbediva ai suoi ordini e quello era il primo e l'ultimo avvertimento. Jawed annuì in segno d'intesa e il silenzio calò nuovamente sulla barca.

Ci vollero ancora un paio di minuti prima di arrivare al punto in cui i due compagni avevano ormeggiato l'imbarcazione di Sanudo. Come previsto, le barene dove avevano camminato era state inghiottite dall'acqua alta, così come gran parte delle bricole nelle vicinanze. Isaia strabuzzò gli occhi e scrutò i dintorni finché non riuscì a scorgere il profilo della barca ancora legata al palo di legno semisommerso.
«È quella?» domandò Jawed. Isaia annuì e agguantò il suo fagotto, pronto a cambiare imbarcazione. Con una rozza manovra il cartografo riuscì ad accostare le due barche, dopodiché piantò il remo nel fondo della laguna mentre i due compagni si preparavano a salire. Isaia agguantò il parapetto della barca di Sanudo e aiutò Timoteo a montare a bordo, poi lanciò un'ultima occhiata diffidente al cartografo prima di seguirlo.
«Bene!» esclamò Jawed non appena i due si furono sistemati «Ora comincia la vera traversata. Mi raccomando, non perdetemi di vista e tenete gli occhi bene aperti. La rotta più rapida per la casa dell'Ustà Biyar è anche la più pericolosa. Se dovessimo incrociare un gruppo di Cacciatori, è compito vostro difendermi»
Isaia annuì svogliatamente mentre scioglieva i nodi delle cime d'ormeggio. Le nubi tuonarono minacciose, come per ricordare loro che anche la tempesta era un pericolo da non sottovalutare, e Timoteo guardò verso il cielo con sguardo preoccupato. Con un sospiro, il persecutore finì di slegare le corde e afferrò il vecchio remo di Sanudo, poi fece un cenno a Jawed per intimargli di non perdere tempo.
«Bene! Partiamo allora» rispose quello, iniziando a remare per allontanarsi dalla costa «speriamo che fili tutto liscio!»
Le due barche fendevano l'acqua con indecisione, ondeggiando in un moto nauseabondo a causa delle correnti avverse. Il vento continuava a soffiare verso est, sospingendo le esalazioni tossiche proprio in faccia a Jawed e Isaia, e sollevava onde piuttosto alte per la profondità della laguna. Inoltre, presto il sole sarebbe calato esponendoli a pericoli ben peggiori dei Cacciatori di Reliquie. In quelle acque infette che distorcevano i pensieri era facile perdersi, specialmente nel buio pesto, e le bussole sarebbero state i loro angeli custodi per diverse ore. La presenza di un cartografo avrebbe dovuto far sentire Isaia più al sicuro, ma ancora non si fidava di quell'individuo. I suoi modi cortesi e melliflui nascondevano una sorta di irriverenza che trovava insopportabile e un cinismo davvero raro da quelle parti. Forse erano solo tracce della tipica arroganza che contraddistingueva gli intellettuali, ma Isaia sentiva che c'era qualcosa di più. A prima vista pareva un uomo impacciato, eppure quella sbadataggine assomigliava a uno scudo per aiutarlo a manipolare gli altri con più efficacia. Il persecutore aveva già visto quella strana luce negli occhi in un'altra occasione: nei compagni che durante la gioventù lo accompagnavano in battute di caccia al cinghiale. Poco male. La sua sfiducia nella buona volontà di Jawed lo avrebbe aiutato a non esitare in caso di passi falsi. La sua spada aveva ancora sete dopo il massacro alla Pala di San Sebastiano.

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now