XXIX

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Isaia riuscì a malapena ad alzarsi in piedi, aiutato da Jawed e Timoteo, e dovette faticare parecchio per tenersi in equilibrio con la barca che dondolava pericolosamente sotto di lui. La tempesta non dava segno di volersi calmare e il persecutore sentì le energie evaporare dal suo corpo con ogni respiro, rendendolo sempre meno lucido. Jawed gli prese timidamente il braccio e con una forte spinta riuscì a issarlo sui gradini di legno della palafitta. Dopodiché, lui e l'Ustà Biyar lo guidarono attraverso le stanzine della casa finché Isaia non si trovò disteso su un letto di pagliericcio. Il dolore al braccio ferito tornò presto a farsi vivo, costringendolo a contrarre la gola sotto il morso di mille aghi di ghiaccio. Com'era riuscito a ignorare un tale dolore mentre combatteva contro i Taurarchiaci? Ora gli impulsi erano talmente violenti da sovrastare ogni pensiero. Il dolore lo aveva completamente invaso, l'unica sensazione tangibile mentre ogni altra percezione stava lentamente svanendo intorno a lui. C'era qualcosa di sbagliato in quelle fitte estreme, come se il suo corpo stesse disperatamente suonando l'ultima allarme a vuoto. Isaia riuscì a muovere la testa di lato e mettere a fuoco le poche macchie di colore che ancora riusciva a distinguere. Le macchie si fusero nella faccia di Timoteo, seduto accanto a lui con un'espressione molto preoccupata, e nel volto arcigno e indistinguibile dell'Ustà che lo osservava dalla porta. L'individuo scambiò qualche parola offuscata con Jawed, anch'egli piuttosto impensierito, e sospirò profondamente. Isaia lo vide svanire dietro la porta, poi udì altre voci e suoni che giunsero sfocati alle sue orecchie e sentì che il suo corpo stava per addormentarsi completamente. Riuscì a dare un'ultima occhiata di conforto a Timoteo prima che lo sfinimento di tutte quelle ore di ansia e combattimenti lo sopraffacesse una volta per tutte. Un velo nero calò sui suoi occhi e, per la seconda volta in quelle ventiquattr'ore, Isaia perse conoscenza sotto gli occhi rammaricati di Timoteo.

Quando si risvegliò, Isaia notò subito qualcosa di sbagliato. Il suo senso del tatto era tornato attivo ed egli si sentiva di nuovo le gambe, ma qualcosa non andava. Alzò a fatica la testa, la mente intorpidita mentre il resto del corpo si risvegliava dal sonno letargico. Il terrore invase i suoi occhi quando egli capì la causa di quella sensazione.
Isaia era stato completamente spogliato della sua armatura. Gambali, spallacci, il pettorale... tutto gli era stato rimosso lasciandolo nudo con addosso solo la cotta di maglia e le brache di lino. Un'espressione di infinito disgusto si dipinse sulla faccia del persecutore quando egli vide i suoi piedi nudi e sporchi e le caviglie scoperte a cui si era appiccicata la paglia. Cosa gli avevano fatto in sua assenza? Come si erano permessi di spogliarlo in quel modo? Isaia si sporse in avanti, inorridito, ed esaminò la disgrazia che avevano compiuto. Il braccio ferito era stato denudato dalla corazza e avvolto in una sorta di straccio che pendeva dal suo collo. La sensazione del tessuto a contatto con la sua nuca era fastidiosissima e pungente, tanto che Isaia sollevò d'istinto il braccio per liberarlo dalla fasciatura, ma un'improvvisa fitta di dolore lo dissuase. Il persecutore strinse i denti e sibilò. Per quanto il dolore non fosse più intenso come prima, era ancora parecchio forte. Isaia alzò anche l'altro braccio e solo allora vide che gli avevano innestato qualcosa sotto la parte interna del gomito. Era una sorta di rampicante verde, forse una canna palustre, a cui era stato attaccato un ago conficcato nella sua vena. Isaia si sentì mancare. Non solo lo avevano spogliato della corazza esponendolo a sensazioni sgradevoli, ma gli avevano anche infilato qualcosa sottopelle per violarlo fino in fondo. Isaia osservò la canna verde per tutta la sua lunghezza e vide che era collegata a un recipiente metallico riposto su una mensola lì sopra. Dovevano avergli iniettato qualcosa per fargli riprendere le forze. Era inaccettabile. Tutti quei tocchi che sentiva ogni secondo sulla pelle, così diversi dal freddo abbraccio dell'armatura, lo stavano facendo sentire solo peggio. Sentiva l'aria appiccicaticcia che gli solleticava i peli delle gambe e le pieghe del tessuto sotto la schiena che lo facevano impazzire. Furioso, Isaia chiuse la mano a pugno e cominciò a dare dei forti colpi alla testiera del letto.
Presto, un rumore di passi giunse da dietro la porta, seguito da una serie di sussurri nervosi.
«È già sveglio» disse la voce roca di Jawed. La maniglia si abbassò lentamente e i cardini cigolarono, poi la porta si aprì per rivelare le facce di Jawed e Timoteo. Irritato, Isaia alzò il braccio per esprimere la propria disapprovazione, ma tentennò quando vide il viso del bambino farsi improvvisamente livido. Non appena ebbe davanti il persecutore, il volto di Timoteo si contorse in un'espressione terrorizzata, più smarrita di quando aveva visto la donna nuda nel bagno, e il respiro gli si bloccò in gola. Anche Jawed, che era pronto a parlare, rimase pietrificato dalla paura senza apparente ragione. Isaia corrugò la fronte. Che gli prendeva? Erano entrambi sbiancati come se avessero visto l'apparizione di un angelo. Solo allora Isaia si rese conto del motivo di quel terrore improvviso. L'elmo. Non lo aveva più addosso. L'espressione di Isaia da furiosa divenne tutt'a un tratto sgomenta ed egli si portò istintivamente le mani al viso. Isaia sentì l'ispida barba incolta sulle guance e la morbidezza della pelle degli zigomi, e i suoi occhi fiammeggianti saettarono a fissare i due compagni. Tutti gli sforzi per evitare che i due estranei vedessero ciò che era nascosto dietro la maschera erano stati vani. Jawed deglutì quando vide il volto del persecutore diventare ancora più incollerito, e fece un passo indietro. Anche Timoteo arretrò un poco, esterrefatto, e i suoi sforzi di nascondere il timore di fronte alla faccia di Isaia furono inutili.
«Era necessario» balbettò Jawed, cercando di farsi coraggio «non era possibile curarti con la corazza indosso, spero sia comprensibile. I tuoi abiti erano inzuppati d'acqua, non sapevamo che avresti reagito...»
Isaia zittì il cartografo con un brusco gesto della mano, facendo sussultare Timoteo. Poi gli fece cenno di portargli qualcosa per coprire il viso.
«Vuoi la tua maschera?»
Spazientito, Isaia annuì freneticamente e allungò il braccio per intimargli di andare a prenderla subito. Jawed svanì dietro la soglia e si allontanò più in fretta che poté, lasciando Timoteo da solo. Lui e Isaia restarono a guardarsi negli occhi per un po', attraversando con lo sguardo l'aria piena di tensione. L'ultima cosa che il persecutore voleva era spaventare il bambino, ma ormai era troppo tardi. Timoteo aveva visto le sue orbite infossate, le sue sopracciglia sottili e le grinze intorno agli zigomi scavati che mostravano il profilo del cranio. E la sua faccia si era contratta esattamente nell'espressione che Isaia si sarebbe aspettato: un misto di soggezione e ripudio con giusto una punta di terrore. Timoteo non disse niente, gli occhi ancora fissi sul compagno. Sembrava imbarazzato per non essere riuscito a trattenere quella smorfia.
Jawed tornò pochi momenti dopo reggendo la maschera con un'espressione colma di vergogna. Isaia gliela strappò dalle mani e la indossò immediatamente, faticando per stringere i due nodi del cordino con una mano sola. Quando non sentì più il soffio dell'aria sulle guance, quindi, tirò un sospiro di sollievo. Si voltò verso il cartografo e gli fece cenno di portargli qualcosa per scrivere.
«Bisognerà chiedere al mio maestro» rispose Jawed «è lui che vi ha fatto riprendere conoscenza. Siamo a casa sua ora e la tempesta è ancora forte lì fuori. Lui e sua moglie stanno stuccando i buchi nel tetto. Ora vado a chiamarlo»
Jawed fece per allontanarsi, ma prima di uscire dalla stanza si chinò leggermente in avanti per sussurrare qualcosa al persecutore.
«Ho dovuto insistere molto per farvi ospitare» mormorò, la fronte corrugata «perciò spero che mi sarete grato, anche se credo che non mi perdonerete mai. Volevo solo che lo sapeste»
Isaia annuì bruscamente. A quanto pareva, il cartografo non riusciva proprio a trattenersi dal decantare le sue virtù nemmeno in quell'occasione. Jawed tentennò un attimo sulla soglia, forse aspettandosi qualche altra reazione dal persecutore, poi uscì frettolosamente. Isaia lo sentì parlottare con il maestro nell'altra stanza e si rese conto di quanto fossero diversi i suoni senza l'elmo indosso. Intorno a lui la pioggia era squillante e crepitante, molto diversa dal rumore filtrato dall'acciaio che era abituato a sentire, e gli faceva venire il mal di testa. L'Ustà Biyar entrò nella stanza pochi secondi dopo reggendo una pergamena e una penna già inchiostrata. Aveva una faccia burbera, colma di un'irritazione simile a quella che Zaneto aveva dimostrato quando li aveva accolti nella sua casa. Di certo nemmeno lui gradiva ospitare un persecutore nel proprio letto. Isaia aveva l'impressione che la visita a sorpresa di Jawed non gli avesse fatto piacere nemmeno un po'.
«Dunque vi siete svegliato» disse in tono brusco, squadrando il corpo del persecutore «come vi sentite?»
Isaia annuì per far intendere che si sentiva bene.
«Molto bene. Il mio siero di zuccheri ha dunque funzionato» continuò, facendo un cenno verso la scatolina di metallo sopra la testa del persecutore «ho usato un contenitore d'argento per renderlo sterile. Secondo i miei studi alchemici dovrebbe essere sufficiente. Che voi ci crediate o no, antichi libri di quella che chiamate "epoca del peccato" parlano di alimentazione endovenosa, direttamente nel sangue, e senza di essa forse non sareste sopravvissuto alla notte. Perciò dovete ringraziare la cultura che avete barbaramente distrutto se ora siete ancora vivo»
Isaia annuì nuovamente e con un cenno chiese se poteva staccare il tubicino verde dalla vena. L'Ustà si accigliò.
«Preferirei che lo teniate ancora per un po', fino a mezzogiorno. Ora sono le sei di mattina, è molto presto, ed è meglio non rischiare. Interrompere la cura adesso potrebbe causarvi una crisi di vomito piuttosto forte. Il braccio vi duole?»
Isaia rispose di sì.
«Quanto?»
Isaia appiattì la mano e abbassò il palmo per indicare una quantità piccola, ma non microscopica.
«Molto bene. Questo significa che potrete togliere il disturbo già questa sera» l'Ustà incrociò le mani dietro la schiena «come potete immaginare, sono un uomo molto impegnato e questa tempesta mi costringe a impiegare le energie in tediose attività manuali. Il vostro braccio sta bene perché avete solamente subito uno strappo muscolare, non una frattura come credevo inizialmente, e pertanto non avete bisogno di particolari attenzioni mediche una volta che vi sarete completamente ripreso»
Isaia annuì senza mascherare un po' di sdegno. Le movenze dell'Ustà erano nervose e svogliate, come se non sopportasse l'idea di trascorrere un'altra singola ora in compagnia dei nuovi arrivati. Almeno Zaneto era stato sincero con loro fin dal primo momento. Quel vecchio invece sembrava mille volte più scocciato dalla loro visita nonostante tentasse di simulare la propria insofferenza con delle arie da medico dotto. Gli intellettuali erano proprio tutti uguali, si ripeté Isaia, e quell'Ustà sembrava avere tutti i difetti di Jawed moltiplicati per mille.
«Quindi? Avete richiesto una penna per dire qualcosa, no?» il vecchio alzò gli occhi al cielo. Isaia annuì.
Mi fa piacere sapere che è solo uno strappo, scribacchiò in fretta, il vostro allievo mi ha giurato che una volta scortatolo qui avremmo ricevuto una mappa della laguna come compenso. Quando riceveremo tale compenso, con l'aggiunta di una discreta quantità di provviste, ce ne andremo subito.
Il vecchio corrugò la fronte non appena prese in mano il foglio. Isaia notò che stava rileggendo il messaggio più volte.
«Dunque non vi basta che io vi abbia salvato la vita...» l'Ustà alzò la voce e i suoi occhi si fecero spazientiti «chiedete anche le mie mappe e il cibo che serve a sfamare la mia famiglia. Non so con quale coraggio avanzate queste pretese. Non vi devo nulla. Voi credete che io sia come quei poveretti là fuori che farebbero di tutto per scontare un anno in meno nel purgatorio, ma non sono come loro. Sono un uomo di scienza molto impegnato che non intende fare la carità a chi nemmeno si mostra riconoscente. Se sapeste cos'ho abbandonato a Ebla! E con quanta riverenza si pronunciava il mio nome! Non vi azzardereste a rivolgersi a me come a un Bonaventura qualsiasi»
Timoteo sussultò quando il vecchio iniziò a parlare in modo più aggressivo, ma Isaia gli rivolse uno sguardo d'incoraggiamento per confortarlo.
Il vostro allievo ha giurato, scrisse senza scomporsi, e queste richieste sono responsabilità sua. Non è affar nostro se vi danno pena. Vi sono molto grato per le cure, ma capirete che non possiamo partire senza provviste e una mappa.
«Il mio allievo...» gracchiò l'Ustà in tono di autocommiserazione. Aprì la bocca, forse per sfogare qualcosa, ma la richiuse subito dopo aver inspirato profondamente.
«Il mio allievo ha solo accennato a un certo numero di peripezie che lui ha affrontato nel suo viaggio. Non mi ha detto nulla riguardo a questa faccenda»
Non mi sorprende, rispose Isaia.
L'Ustà sbuffò e si portò le mani al viso. La fronte era imperlata di sudore nonostante il freddo e le sue gambe tremavano lievemente. Oltre a nascondere la scocciatura, sembrava che egli stesse celando una sorta di strana angoscia dietro gli strati di austerità. Fin da quando era entrato nella stanza, Isaia aveva notato  un timore che lo aveva colto improvvisamente e che ora egli stava cercando di non lasciar trasparire. I suoi occhi stanchi balzavano da un lato all'altro della stanza come pupille di un rettile, inconfondibilmente preoccupati per qualcosa, e le sue mani erano scosse da fremiti d'apprensione. Ma forse era solo lo stress per quella visita inaspettata.
«D'accordo» disse infine con tono più pacato «vi darò una mappa e delle provviste. Ma mi aspetto almeno che mi lasciate in pace. Vi prego, non chiamatemi e non muovetevi in questa stanza. Non ho altro da aggiungere. Parleremo dopo di altri dettagli, ora devo proprio andare»
Isaia annuì e l'Ustà si morse nervosamente le labbra prima di uscire senza voltarsi indietro. Timoteo lo seguì con gli occhi finché non svanì dietro la soglia, poi si avvicinò al persecutore.
«Che gli hai detto per farlo arrabbiare?» domandò. Isaia fece per scrivere una risposta sulla pergamena, ma si ricordò che Timoteo non riusciva a leggere. Disegnò quindi un sacco pieno di cibo stilizzato e una mappa, poi fece vedere lo scarabocchio al bambino.
«Mh, capisco. Mentre dormivi ho controllato che non ti facessero niente, hanno parlato tutto il tempo in una lingua strana»
Isaia annuì. Non riusciva ancora a credere che Jawed avesse avuto ragione. In ogni caso era felice di poterselo finalmente togliere dai piedi. Ora sarebbero stati solo lui e Timoteo, una barca adornata di ossa sacre e le due miglia e mezzo che li separavano dall'Isola delle Rose.
«Scusami se te lo chiedo» disse Timoteo «ma posso sapere cos'è successo nella rocca? Oreb aveva parlato di gladiatori e la tua corazza era tutta sporca di sangue. Ho chiesto a Jawed di raccontarmi cosa vi è successo ma mi ha detto che non poteva dire nulla»
Isaia rispose chinandosi in avanti e fissando il bambino negli occhi con aria severa. Era un muto "vuoi davvero sapere cos'è successo?". Non aveva alcuna intenzione di raccontargli quanto sangue aveva imbrattato la sabbia dell'arena sotto le fauci della sua spada.
Timoteo sembrò capire il messaggio, perché sussultò alla vista dello sguardo del compagno. Si guardò le punte delle scarpe e pensò a qualcos'altro da dire per cambiare discorso, ma non gli veniva in mente niente.
«Manca molto all'Isola? Sulla barca mi hai detto che eravamo quasi arrivati» riuscì infine a chiedere «Quanti giorni di viaggio pensi che manchino?»
Isaia alzò il dito indice. Uno al massimo. Dipendeva dalla tempesta lì fuori.
«Meno male. Sono molto stanco. La nostalgia mi uccide» Timoteo si sistemò un ricciolo che gli si era appiccicato in fronte «quando ero sulla barca e tu eri svenuto, avevo una paura tremenda. Avevi detto a Jawed di non portarti dal suo maestro e lui lo stava facendo lo stesso. Io non sapevo cosa ti fosse preso e avevo paura. Ma sono felice che sia andato tutto bene. Stare di nuovo in una casa è bello, mi ricorda la mia camera, anche se il tetto perde molta acqua e non mi fido del maestro di Jawed»
Isaia poggiò la mano sulla spalla del bambino. Nemmeno lui si fidava dell'Ustà, ma perlomeno egli non sembrava così ostile da preoccuparsi. Dopo essere sopravvissuto all'imboscata di un'intera branca di Cacciatori di Reliquie, un vecchio eremita diffidente era l'ultima cosa che lo preoccupava. Isaia si accorse che, parlando con Timoteo, la rabbia per essere stato spogliato dell'armatura stava svanendo. Le braccia gli dolevano ancora, ma la mente era tornata fredda e concentrata sulla missione. 

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now