XIV

33 5 3
                                    

La pioggia incessante e temporalesca aveva alzato pericolosamente il livello d'acqua della laguna. Isaia non aveva mai visto la marea salire così in fretta, inghiottendo le barene una dopo l'altra fino a sommergere il sentiero che avevano percorso. Se continuava così, presto anche la bricola dove avevano ormeggiato la barca sarebbe finita sott'acqua.
«Qua. Datemi una mano» Zaneto corse in soggiorno e agguantò degli stracci impermeabili, poi li incastrò sotto la soglia dell'uscio. La moglie si recò alla latrina e si udì un gemito di disgusto mentre la turava alla meno peggio. Quel casone sperduto nel nulla non era impermeabilizzato come molti edifici della città e l'acqua s'infiltrava dai pori delle pareti con velocità allarmante. Timoteo si strinse con ancora più forza a Isaia mentre Zaneto saettava da un lato all'altro della casa nel tentativo di tappare le fessure più grosse con stracci e panni di lino.
«Tu!» esclamò, rivolto a Jawed «vieni fuori e aiutami con le barche. Vanno legate per bene»
Il cartografò annuì, più spaesato che mai, e lo seguì verso la porta sul retro.
«E voi!» Zaneto guardò Isaia e Timoteo e indicò una porta chiusa nel corridoio «ci sono dei secchi nel ripostiglio. Datevi da fare! O i mobili s'inzuppano!»
Detto questo il pescatore spalancò la porta sul retro e sparì dalla loro vista, barcollando sotto la violenza della pioggia. Isaia inspirò profondamente per mantenere il sangue freddo e afferrò un paio di secchi dalla stanza che quello gli aveva indicato. Quando fece per porgerne uno a Timoteo, tuttavia, si accorse di quanto pallido egli fosse diventato. Il bambino stava facendo del suo meglio per sembrare calmo ma i suoi occhi erano ancora strabuzzati, con un minaccioso alone rosso intorno alle orbite. Aveva proprio un aspetto malaticcio e un'espressione stranita, quasi ipnotizzata dall'acqua stagnante che pian piano saliva dal pavimento. Chissà se la cella doveva aveva trascorso l'infanzia si trovava nei piani alti di Palazzo Timordomini. In quel caso la sua confusione era pienamente giustificata.
Nonostante tutto, Timoteo prese silenziosamente il suo secchio e seguì il persecutore verso la cucina. Lì i due aprirono la finestra dal lato opposto rispetto a quello contro cui batteva il vento e iniziarono a drenare la stanza lanciando secchiate d'acqua fuori dalla finestra. Il fragore della pioggia ora era davvero assordante e Isaia sentiva l'acqua infiltrarsi nella gambiera della corazza. Anche i calzoni di Timoteo si stavano inzuppando e il fango rimasto incrostato dalla camminata nelle barene si stava sciogliendo in zolle disgustose.
«Mi dispiace per aver fatto quel giuramento» mormorò il bambino, lanciando una secchiata d'acqua dalla finestra con poca convinzione.
Isaia gli poggiò una mano sulla spalla per rassicurarlo. Ora avevano altro a cui pensare. Si potevano udire le grida di Zaneto e Jawed mentre stringevano nodi marinareschi con le cime intrise d'acqua.
«Davvero. Mi dispiace» Timoteo tirò su col naso «è solo che ho visto mio padre farlo più volte. Non sapevo che fosse grave»
Isaia scosse il secchio per ripetergli che in quel momento c'era un problema più grande. Se non svuotavano in fretta la casa, l'acqua sarebbe arrivata al focolare. Anche la moglie di Zaneto stava lavorando sodo nella stanza a fianco, inzuppando stracci di acqua e strizzandoli fuori dalla finestra.
«Ho paura»
I due continuarono a lavorare per diversi minuti. La stanchezza stava già facendo capolino quando Zaneto e Jawed rientrarono in casa e tapparono ogni fessura della porta sul retro. Le grida del pescatore che correva qua e là per isolare le pareti si mischiavano al fragore della pioggia e Isaia presto iniziò a sentirsi intontito da tutto quel trambusto. Ormai le sue braccia si muovevano da sole e rovesciavano fuori l'acqua con cadenza regolare mentre la sua mente vagava attraverso cupi pensieri e scenari apocalittici. Quando non aveva lo sguardo perso nel vuoto i suoi occhi indugiavano su Timoteo, le cui braccia stavano iniziando a cedere dopo tutte quelle secchiate ripetitive. 
«A posto! L'acqua non sale più!» le parole colme di sollievo di Zaneto riscossero il persecutore dai pensieri. Era vero. Isaia non l'aveva notato, ma il livello d'acqua nella stanza stava finalmente scendendo con ogni secchiata. Fuori pioveva ancora a dirotto, ma evidentemente il pescatore era riuscito a tappare tutti i buchi più grossi della casa. Ora le infiltrazioni erano minime. Isaia accelerò il ritmo e presto le due spanne di acqua che stagnavano nel pavimento iniziarono a scendere. Prima il livello calò a circa una spanna, poi a un palmo, e i due continuarono con le secchiate finché tutto ciò che rimaneva erano appena due dita di acqua.
«Va bene così» Zaneto entrò nella cucina, i capelli fradici e il volto corrucciato. Isaia e Timoteo erano stremati. Gettarono i secchi a terra e si appoggiarono alla parete per riprendere fiato dopo quella tirata improvvisa.
«Non ho mai visto l'acqua alta arrivare così velocemente. Di solito abbiamo abbastanza tempo per prepararci» borbottò il pescatore «maledizione! Che mese funesto! Funesto! Non potete immaginare!»
Anche lui sembrava esausto. L'ennesimo imprevisto doveva averlo abbattuto ancora di più, aumentando a dismisura la frustrazione che l'ubriachezza gli aveva iniettato in corpo. Guardò nervosamente fuori dalla finestra, a malapena abbastanza lucido da imprecare qualcosa sottovoce contro le intemperie, poi spostò lo sguardo verso Timoteo e strabuzzò gli occhi.
«Ragazzo, sei pallidissimo! È meglio se ti riposi, sembri un fantasma!» esclamò.
«Mi dispiace» rispose Timoteo con voce fioca «sono molto stanco»
Zaneto si morse le labbra. Diede un paio di occhiate fugaci a destra e sinistra, quasi per controllare che nessuno lo stesse guardando, poi estrasse una singola chiave arrugginita dal taschino delle brache.
«Al piano di sopra, la terza porta a sinistra. C'è uno studio con un focolare e un letto comodo» disse, porgendogliela «il tuo compagno può accendere il fuoco con un tizzone. Mi raccomando, togliti le scarpe e i vestiti e lasciali ad asciugare. Non bagnare il letto»
«Mille grazie» il bambino prese la chiave.
«Non faccio entrare cani e porsèi in quella stanza, mi raccomando! Massimo rispetto!»
«D'accordo»
«Bene» Zaneto tornò accigliato e sospirò profondamente prima di tornare nell'altra stanza.
Isaia rivolse un cenno di riconoscenza al pescatore, poi i due compagni salirono al piano di sopra. Timoteo aprì la porta e il profumo di libri vecchi li investì subito. Una volta acceso il focolare, la stanza si rivelò ai due in tutta la sua inaspettata comodità. Zaneto non mentiva: il letto di quella camera non aveva niente a che fare con le brandine della stanza degli ospiti. La cornice era in legno solido, i cuscini erano ricamati e le coperte erano di tessuto pregiato, quasi fossero quelle di un nobile. Inoltre le pareti erano adornate di parecchi scaffali colmi di libri antichi e c'erano dei vestiti puliti dentro l'armadio in legno di noce.
Timoteo si tolse i vestiti zuppi d'acqua e li lasciò ad asciugare vicino al fuoco, poi si infilò nudo sotto le coperte e si girò su un fianco per riposare. Isaia si sedette di fianco a lui, su una seggiola di legno vicino al comodino, e si godette il calore del fuoco per la seconda volta mentre vegliava sul bambino. Restò a guardare le fiamme con la stessa malinconica contemplazione del compagno, aspettando che le gocce che imperlavano la corazza si asciugassero. I polmoni di Timoteo sibilavano respirando, evidentemente disabituati al freddo che lo aveva colpito stando di fronte alla finestra, e Isaia si sentì sconfortato. Il bambino tirò su col naso e si stiracchiò, strisciando sotto le coperte come una larva umida nella propria crisalide.
«Posso rivelarti un segreto?» mormorò con voce strascicata. Isaia si voltò verso di lui e annuì, sorpreso che avesse ancora voglia di parlare.
Timoteo sospirò profondamente «Non è vero che non sono mai uscito dalla mia stanza»
Isaia corrugò la fronte. A dire il vero lo sospettava già da tempo. Se Timoteo fosse davvero sempre rimasto segregato nella cella, il suo comportamento sarebbe stato di gran lunga più pavido e frignone. L'esatto opposto delle doti che lui finora aveva dimostrato. Eppure era strano che avesse scelto quel momento per rivelargli il segreto.
«La mia camera aveva una finestrella molto in alto, protetta da sbarre di ferro» incominciò a raccontare, gesticolando con le mani mentre fissava il soffitto «ed era da lì che entrava la luce. All'inizio non volevo uscire, perché ero sempre stato lì dentro e avevo paura del mondo esterno, ma sentivo le persone fuori che parlavano e camminavano ed ero curioso. Volevo vedere i santi e i profeti di cui mi parlava Pia e incontrarli, così ho cominciato a scavare intorno alle sbarre. Ho usato i cucchiai e le forchette per togliere via la polpa dei mattoni tutto intorno al ferro, una briciola alla volta, cercando di non fare troppo rumore. Pia si chiedeva sempre perché non ci fossero mai cucchiai, visto che quando erano consumati li buttavo di sotto nella calle. E dopo un sacco di tempo – nemmeno so quanto – sono riuscito a smuovere le sbarre dal mattone. Potevo metterle e toglierle quando mi pareva, così ho provato ad andare fuori di notte»
Isaia ascoltava con attenzione, indeciso su cosa pensare di quel racconto. Dal piano di sotto provennero degli strepiti, forse della moglie di Zaneto che rimproverava il marito, ma il tono di Timoteo gelava ogni rumore con la propria distaccata spossatezza. C'era un barlume di affetto in quelle parole, come se si stesse confidando con un amico, ma anche quell'affetto era troppo freddo per scaldare alcunché.
«Sono uscito dalla mia stanza e ho camminato un po' lungo la calle. Mi sembrava tutto così strano, era come se fossi in un sogno ma potevo toccare le cose e sentire gli odori. Le prime volte non ho mai fatto molta strada perché avevo paura, ma col passare del tempo ho iniziato ad abituarmi. Sono andato oltre la calle dietro il palazzo, che mi ricordo bene perché aveva sempre dei panni verdi stesi ad asciugare, e ho visto i canali e le persone. Non ho mai parlato con nessuno, però, perché avevo troppa paura. Pia mi ha sempre ripetuto che la gente è malvagia ed egoista, e che quando sarei uscito dalla mia stanza avrei dovuto prestare molta attenzione. Mi diceva che la gente fuori sfrutta gli altri finché può e racconta bugie invece di seguire i gli insegnamenti di Gesù, cerca delle scorciatoie per ingannare Dio e finire in paradiso. Così mi portavo dietro dei coltelli per difendermi, in caso la gente avesse notato che ero fuggito dal palazzo. Credevo che tutti i passanti della città sapessero chi ero e che avrebbero raccontato tutto a mio padre se mi avessero visto. Per questo mi nascondevo»
Timoteo sbuffò col naso, come se trovasse ridicola la propria ingenuità, poi si girò sull'altro fianco per guardare il compagno negli occhi.
«Vorrei sapere che persona era mio padre. L'ho a malapena conosciuto»
Isaia non reagì. Perché gli faceva domande a cui non poteva rispondere? Cercava di sentirsi meno solo? Lui poteva offrirgli protezione e custodia, non conversazioni di fronte al focolare.
«Non farò mai più giuramenti sull'Inferno. Però nei pochi giorni in cui l'ho conosciuto lui li faceva spesso» Timoteo ricominciò a guardare il soffitto «giurava che mi avrebbe fatto uscire dalla mia cella e che avrebbe rimediato a quello che aveva fatto. Giurava anche mentre pregava, dicendo a Dio che non gli restava molto tempo e che mi avrebbe cresciuto lo stesso. E continuava a scusarsi per non avermi fatto uscire. Non ha mai scoperto che io giravo per la città di notte. Prima che Pia morisse uscivo quasi ogni giorno e rincorrevo gli uccelli grigi oppure guardavo i batacchi delle porte alla luce dei lampioni e cercavo di fissarmeli in testa per poi disegnarli a casa. Avrò disegnato centinaia di batacchi ormai, alcuni davvero spaventosi. E mio padre non ha mai sospettato niente. Ancora adesso penso a batacchi da disegnare ogni tanto, quando sono triste. Se potessi scegliermi un mestiere sarebbe creare i batacchi. Sono bellissimi»
I suoi lineamenti si erano distesi dopo che egli si era sfogato parlando, ma tornarono contratti in un'espressione turbata quando i suoi pensieri sembrarono vagare verso altre questioni.
«Forse anche mio padre ha visto un leviatano? Per questo faceva così?» domandò, alzando improvvisamente la voce. Isaia scosse energicamente la testa. Non doveva lasciare che quei pensieri continuassero a fluttuare nella sua mente, doveva riposarsi e rinvigorire lo spirito. Anche se il leviatano in effetti era una buona scusa paragonata alle vili motivazioni che avevano spinto Giacomo Timordomini a farsi martirizzare. Era evidente, comunque, che Timoteo non aveva paura del leviatano come uno spauracchio. C'era qualcosa di più oscuro dietro quel malessere che gli traspariva dagli occhi, qualcosa collegato anche con la sua ossessione nel comprendere la vera natura del padre, ma Isaia era troppo confuso per comprendere quella sensazione. Sapeva solo che non gli piaceva.
Improvvisamente la porta della camera si aprì cigolando. La faccia nervosa di Zaneto fece capolino dalla soglia e corrugò la fronte alla vista del bambino.
«Hai davvero un brutto aspetto, ragazzo» disse, entrando nella camera «ti ho portato delle erbe curative. Mio figlio le ha portate dalla montagna e le custodisco da molto tempo ormai. Ti aiuteranno a riprenderti»
«Mille grazie» mormorò Timoteo. Il pescatore gli allungò una tazza piena di liquido dal vago colorito verdastro e il bambino ne bevve un lungo sorso. I suoi lineamenti si contrassero immediatamente in un'espressione inasprita e disgustata, ma egli si ricompose subito e accennò un amaro sorriso in segno di riconoscenza.
«Grazie ancora. Mi dispiace per la casa. E la tempesta» disse, soffiando sul liquido caldo.
Zaneto fece spallucce «È solo una casa. Avevamo intenzione di andarcene comunque» poi si voltò verso Isaia «gli stracci sembrano tenere bene. Adesso entra poca acqua. Se la tempesta finisce presto dovremmo resistere, ma bisogna comunque svuotare quella che entra con il secchio. Più tardi avrò bisogno di una mano»
Il persecutore annuì e Zaneto si morse il labbro prima di borbottare uno «Speriamo che finisca presto» e andarsene camminando rapidamente. Timoteo bevve un altro sorso della medicina e Isaia udì dei passi salire le scale che conducevano al piano di sopra. Doveva essere Jawed. Forse era l'occasione migliore per chiedergli un aiuto in vista della partenza. Con tutti i soldi che aveva, il costo di una mappa non doveva essere un problema. Isaia diede un lieve colpetto al braccio del compagno per indicargli che si sarebbe assentato un momento, poi si alzò dalla sedia e uscì dalla camera.

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now