IV

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Il bambino si risvegliò poco dopo le prime luci dell'alba. Isaia si era già alzato e stava vegliando su di lui da parecchio tempo quando egli si issò sulle braccia tremanti e si guardò attorno con aria assonnata. I raggi di luce, affilati come lame, gli avevano sfiorato gli occhi penetrando dal finestrone cruciforme di fronte al letto e lo avevano svegliato prima del previsto.
Isaia si alzò in piedi, facendo cingolare l'armatura, e subito il ragazzo sussultò. Le sue pupille si restrinsero non appena riconobbero la corazza e la visiera a forma di maschera veneziana da cui gli occhi del persecutore lo fissavano. Cercò di districarsi forsennatamente dalle coperte, ma una fitta lancinante gli percorse la spina dorsale ed egli dovette stringere i denti per non soffocare un gemito di dolore. Non poteva muoversi. Si era scordato del taglio che il persecutore gli aveva inferto con la spada. Impotente, si guardò inutilmente attorno alla ricerca di un'arma o di una via di fuga. I suoi occhi saettavano ripetutamente da una parete all'altra della stanza, esprimendo un disorientamento che sembrava avergli attanagliato i nervi nel profondo, quasi come stesse per avere un attacco di panico. E nel frattempo Isaia lo fissava col sopracciglio alzato, sconfortato dalla sua paura.
«Dove sono?» gracchiò Timoteo, gonfiando il petto e lanciando uno sguardo colmo d'odio verso il persecutore. Sbirciò quindi sotto le coperte e vide la fasciatura attorno alla gamba. Isaia non rispose, immobile sotto le placche di metallo della corazza.
«Dov'è mio padre?» insistette il ragazzo. Cercava di utilizzare un tono aggressivo, eppure dalle sfumature della voce traspariva una profonda, istintiva paura. Isaia attese qualche secondo, poi abbassò il capo in segno di solenne compunzione. Timoteo sussultò alla risposta del persecutore. Evidentemente poteva capirlo, anche se non aveva ancora parlato. La sera scorsa gli era solo sembrato un mostro, una bestia senza volto, e la realizzazione che c'era un essere umano sotto l'armatura lo scombussolava ancor di più. Gli era sembrato che quell'ammasso di ferro animato fosse una sorta di demone, una creatura dell'oltremondo, ma ora poteva vedere ciocche di capelli ricci spuntare da sotto l'elmo. Il ricordo del profilo sanguinolento del padre sotto il lenzuolo bianco riaffiorò improvvisamente nella memoria del ragazzo, costringendolo a serrare i pugni e ad accasciarsi sul letto. Il suo respiro si fece più pesante e la vista iniziò a sfocarsi mentre la rabbia tornava prepotentemente in circolo.
«Sei stato tu, tu sei un uomo. Sei un assassino» biascicò con voce roca «Perché? Che cosa ti ho fatto? Io non ho mai fatto niente a nessuno!»
Isaia si morse le labbra. Quello era uno di quei momenti in cui rimpiangeva di aver abbandonato la voce. Ma le grida del bambino avrebbero presto richiamato l'attenzione di Rebecca e lei avrebbe potuto spiegargli la situazione. Già sentiva i piedi della sorella lambire le fredde lastre di pietra dall'alto della sua torre per scendere le scale.
«Hai ucciso mio padre!» il tono di Timoteo stava diventando sempre più frustrato «E ora nemmeno mi vuoi parlare! Che devo fare perché la gente mi parli? Nessuno me l'ha detto! Nessuno capisce niente!»
Il bambino agguantò il cuscino dietro di lui e se lo portò al viso per attutire i singhiozzi, poi continuò a piagnucolare mentre un rumore di passi echeggiava dalle scale sopra di loro.
«Oh, tesoro» la voce angosciata di Rebecca risuonò dal corridoio della torre. Corse a piedi nudi nella camera del ragazzo e si sedette sul letto. Timoteo era sul punto di scoppiare a piangere quando lei gli posò il dito sulle labbra e gli lasciò appoggiare la testa sul petto.
«Non è colpa sua, piccolo» Rebecca carezzò i capelli lerci del ragazzo «tuo padre voleva essere martirizzato. È stata una sua scelta, una decisione che ha preso molto tempo fa. Ha pagato mio fratello affinché si prendesse la sua vita. Non l'ha assassinato, lo ha condotto in paradiso. Gli ha concesso la pace eterna»
«Non è vero!» singhiozzò il bambino, stringendo i lembi del lenzuolo fino a sbiancarsi le nocche «Non sapete niente! Mio padre...»
«Tuo padre ora è in un posto migliore e voleva averne la certezza. Quando Dio si prenderà la tua anima potrai incontrarlo di nuovo e trascorrere con lui l'eternità. È per questo che ha scelto di concludere il suo percorso di vita terrena ieri sera, abbracciando il martirio come destino»
«No... No...» la voce di Timoteo si fece sempre più roca. Rebecca continuò a cullarlo tra le sue braccia, sussurrandogli parole di conforto sotto lo sguardo malinconico di Isaia. Dopo anni di torture si era desensibilizzato praticamente a tutto ma non a questo. Il pianto dei figli di coloro che uccideva era un gemito velato di gioia, un commiato agrodolce che non sfiorava mai lo straziante. Eppure la visione di quel bambino in lacrime lo innervosiva. Un innocente abbandonato dal padre turbava un persecutore che aveva abbandonato Dio. Isaia dovette respirare profondamente dietro l'elmo per mantenere l'inflessibilità. L'angoscia non lo toccava fisicamente, ma sentiva le viscere sempre più in subbuglio man mano che le lacrime del bambino sgorgavano.
«Ora calmati. Così va meglio?» Rebecca si rialzò, senza smettere di carezzare Timoteo.
«No» il ragazzo tirò su col naso e si asciugò gli occhi arrossati.
«Tuo padre ha fatto questo per te. Per rivederti in Paradiso, beatificato, e passare un'eternità di lodi a Dio di fianco a te non appena lo seguirai nell'aldilà. Lo ha fatto perché ti ama»
«Non è vero! Non voglio morire»
«Non è ancora tempo» Rebecca accennò un sorriso «un giorno capirai, ma non è ancora tempo»
Timoteo boccheggiò, ancora in preda agli spasmi del pianto, poi tirò un respiro profondo e volse lo sguardo verso Isaia. Il persecutore annuì lentamente, come per confermare ciò che aveva detto la sorella. Era tempo di fargli conoscere la lettera del padre.
Isaia aprì uno dei cassetti del mobile di fianco al letto e ne estrasse il foglio ingiallito, poi lo porse a Rebecca.
«Cos'è?» chiese lei, presa alla sprovvista. Isaia le fece cenno di leggere e si sedette pazientemente sulla sedia.
Rebecca lesse in silenzio, accigliandosi mentre scopriva sempre più dettagli sulla considerazione che il vecchio Timordomini aveva per suo figlio. Alla fine della lettera, sul suo viso si era dipinta la stessa espressione corrucciata che Isaia aveva la sera precedente.
«Quindi? Hai intenzione di portarlo lì? All'Isola delle Rose?»
Isaia annuì.
«Non sappiamo se sua madre sia ancora viva. E poi quella parte della laguna è in mano ai Cacciatori di Reliquie. Non credo sia un posto sicuro, e lo sai benissimo anche tu» mugolò la donna mentre riponeva la lettera sul mobile.
«Mia madre?» Timoteo sembrò riscuotersi improvvisamente. Rebecca volse uno sguardo titubante a Isaia, come a chiedergli se fosse saggio parlargli della lettera del padre così presto, ed egli annuì. Non aveva senso tenerglielo nascosto.
«Sì. Tuo padre ha lasciato una lettera in cui dice che vorrebbe affidarti a lei. Ma la strada per raggiungerla è estremamente pericolosa»
«Ma voi chi siete? Conoscevate mio padre?» il bambino, nonostante si fosse calmato, sembrava parecchio confuso dalla situazione. Isaia non poteva biasimarlo. Si poteva vedere chiaramente che in quel momento la sua indole era istintiva, aspra come quella di un cucciolo di serpente velenoso da poco venuto al mondo. Rebecca fece per chinarsi, pronta a offrirgli un altro abbraccio per assorbire un po' del suo disorientamento, ma lui si ritrasse con diffidenza.
«No, piccolo. Non di persona. Mio fratello offre il suo servizio a chiunque sia disposto a pagare. Non abbiamo molti amici» sospirò lei. Timoteo annuì leggermente, continuando a spostare gli occhi arrossati dalla sagoma tesa di Rebecca alla maschera bianca sul volto di Isaia.
«E mia madre? La conoscete? Mio padre non mi ha mai parlato di lei» il bambino continuò ad asciugarsi gli occhi in modo sconsolato.
«No, non conosciamo nemmeno lei. Tuo padre ci ha lasciato scritto come raggiungerla, ma non credo che la troveremo lì. Le possibilità sono molto basse. Non conviene tentare»
Isaia sbatté il piede a terra, facendo sussultare i due. Sua sorella aveva ragione. La parte meridionale della laguna da qualche anno era territorio dei Cacciatori di Reliquie, ma non avrebbero osato toccare il Sacro Ospitale. Se la madre di Timoteo non era morta di qualche morbo contratto curando i pellegrini, era sicuro che l'avrebbero trovata lì.
Rebecca lo fissò con un misto di sorpresa e preoccupazione.
«Vuoi sdebitarti con lui?» domandò, aggrottando la fronte.
No, pensò Isaia, voleva solo compiere una buona azione per una volta. Voleva salvare un anima materialmente, in questo mondo. Era stanco di torturare la gente fino alla morte. Nonostante lo facesse per salvare le loro anime, non c'era alcuna soddisfazione nel dolore perpetuo per il quale gli altri lo conoscevano. Era stanco di essere temuto; il rispetto che riceveva non era altro che un guscio che nascondeva profonde paure. Questa volta avrebbe seguito un'altra strada. Forse era un capriccio o forse qualcosa di più profondo. L'ombra di una misericordia che non aveva nulla a che fare con l'etica.
«Potrebbe essere molto pericoloso, lo sai. Potreste morire entrambi. E se non doveste trovare nessuno? Non ti facevo così impulsivo» insistette Rebecca. Isaia scrollò le spalle con fierezza. Avrebbe protetto la creatura con tutte le sue energie se fosse stato necessario. Ed egli era perfettamente consapevole della natura impulsiva di quella scelta, così come lo era della stagnazione mentale di Rebecca. Lei non poteva capire le motivazioni dietro una tale decisione. Non conosceva il valore di un rischio, né comprendeva il peso che lui era costretto a portare ogni giorno, a ogni ora, senza possibilità di liberarsene. Nessuna delle preghiere che lei amava ripetere per ore poteva alleviare una sola oncia di quel peso in confronto a quello stimolo di compassione viscerale. Timoteo iniziò a spostare lo sguardo tra i due, cercando di comprendere il sottotesto della conversazione, e tornò a rabbuiarsi.
«Ho capito» disse infine la donna, poi si rivolse al bambino «tu riposati mentre parlo con mio fratello. Ora ti porto qualcosa da mangiare. Ti piace il pane col burro?»
«Sì» mugugnò il ragazzo in segno affermativo.
«Vorrei anche che ti calmassi. Non siamo qui per farti del male, perciò non c'è motivo di avere paura»
«Non ho paura di voi»
C'era un barlume di risentimento nella sua voce ancora piagata dal pianto e i suoi occhi erano ancora fiammeggianti, nonostante il fuoco si fosse placato un po'.
«Tutto ciò che è accaduto ieri sera è solo stato un equivoco. Ricordalo. Nessuno qui vuole farti del male. Ci dispiace per quello che è successo»
«Posso alzarmi dal letto quando la gamba non mi farà più male?»
Le labbra di Rebecca si schiusero in un sorriso amaro «Certamente. Per adesso, però, resta fermo qui e non muoverti troppo. Tra poco tornerò con qualcosa da mettere sotto i denti»
«Va bene» rispose lui con diffidenza, tornando ad avvolgersi con la coperta. Rebecca e Isaia uscirono insieme dalla camera e scesero silenziosamente le scale a chiocciola della torre.

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