XXVIII

16 4 5
                                    

Isaia si assopì poco tempo dopo, cadendo nuovamente in un dormiveglia allucinato. Percepiva la salsedine sui denti e il formicolio del braccio che gli doleva, ma il suo corpo non sentiva null'altro. Non era né cosciente, né addormentato; stava in una sorta di via di mezzo che lo manteneva vigile e gli affaticava la mente. Almeno la presenza di Timoteo di fianco a lui lo confortava. Nonostante si sentisse ancora in colpa per quello che gli aveva fatto passare, infatti, era comunque lieto che tutti e due fossero sopravvissuti all'agguato di Rocca Scarlatta. Vedere il bambino gli provocava simultaneamente un senso di angoscia per i danni che finora gli aveva arrecato e un sollievo indescrivibile. Quello strano eco di pace non aveva nessun senso, ma ora che Isaia si era rassegnato alla morte ogni emozione era la benvenuta nel suo cuore. Qualunque cosa pur di non perdere contatto con la realtà e godersi gli ultimi momenti di esistenza prima di passare da un inferno all'altro.
Con gli occhi socchiusi, Isaia osservò il paesaggio monotono della laguna che scorreva in senso opposto a dove avrebbero dovuto dirigersi. Intorno a lui c'erano nuvole grigie a perdita d'occhio, come se anche il cielo fosse in lutto per la perdita che stava per avvenire. Forse non avrebbero pianto per lui, con quella pioggia sferzante e grossolana, ma avrebbero rivolto il loro dolore a Timoteo. Quando le nubi iniziarono a tuonare sempre più forte, Jawed accelerò il ritmo. Remava in modo irregolare e frenetico, la fronte imperlata di sudore e la faccia contorta in un'espressione stravolta. Isaia gli lanciò un'altra occhiataccia. Pensò che remando in maniera così rozza stava solo disturbando le acque sacre della laguna. Forse non si erano mossi di un palmo da quando avevano fatto l'inversione, giudicati indegni dalla rosa dei santi che governavano il lido. Le onde intorno a loro si fecero più feroci e la tempesta iniziò a incalzare sempre di più. Il mare era particolarmente mosso, impedendo al persecutore di cadere in un vero e proprio sonno, ma presto Isaia si addormentò lo stesso. Era troppo sfinito per continuare a lottare, e fece uno strano sogno.
Si trovava in un gigantesco deserto, completamente circondato da sabbia in tutte le direzioni. La sabbia era biancastra e le dune fluivano seguendo un moto ondoso tutt'intorno a lui. Era come se il deserto stesse respirando, contraendosi e distendendosi secondo i ritmi di un gigantesco organismo. Isaia non sapeva se aveva ancora l'armatura addosso, né percepiva il contatto dei piedi con la sabbia, ma vide che stava camminando. Non sapeva com'era possibile camminare con le dune che mutavano gonfiandosi e stendendosi sotto i suoi piedi, eppure la logica dei sogni gli permetteva di andare avanti. Il sole era così forte che Isaia dovette schermarsi gli occhi. Sembrava che il deserto si stesse rivoltando torturato dalla luce diurna, ribollendo sotto i suoi piedi, e Isaia sentì un forte fastidio alle tempie. Odiava quella luce, aveva bisogno di ombra. Si guardò intorno e corrugò la fronte non appena vide le rovine di una gigantesca cattedrale in lontananza. Era quasi indistinguibile, coperta dal moto delle dune e sfrigolante come un miraggio, ma il persecutore si diresse comunque lì. Da lontano riusciva a vedere le colonne incrostate della spuma del tempo, come disgregate da un nido di termiti della pietra, e le volte a botte come costole fratturate che cadevano a pezzi. Era una davvero una costruzione enorme. Man mano che Isaia camminava, le rovine si fecero sempre più vicine ed egli riuscì a distinguere delle figure umane in piedi di fronte all'edificio. Erano chine in avanti, vestite di abiti bianchi e immerse in un silenzio contemplativo. Il persecutore aggrottò la fronte, incuriosito, e accelerò il passo.
Presto giunse presso la cattedrale e poté riposarsi all'ombra dei pilastri erosi dal tempo. Le ombre tutte intorno a lui erano completamente nere, senza la minima trasparenza, e si stagliavano in modo nauseante sul biancore accecante del deserto. Isaia non riusciva a comprendere il significato di quel luogo e voleva andarsene subito, ma le sue movenze erano come guidate da un'inarrestabile forza subconscia. Irritato dalla confusione che provava, Isaia si voltò e fissò le figure in piedi a pochi passi da lui. Erano tutte donne vestite di bianco e singhiozzavano sommessamente mentre, disposte in cerchio, fissavano qualcosa sul terreno con sguardo malinconico. Con delicatezza, Isaia si avvicinò a loro e le scostò per vedere cosa stessero guardando. Erano dei pezzi di metallo arrugginiti e ricoperti di sabbia, e il persecutore aguzzò la vista. C'era qualcosa di familiare in quei pezzi di metallo, ma non riusciva a capire cosa. Per un attimo gli parve di distinguere i gambali della sua corazza in mezzo all'ammasso di ferraglia, ma un attimo dopo i lineamenti del metallo si fusero e sciolsero come spire di serpente per assumere nuove forme incomprensibili. Era impossibile afferrare con la mente la forma di qualunque cosa scintillasse lì sulla sabbia, che mutava man mano che Isaia la fissava pur restando sempre la stessa, e il persecutore si sentì perduto.
«È tutto ciò che rimane» disse una voce femminile, facendolo sobbalzare. Isaia si voltò verso la donna incappucciata che aveva parlato e sgranò gli occhi. Era Rebecca, in piedi con le mani giunte e il volto avvilito. La donna rivolse uno sguardo indecifrabile al persecutore, il viso quasi completamente nascosto dalla penombra, poi sospirò.
«A che scopo versare lacrime in un deserto, dove nulla può fiorire? A che scopo crescere un avvoltoio che poi si sazierà delle tue carni?» disse con tono solenne.
Isaia corrugò la fronte, non capendo a cosa la donna si stesse riferendo. Rebecca allora alzò lo sguardo al cielo e indicò qualcosa. Undici avvoltoi stavano volando in cerchio sopra di loro, senza emettere starnazzi o fare rumore con le ali, e accanto a loro un singolo corvo appollaiato sulle rovine stava fisando il persecutore con occhi vispi. Isaia non capiva. Continuò a fissare la sagoma dei volatili che roteavano intorno a loro, quasi ipnotizzato dal loro battito d'ali perfettamente sincronizzato, finché questi non iniziarono a planare verso il basso. Le donne vestite di bianco fecero qualche passo indietro per lasciare che gli avvoltoi atterrassero vicino al mucchio di metallo. L'atmosfera era solenne, eppure infinitamente arida e soffocante. Isaia sentiva il malessere lievitare dentro di lui ogni secondo che passava, come se si trovasse in quel deserto da giorni. Fece per boccheggiare, ma non sapeva se stava respirando. Nel frattempo, gli avvoltoi atterrarono silenziosi sulla sabbia e si disposero in cerchio intorno alla massa metallica. Isaia li fissò confuso e, quando spostò lo sguardo verso il basso, sgranò gli occhi dalla sorpresa. Il metallo si stava lentamente fondendo sotto il sole, afflosciandosi su se stesso senza tuttavia sembrare rovente. Ben presto, il ferro si sciolse in una sorta di panetto informe e cambiò completamente consistenza. Il suo scintillio metallico svanì nel nulla e la ruggine si riassorbì e mutò fino ad assumere un colore pallido e stranamente organico. Gli avvoltoi osservarono il miracolo senza fiatare. Poi, una volta che il metallo si fu completamente trasformato in carne, vi si avventarono contro. Strapparono e lacerarono la massa senza pietà, inondando la sabbia di sangue rosso vivo, e i loro becchi dilaniarono i muscoli che si erano formati dall'acciaio con incredibile voracità.
«È uno spettacolo macabro» disse Rebecca, completamente assorta nel fissare i volatili banchettare «ma è necessario. Alcuni eventi che si svolgono una volta sola sono epocali, poiché tutto è ciclico. La sabbia tornerà roccia dopo infinite vite di uomini. La carne e le ossa torneranno a essere grumi di terra. Ma l'anima è immutabile»
Le parole delle donna giunsero sfocate alle orecchie di Isaia, rapito dalla vista del sangue che sgorgava dal cumulo di carne straziata. Con ogni morso, era come se gli avvoltoi stessero lacerando qualcosa di invisibile dentro di lui. Una fitta di dolore improvviso al braccio quasi riportò Isaia alla realtà, ma non prima che il corvo appollaiato sulla cattedrale gracchiasse e spiccasse il volo. Il corvo planò verso Rebecca e le atterrò sulla spalla, poi entrambi fissarono Isaia dritto negli occhi.
«Ci dispiace, Isaia» disse Rebecca, mentre il suo viso si dissolveva come polvere nell'acqua, «ci dispiace davvero...»

Venezia PenitenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora