XXXIII

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Quando Isaia arrivò al molo, una delle suore dell'Ospitale giunse ad accoglierli. Portava una tonaca color bianco sbiadito, un soggolo verde che le lasciava scoperto solo gli occhi e un cappuccio con intelaiatura di legno. Non sembrava sorpresa dalla vista di un persecutore e gli fece cenno di ormeggiare la barca accanto alle altre. Isaia accostò faticosamente l'imbarcazione al molo e le lanciò le cime d'ormeggio, che lei prontamente assicurò al molo con le mani callose.
«Benvenuti al Sacro Ospitale» disse, annodando le corde «che i Santi Cosma e Damiano, nostri amorevoli patroni, possano benedire le vostre intenzioni e augurarvi una sana guarigione in questo umile edificio. Che la Vergine Maria possa vegliare sulle vostre ferite e purificarle col santissimo sguardo che preghiamo rivolga al nostro Ospitale sotto la sconfinata misericordia dell'Onnipotente. Amen»
Isaia chinò profondamente il capo di fronte alla suora e Timoteo lo imitò in silenzio. La suora rialzò lo sguardo e salutò i due compagni con un inchino, poi li fissò con un'espressione indecifrabile. Le pieghe della sua tonaca ondeggiavano sotto il forte vento e i cristalli di acqua salina luccicavano sul tessuto come gemme.
«Siete qui per il braccio? Una frattura all'omero?» domandò, indicando lo scialle intorno al collo di Isaia. Sembrava sorpresa che il persecutore fosse riuscito a remare fin lì con un braccio solo, sfidando la tempesta. Isaia scosse la testa e la suora inarcò le sopracciglia, confusa.
«E per cosa siete qui, allora?»
I due compagni restarono in silenzio, dondolandosi sulle gambe per mantenere l'equilibrio sulla barca che beccheggiava. La suora li fissò senza parlare, intimidita dalle loro espressioni, e un lungo silenzio trascorse finché Timoteo non trovò il coraggio di rispondere.
«Siamo qui per mia madre» mormorò, la voce come un ronzio. La suora sembrò ancora più disorientata da quella risposta e spostò gli occhi su Isaia per cercare una conferma a quelle parole. Il persecutore chinò il capo in segno affermativo. Lei mugugnò.
«Vi porto dalla madre superiora. Lei saprà che fare» disse, senza nascondere un lieve turbamento nella voce «potete lasciare qui i vostri averi. Sono ben custoditi. Ora seguitemi»
Isaia prese inchiostro e pergamena dal fagotto e li poggiò sul molo, poi scese dalla barca con l'aiuto della suora. Timoteo li seguì strascicando i piedi. Fece a tempo di rivolgere un ultimo sguardo alla barca prima di incamminarsi insieme ai compagni verso il sentiero che conduceva all'Ospitale. I tre individui percorsero il molo fino in fondo, salirono una scalinata di pietra calcarea e imboccarono la strada di ciottoli verso l'ingresso dell'edificio. Anche da lì era possibile sentire i gemiti degli ammalati e i passi delle suore che trafficavano con unguenti e fasciature. Inoltre, nell'aria echeggiava il flebile canto di una voce femminile. Era un dolcissimo miserere corroso dalla pioggia ed elevato dal vento, forse proveniente dalle suore in preghiera nella cappella centrale, ed era bellissimo. Isaia osservò l'erba che circondava il sentiero e l'intonaco scrostato dei muri dell'Ospitale. Nonostante i lamenti dei malati e la pioggia incessante, quel luogo gli sembrava l'Eden stesso. La purezza del bianco di quelle pareti era così diversa dal grigiore della città e dal bianco soffocante del deserto che aveva sognato. Non c'era da stupirsi se la madre di Timoteo aveva deciso di consacrarsi eternamente all'Ospitale.
La suora guidò i due compagni attraverso il giardino di cipressi fin dentro la sala d'ingresso. Alcune suore trasalirono alla vista del persecutore; altre lo ignorarono, troppo impegnate a trasportare erbe curative e lenzuola sporche di sangue per tutta la struttura. Timoteo indagò i loro sguardi mentre camminava. Ognuna di loro poteva essere sua madre, ma era difficile cercare di capirlo solo dagli occhi. C'era un gran traffico nell'Ospitale, eppure i passi delle sorelle erano silenziosi e i loro volti affannati parevano visi d'angelo agli occhi del bambino. La suora scortò i due compagni attraverso dei corridoi che profumavano di disinfettante e li condusse lungo il chiostro centrale della struttura. Isaia osservò l'albero che si stagliava al centro di esso. Era una betulla alta e rigogliosa, con i rami flosci per la pioggia e la corteggia pallida come le mura tutt'intorno. Se lo ricordava bene: era l'albero sacro dell'Ospitale. Si diceva che proteggesse l'Isola delle Rose dagli attacchi di malintenzionati e fosse la fonte di alcune guarigioni miracolose. Il persecutore ammirò le fronde che sfioravano il tetto del chiostro e i cespugli di rose lì accanto, poi si voltò quando la suora girò a destra.
«Di qua» disse, conducendo i due compagni su per una scalinata di marmo. Percorsero una serie di corridoi che attraversavano gli alloggi delle suore, costeggiando il vero e proprio convento, fino a giungere di fronte a una porta di legno. Dopodiché, la suora bussò con forza.
«Disturbo, madre?» domandò.
«No, sorella» rispose un'anziana voce femminile.
«C'è una visita inaspettata. Un bambino che sostiene di cercare sua madre. Ho pensato fosse saggio portarlo da voi»
«Fallo pure entrare»
La suora aprì il portone di legno e fece cenno a Isaia e Timoteo di entrare.
«Buona fortuna. Che Dio vi benedica» mormorò a bassa voce, chinando il capo per congedarsi, poi se ne andò chiudendo la porta dietro di loro. Isaia si guardò intorno. Lo studio della madre superiora era piuttosto spoglio, con le pareti coperte solo da qualche icona alla Madonna e un inginocchiatoio domestico per la meditazione. Sopra la scrivania erano disposti vari registri ammuffiti e la stanza era illuminata da una singola finestra protetta da inferriate. La madre superiora scrisse qualcosa su delle carte, poi si tolse gli occhiali e squadrò i due individui con aria severa. Timoteo si morse le labbra, intimorito dalla sua espressione crucciata.
«Era da molto che un persecutore non veniva a trovarci» disse la suora, scrutando Isaia con le pupille sbiadite dalla vecchiaia «quella è una frattura?»
Isaia scosse la testa e scribacchiò qualcosa sulla pergamena. La donna lo osservò con la fronte corrugata. Il rumore della pioggia era ovattato dalle pareti, lasciando spazio a un silenzio contemplativo, come se il tempo scorresse più lentamente fra le mura dell'Ospitale.
Uno strappo, scrisse Isaia, faticando a usare la pergamena con un braccio solo.
«Uno strappo? Come immaginavo. Quella fasciatura è piuttosto dozzinale e non sarà un problema darvi qualcosa di più dignitoso, anche se negli ultimi giorni l'Ospitale è completamente pieno» la suora dovette sporgersi in avanti per leggere le parole di Isaia «non so come abbiate remato fin qui ma è stata una saggia scelta. Potrete riposare al riparo da questa tempesta che non ci lascia pace. Perdonatemi se continuerò a scrivere mentre parliamo, ma siamo pieni di pazienti ultimamente. Non ho mai visto così tanti feriti e rifugiati. Ad ogni modo – la donna si voltò verso Timoteo – sorella Iva ha detto che siete qui per trovare tua madre. Quanti anni hai, signorino?»
Timoteo sussultò quando lo sguardo severo della suora si posò su di lui. Si guardò le punte delle scarpe come di consueto e attese qualche secondo prima di rispondere.
«Non lo so»
«Capisco» la suora non sembrò sorpresa dalla risposta «e dimmi, tua madre è ricoverata qui?»
«No... non è una paziente. È un'infermiera» mormorò Timoteo.
«Un'infermiera?» il volto della donna sembrò accigliarsi a quelle parole, come se il bambino avesse appena formulato un'accusa «Siete sicuro di ciò che state dicendo?»
«Ne sono certo»
«Le sorelle dell'Ordine Ospitaliero di San Cosma sono vincolate da un giuramento di castità a vita. Giurano solennemente di fronte a Dio. Rompere un voto così sacro sarebbe peggio di un peccato mortale» continuò la suora, copiando qualcosa da un foglietto a un registro «nessuna sorella qui dentro si permetterebbe di infrangerlo. Siete sicuro di non esservi sbagliato?»
«Vi ho già detto che ne sono sicuro» rispose il bambino, stavolta con più decisione. La suora smise bruscamente di scrivere e alzò lo sguardo verso Timoteo. La sua espressione si fece più severa.
«Signorino, quella che state dicendo è una cosa molto seria» disse, chinandosi in avanti «e i nostri regolamenti sono molto rigidi su peccati del genere. Che io sappia, nessuna suora è mai stata trovata incinta negli ultimi quindici anni, altrimenti me ne ricorderei. Credo proprio che tu stia cercando nel posto sbagliato. Ad ogni modo, anche se fosse vero, non posso permettervi di interrogare le nostre infermiere senza qualche prova. Come ho detto, l'Ospitale sta vivendo un momento difficile e le infermiere si stanno facendo in quattro per curare i pellegrini. Io non vi conosco e non vi permetterò di seminare zizzania tra le mie sorelle senza alcuna certezza per le mani»
Timoteo tirò su col naso, turbato dall'improvvisa austerità della suora, e guardò verso il compagno per invitarlo a rispondere. Isaia sospirò. Era comprensibile che la madre superiora non li avrebbe aiutati senza prove. Maledisse la sua stupidità per aver lasciato la lettera di Giacomo Timordomini a Rocca Scarlatta e scribacchiò un veloce messaggio sulla pergamena.
Avevamo una prova. Una lettera del padre. L'hanno presa gli Osteòfili, scrisse Isaia.
«In questo caso...» disse la suora, ma il persecutore non aveva ancora finito di scrivere.
Tuttavia, sappiamo che la madre ha una voglia sul collo identica a quella del bambino. Sarà una prova sufficiente a dimostrare la parentela una volta che l'avremo trovata
La donna sembrò rileggere il messaggio più volte. La sua espressione si fece sempre più turbata man mano che le sue labbra scandivano silenziosamente le parole, e Isaia e Timoteo aspettarono con pazienza mentre lei rifletteva in silenzio.
«Purtroppo questo non è abbastanza per interrompere il lavoro delle infermiere. E non potete di certo denudare il collo di tutte le sorelle dell'Ospitale. Sono donne molto pudiche e riservate. Mi dispiace» rispose infine la donna.
Isaia sospirò profondamente. La testardaggine di quella suora, troppo impegnata a scrivere nomi nei registri per curarsi dei due compagni, stava iniziando a innervosirlo. Non aveva attraversato la laguna e rischiato la vita infinite volte per poi accettare un "no" come risposta. Con gelida calma, il persecutore si avvicinò a Timoteo e gli fece cenno di girarsi dall'altra parte. Dopodiché, scostò l'orlo dell'impermeabile per esporre la voglia di fronte alla suora. La donna alzò lo sguardo dalle carte e strabuzzò gli occhi. Esaminò malvolentieri il tessuto rossastro a forma di pesce, il volto impassibile. Dopo qualche secondo, a Isaia parve di scorgere un guizzo di paura nei suoi occhi.
«Mi dispiace davvero, ma non posso aiutarvi» disse, scuotendo nervosamente la testa «l'unico aiuto che posso darvi è un bendaggio migliore per quello strappo muscolare»
Isaia era certo che la sua voce fosse più tremolante di prima, come se la sua gola si fosse improvvisamente cristallizzata dall'angoscia. Stava mentendo. Quella donna aveva già visto la voglia in una delle sorelle dell'Ospitale; il persecutore poteva fiutarlo nei suoi movimenti rigidi e irrequieti. Si sporse in avanti e fissò la suora dritto negli occhi, assicurandosi che lei potesse vedere le sue pupille dietro i buchi della maschera, poi prese in mano la pergamena e continuò a scrivere.
Dire falsa testimonianza a un bambino innocente è un peccato molto grave
«Sarebbe di gran lunga più grave permettervi di rovinare la vita di una delle mie sorelle senza motivo» rispose lei. Il suo viso era molto severo, ma faticava a sostenere lo sguardo del persecutore. La vista delle fiamme dell'Inferno che brillavano nei suoi occhi la stava mettendo visibilmente a disagio.
«Non volete dircelo?» intervenne Timoteo. Anche lui si era accorto dell'insicurezza che aveva invaso la suora e le rivolse uno sguardo minaccioso.
Abbiamo viaggiato per tre giorni e molte persone hanno dato la vita per questa traversata, scrisse Isaia. La sua penna solcava la pergamena in modo solenne, scolpendo ogni parola come se stesse incidendo le Tavole della Legge. Il persecutore era impassibile, rigido come un automa mentre scriveva eppure ardente di sensazioni mai provate che trasudavano come inchiostro sulla carta. Tutte le peripezie del viaggio e i dolori di Timoteo non sarebbero andati in fumo di fronte alla testardaggine di una vecchia suora. Isaia non lo avrebbe permesso.
Questo bambino non ha più nulla al mondo se non sua madre. Non potete immaginare cosa abbiamo dovuto affrontare durante la traversata e quanto sangue è stato versato in attesa di questo momento. Voi avete già visto quella voglia. Ve lo vedo negli occhi. Se negherete al bambino di vedere sua madre dopo il dolore che ha dovuto sopportare, siete più degna dell'Inferno di me. I Sacerdoti di Adonagasta malediranno il vostro nome ogni notte e, quando vi troverete di fronte a Dio, vi chiederà perché avete abbandonato uno dei suoi figli nell'oblio. Ignorate me, poiché il mio destino è già segnato, e fatelo per il bambino. Egli è puro e ha vissuto nel dolore per tutta la vita, in attesa di quest'ora. Se credete di potermi fermare, vi sbagliate. Io ho già perso tutto quello che potevo perdere. E voi?
Isaia avrebbe voluto continuare, ma lo spazio della pergamena era finito. La sua grafia si era fatta contorta e spigolosa come una matassa di rovi sanguinanti inchiostro. La suora lesse ogni parola con le labbra che tremavano. Le guance le si afflosciarono, piegate dall'angoscia che lievitava dentro di lei, e il timore si trasformò presto in terrore. Alzò lo sguardo per fissare il persecutore, esterrefatta. Gli occhi di Isaia non mentivano; quelle parole non erano una minaccia, ma una promessa. Anche col braccio ferito, la sua armatura proiettava nella stanza un'ombra demoniaca e inevitabile. Timoteo spostò lo sguardo dal persecutore alla suora, impaziente della risposta finale che avrebbe coronato il viaggio. Gli occhi gli si stavano inumidendo nonostante il suo viso fosse ancora di pietra e i pugni gli si erano stretti per la tensione. Un lungo e travagliato silenzio trascorse prima che la suora trovasse il coraggio di rispondere.
«Il suo nome è Suor Elide» sospirò profondamente, sconfitta «e come avete detto, ha una voglia sul collo identica a quella. Alcune sorelle, me compresa, hanno collaborato per nascondere la sua gravidanza una dozzina di anni fa. Non ero presente il giorno in cui ha partorito, ma il bambino è stato portato via immediatamente, senza permettergli di svegliare le altre sorelle con i suoi vagiti. Me lo ricordo bene»
Timoteo drizzò le orecchie, improvvisamente illuminato. I suoi occhi velati di malinconia scintillarono nella penombra.
«Vi prego di non farle del male. Anche lei ha dovuto attraversare dolori che non potete immaginare. Ha trovato la pace in questo posto dopo mille tribolazioni. La strapperete dalle mani del Signore» continuò la suora. Un singulto di dolore le ballonzolò nella gola.
«Che Dio possa perdonarmi. Lei non si merita questo. Vi scongiuro, tornate alla vostra barca e dimenticatela. O questa tempesta non avrà mai fine»
«Dove possiamo trovarla?» domandò Timoteo, ignorando le suppliche. La suora aprì timidamente la bocca e titubò per qualche istante prima di rispondere.
«Nella cappella centrale. È in adorazione, per penitenza»
Un lungo silenzio seguì. Le campane dell'Ospitale echeggiarono nella pioggia, scandendo l'arrivo del tramonto. Timoteo sospirò profondamente.
«Mille grazie. Che Dio vi benedica» mormorò.
I due compagni chinarono lievemente il capo, poi si voltarono e uscirono dalla stanza. Il sole stava tramontando e le suore avevano acceso dei lumi nei corridoi per illuminarli. Isaia udì la Madre Superiora accasciarsi sull'inginocchiatoio dell'ufficio e implorare perdono a Dio per il tradimento. Non gl'importava di averla spaventata, ella era stata l'ultima di una serie di ostacoli che Isaia era destinato a superare. Il Signore non si sarebbe curato di lei.
Isaia prese Timoteo per mano e s'incamminò attraverso i corridoi dell'Ospitale. I due scesero le scale che portavano al piano terra, attraversarono il chiostro della betulla sacra e s'infilarono nella sala capitolare. Le indicazioni per la cappella erano scritte in latino sulle pareti. Scesero un'altra scalinata e imboccarono un corridoio illuminato da candelabri d'argento. Isaia sentì i canti delle suore farsi più forti man mano che si avvicinavano alla cappella. Stavano ancora cantando il miserere con voce dolcissima, accompagnate dai rintocchi solenni delle campane. L'aria profumava di preghiere e cera liturgica. Isaia e Timoteo svoltarono a destra e continuarono lungo il corridoio finché non giunsero di fronte a una porta semiaperta da cui trapelava molta luce. I canti ora erano davvero forti. Doveva essere la porta della cappella. Isaia si sedette su una panca di legno lì di fronte e Timoteo lo seguì timidamente.
Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae: et exsultabit lingua mea justitiam tuam...
I due ascoltarono la voce angelica in silenzio, assorti. I loro respiri erano sincronizzati e i loro occhi esplorarono i dipinti del corridoio senza incontrarsi mai. Nessuno dei due aveva fretta, ma entrambi erano scossi dalla trepidazione. Isaia ascoltò la pioggia che si faceva più sottile dietro di loro. Quel dolce scroscio li aveva accompagnati attraverso tutto il viaggio e ormai ci si era abituato. Il silenzio che avrebbe presto sostituito la tempesta sarebbe stato quasi alienante.
Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion: ut aedificentur muri Ierusalem
Timoteo non sapeva che pensare o che dire. Le braccia gli facevano male dopo aver remato così a lungo. Per tutti quei giorni non aveva fatto altro che cercare di immaginare il volto di sua madre, ma non c'era riuscito. Da quel momento in poi, Isaia non avrebbe potuto più aiutarlo. Uscire dalla crisalide in cui il persecutore lo aveva custodito finora sarebbe stato difficile, ma necessario. Il bambino cercò di scacciare quelle insicurezze perdendosi negli svolazzi musicali del canto liturgico. Chiuse gli occhi e respirò a fondo, il cuore che galoppava timoroso ma pacato. Si chiese come avrebbe fatto a dormire quella notte, tormentato dal silenzio clericale che lasciava prosperare i pensieri nell'animo. Non voleva saperlo. Sarebbe andata come Dio aveva predisposto.
Tunc acceptabis sacrificium justitiae, oblationes, et holocausta: tunc imponent super altare tuum vitulos
L'accordo di sol minore concluse il canto mentre il sole si assopiva dietro l'orizzonte. Le suore restarono in silenzio per qualche secondo, lasciando che l'eco delle parole si spegnesse dignitosamente, poi tutti si diressero verso l'uscita. Isaia e Timoteo osservarono la folla uscire dal portone e allontanarsi lungo il corridoio. C'erano prevalentemente suore, ma anche qualche malato in grado di camminare e persino dei Cacciatori di Reliquie con le ferite bendate. Gran parte della folla trasalì alla vista del persecutore. L'uomo corazzato aveva appena spezzato l'incantesimo religioso. Intimoriti, alcuni distolsero lo sguardo. Altri invece gli lanciarono occhiate minacciose.
«Suor Elide?» domandò Timoteo con voce flebile, esaminando i volti di ogni suora che metteva piede fuori dalla cappella.
«C'è Suor Elide?»
«Sorella Elide è ancora dentro. Fa' silenzio!» lo rimproverò una suora anziana. Timoteo ammutolì e si guardò le scarpe. Fece per chiamare il nome un'altra volta ma Isaia gli fece capire con un cenno che sua madre non sarebbe uscita da quella porta. I due aspettarono pazientemente che la folla si fosse completamente dissipata prima di alzarsi dalla panca. La tensione era al culmine. Timoteo fece capolino dalla fessura della porta e vide una singola donna in ginocchio di fronte all'altare. Era girata di spalle, ma al bambino sembrò di rivedere una presenza familiare, quasi divina. Eccola. Finalmente gli occhi potevano posarsi su sua madre.

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now