IX

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Delle inconfondibili sagome umane erano comparse sulla scogliera e si stagliavano contro la luce lunare. Isaia si acquattò nell'erba e li esaminò. Ne contò cinque, tutte piuttosto minacciose e apparentemente armate, che parlottavano a bassa voce vicino all'orlo del precipizio. Le loro tuniche sgualcite e adornate d'ossa non lasciavano dubbi: era un gruppo di Cacciatori di Reliquie. Le sue peggiori paure si erano appena avverate.
Isaia si voltò silenziosamente e fece segno a Timoteo di tornare nella grotta sottostante. Il bambino lo osservò con gli occhi sgranati, troppo spaventato per comprendere il suo linguaggio corporeo, e il persecutore dovette afferrargli il braccio per riscuoterlo dalla paralisi con un singhiozzo.
«Devo tornare lì?» mormorò, la voce flebile e vibrante di terrore.
Isaia annuì e con un gesto brusco gli intimò di muoversi. Timoteo ubbidì subito, arretrando con le ginocchia e le mani pallide, poi scese furtivamente i gradini mentre il persecutore tornava a voltarsi verso i cinque individui. Isaia strinse l'elsa della spada e trasse un respiro profondo, assaporando l'aria metallica che ristagnava dentro l'elmo. Era da molto tempo che non combatteva con la spada, perciò avrebbe dovuto agire con cautela. Inoltre quei cinque non erano stupidi: probabilmente sapevano che il barcaiolo non era venuto da solo e presto avrebbero iniziato a cercarli. La finestra d'azione era minuscola, doveva agire ora o mai più.
Cercando di non fare rumore con l'armatura, Isaia sgusciò tra i pilastri crollati e si avvicinò di soppiatto al gruppo di uomini. Riusciva a sentire il loro chiacchiericcio e un lieve rumore di raschiamento. Forse stavano cercando di accendere il falò usando bastoncini e rametti secchi dopo aver accidentalmente spento la lanterna del barcaiolo. Volevano una luce maggiore per prepararsi all'attacco. Per Isaia però non avrebbe fatto molta differenza, in quanto la stretta visiera gli limitava la visuale in ogni caso. Era meglio attaccare subito per prenderli di sorpresa. Il persecutore continuò a camminare furtivamente, posando i piedi sulle chiazze d'erba sparse nel suolo di pietra finché non si trovò a pochi metri dal cacciatore più vicino. Ora riusciva a udire distintamente ciò che dicevano.
«Non so» bofonchiò uno di loro «è una barca veneziana vera, mi sembra ovvio. Se torniamo con quella ci arrestano subito»
«Almeno uno di voi avrebbe potuto levargli i vestiti prima di gettarlo giù, allora. Magari avremmo avuto una possibilità» ribatté con voce annoiata quello chino sul falò. Isaia trasalì quando udì un inaspettato trambusto metallico. Sgranando gli occhi, vide che stavano frugando nel suo fagotto.
«Ehi! Guardate questi!»
Avevano trovato le vettovaglie e gli oggetti che si era portato dietro. Non avrebbero tardato a trovare la lettera del vecchio Timordomini per poi cominciare a cercarli. Vedere quell'individuo rovistare nella sua sacca fece innervosire il persecutore, che dovette inspirare profondamente per mantenersi lucido. Era il momento di agire.
«C'è del cibo? Bisogna dividerlo equamente. Non azzardarti a mangiare un solo boccone!» gridò l'uomo più vicino a Isaia, poi si voltò di spalle per dirigersi verso il compagno.
Fu in quel momento che Isaia balzò fuori dal suo nascondiglio e prese la rincorsa caricandolo. L'individuo non fece tempo a voltarsi, allarmato dal clangore dell'armatura, che la lama di Isaia gli aveva trafitto il petto. Un acuto strillo di terrore si levò nell'aria mentre il sangue iniziava a erompere dalla ferita, imbrattando la tunica e le brache dell'uomo sotto lo sguardo terrorizzato dei quattro compagni. Isaia posò il piede sulla schiena dell'uomo e spinse per estrarre la spada, poi tornò in posizione di combattimento. Gli altri cacciatori sguainarono le proprie armi – asce e gladi con l'elsa foderata d'osso – e arretrarono fino a disporsi in semicerchio attorno al falò. Le loro mani tremavano, impreparate ad affrontare un persecutore in armatura completa, e le loro espressioni si fecero sconvolte.
Isaia mulinò la lama nell'aria, facendoli sussultare, poi si diresse verso il cacciatore più a destra con passo deciso. Egli arretrò, lanciando sguardi colmi di terrore ai compagni per chiedere aiuto, e il persecutore cambiò direzione fino a spingere lui e il resto del gruppo a metà del promontorio roccioso che si estendeva oltre la scogliera. Ora erano tutti di fronte a lui e non potevano attaccarlo alle spalle, esattamente come voleva. I cacciatori si guardarono l'un l'altro con occhi sgranati non appena realizzarono il loro svantaggio ambientale. Le loro nocche si strinsero con più foga intorno alle impugnature d'osso.
«Che facciamo?» sussurrò uno di loro agli altri, ma Isaia non aveva intenzione di concedergli tempo. Con una mossa brusca e inaspettata, si lanciò verso il centro della mischia in modo da separarli. Uno di loro affondò l'ascia che brandiva in direzione del persecutore ma, evidentemente per inesperienza, non controbilanciò il peso della lama. Isaia lo infilzò nella pancia e l'ascia lo colpì di piatto su una delle spalliere prima di cadere a terra insieme al suo proprietario. Spinti dallo spirito di sopravvivenza, gli altri tre lo attaccarono in contemporanea, lanciando grida di furia mentre affondavano le proprie lame.
Il persecutore si voltò appena in tempo per parare un colpo di gladio diretto all'ascella. La debole lama dello spadino si scheggiò subito, formando una piega sull'acciaio, e Isaia respinse indietro l'uomo per occuparsi dei due compagni. Uno di loro, armato di ascia corta, aveva iniziato ad aggirarlo nel tentativo di prenderlo da dietro. Il persecutore fece un finto affondo verso il cacciatore che aveva appena respinto, costringendolo ad arretrare di più, e subito dopo si voltò e caricò aggressivamente quello che stava cercando di aggirarlo. L'uomo se lo aspettava, fece qualche passo indietro nel tentativo di allontanarsi, ma Isaia inclinò il braccio e mulinò la spada due volte. Il cacciatore schivò il primo fendente facilmente, ma la scogliera gli impedì di arretrare ulteriormente e la lama di Isaia gli squarciò orizzontalmente la pancia all'altezza dell'ombelico.
«No!» strillò uno dei due rimasti, i capelli lunghi impiastrati di fronte agli occhi per il sudore. Con uno strillo disperato egli sollevò in aria la sua ascia, dopodiché la lanciò contro Isaia con tutta la forza possibile. Intuite le intenzioni dell'uomo dal modo in cui aveva sollevato l'arma, il persecutore si lanciò di lato e riuscì a schivarla per pochi centimetri. La sua testa sbatté in avanti all'interno dell'elmo e Isaia sentì il sapore ferrigno del sangue lambirgli le labbra. C'era mancato poco; aveva sentito l'arma sibilare vicino alle orecchie e conficcarsi a pochi metri di distanza. Il persecutore strinse i denti, lasciando che l'adrenalina gli permeasse ogni capillare del corpo e affinasse i suoi sensi da combattente. Erano rimasti solo in due, non poteva mollare adesso.
Il cacciatore che aveva lanciato l'ascia corse in soccorso del compagno mentre Isaia si rialzava in piedi. Strinse saldamente la spada e mosse qualche passo laterale verso il falò rimasto spento. Non voleva perdere la posizione sopraelevata e tenne d'occhio i due cacciatori rimasti, che barcollavano sulle gambe rachitiche con gli occhi iniettati di sangue. Ora che la sua vista si era abituata al buio, poteva vederli più chiaramente. Erano entrambi luridi e magrissimi, con le costole bene in vista sotto la pelle vischiosa, e le loro armi erano smussate e logore, come se le avessero utilizzate per tagliare la legna da diversi giorni. La loro peluria incolta e le unghie acuminate non lasciavano dubbi: dovevano essere rimasti segregati sull'isola da parecchie settimane. Non erano solo male addestrati in combattimento, ma anche denutriti ed esausti dal tempo trascorso senza acqua e cibo. Quella lotta non era alla pari. Isaia contrasse le braccia e afferrò la spada con entrambe le mani, pronto a lanciarsi nuovamente all'attacco. La vista del sangue che scintillava sull'erba era inebriante e riempì i due cacciatori di una furia selvaggia. Ormai il loro terrore era stato sostituito dal primale istinto di sopravvivenza e colui che aveva lanciato l'ascia mostrò i denti giallastri al persecutore.
Isaia affondò prima verso l'uomo armato di gladio, che si abbassò e deviò il colpo con la lama corta. Cercò di rispondere con un fendente, sfruttando la lentezza del persecutore nel riprendere posizione, ma la corazza assorbì il colpo. Isaia arretrò di qualche passo e tornò alla carica con più foga che mai, spingendo l'uomo pericolosamente vicino all'orlo del baratro. Quello riuscì a parare un colpo e Isaia stava per infliggergliene un altro quando il compagno disarmato si avventò sul suo braccio. Il persecutore lo colpì con l'elsa della spada, costringendolo a tornare indietro, poi caricò tutte le energie sulle braccia per infliggere il colpo letale al compagno. La debole forza con cui il cacciatore reggeva il gladio non poté fare nulla contro la furia del persecutore. La lama si conficcò ad altezza del collo, penetrando per diversi centimetri e squarciando la giugulare. Gli occhi dell'uomo divennero subito vitrei mentre il sangue sgorgava a fiotti, poi annaspò con le braccia prima di precipitare giù dalla scogliera. Isaia emise uno sbuffo di sollievo, dopodiché strinse la presa sulla spada e si voltò verso l'ultimo rimasto.

Il cacciatore disarmato osservò la carcassa svanire nei flutti della laguna con sguardo spiritato. Si voltò quindi verso il persecutore, gli occhi ricolmi d'odio, e si allontanò fino a raggiungere la fine del promontorio. Isaia rilassò i muscoli e con un gesto del braccio invitò il cacciatore a gettarsi. In quella posizione non c'era nulla da fare che potesse evitargli la sorte. Il cacciatore si spostò la lunga chioma di capelli ai lati e rimase in piedi a fissare Isaia, che strinse la presa sulla spada e si preparò a concludere il lavoro. Il messaggio era chiaro: nessuna pietà. Era l'ultima possibilità di gettarsi. Il cacciatore tuttavia non batté ciglio di fronte alla posa minacciosa dell'avversario, e continuò a guardarlo con una strana luce di sfida negli occhi. Infine si voltò, dandogli le spalle, e si sedette rannicchiato sulla roccia a pochi centimetri dall'orlo del precipizio. Con molta lentezza, si tolse la maglia di lino e la buttò di sotto. Isaia era perplesso. Non comprendeva i significati di quel gesto. Stava forse cercando disperatamente di suscitare pietà? O forse di confonderlo nella speranza di guadagnare tempo? Mosse qualche passo in avanti, pronto a sferrare il colpo definitivo, e solo allora poté vedere la schiena nuda dell'uomo alla luce della luna. Il persecutore non aveva mai visto tante cicatrici in una volta. Almeno un centinaio di segni di frustate gli solcavano la carne, alcune tanto profonde da sfiorare le vertebre, e l'uomo sfoggiò un sorriso di scherno quando vide il persecutore indugiare nei suoi passi. Isaia si fermò a osservare quella schiena martoriata, più curioso che disgustato, mentre gli effetti dell'adrenalina iniziavano a scemare lentamente. Qualche secondo di silenzio trascorse, interrotto solo dallo scroscio dell'acqua di mare e dal ronzio delle cicale. I due uomini, immobili sopra la scogliera e stancati dal combattimento, sembravano le dannate figure di un infernale dipinto religioso. Così come la pala di san Sebastiano, anche quell'immaginario quadro raffigurava un uomo indifeso che non aveva paura della morte. Nessun chiaroscuro poteva rendere onore al dolore cristallizzato in quelle cicatrici che emergevano nell'oscurità, e nessuna pennellata poteva descrivere quanto inamovibile e priva di compassione fosse l'immagine corazzata del persecutore. Le muse della fierezza maligna e dell'inesorabilità della morte si stavano sfidando in un muto duello sulla scogliera, l'una priva di qualsiasi paura di una lotta eterna, l'altra completamente distaccata dalla vanità della misericordia.
Isaia alzò lentamente la lama, poi aspettò ancora qualche secondo prima di colpire. Il fendente fu preciso, così come quelli che praticava quando torturava, e la testa si staccò di netto dal tronco prima di volare giù nel precipizio.

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now