XXIV

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La secchiata d'acqua gelida colpì in pieno il volto di Isaia, che si risvegliò annaspando affannosamente. Boccheggiò più volte e sbatté le palpebre nel tentativo di riprendere conoscenza. Che gli era successo? Non riusciva a focalizzare i pensieri. Si mise in fretta a quattro zampe per far uscire l'acqua che era rimasta nell'elmo, poi sgranò più volte gli occhi e cercò di mettere a fuoco ciò che aveva davanti. Era della sabbia. Isaia corrugò la fronte, confuso. Per quanto si sforzasse, non ricordava cos'era successo nelle ultime ore. Provò ad aguzzare la vista e sgombrare la mente, sperando di sbagliarsi, ma non c'era alcun dubbio. Si trovava su un suolo sabbioso e coperto di chiazze di qualche strano liquido scuro. Mentre la mente si rimetteva in moto, anche le sue orecchie incominciarono a riprendere il loro funzionamento e solo allora Isaia si accorse del baccano infernale che finora non lo aveva svegliato. Si alzò in piedi a fatica, i muscoli ancora intorpiditi dal sonno, e si guardò intorno barcollando. Un immenso panico lo colse non appena vide dove si trovava.
Il suo corpo svenuto era stato deposto sul suolo di una specie di enorme arena interna a Rocca Scarlatta. Lo spazio era circolare, dallo diametro di diciotto braccia circa, e il suolo era completamente ricoperto di sabbia. Intorno a lui, dozzine di spalti accerchiavano completamente il perimetro dell'arena, e sugli spalti era seduta l'intera comunità dei Discepoli di Viburnia. Isaia sgranò gli occhi. Ancora in preda all'ubriachezza, i cacciatori sputavano vino e tabacco verso di lui e lo incitavano con grida e insulti di ogni genere. Alcuni di loro dimenavano le mani e i piedi come indemoniati, completamente abbandonati all'euforia, altri invece gli mostravano i denti gialli coi visi contratti in smorfie grottesche. Il fracasso era tanto assordante che per un momento a Isaia parve di essere in un sogno. Provò a sbattere violentemente la testa dentro l'elmo e strinse i denti quando sentì il gelo del metallo contro la pelle. Non era un'allucinazione. Si trovava davvero in una sorta di colosseo costruito con pietra e lamiere di ferro. La quantità di uomini che lo circondavano accasciati sugli spalti era disarmante, ma egli distolse lo sguardo non appena l'adrenalina iniziò a scorrergli nelle vene.
Si guardò intorno fulmineo, cercando chiunque lo avesse svegliato con la secchiata d'acqua, e notò che un altro corpo giaceva disteso sulla rena. Era Jawed, riverso su un fianco. A giudicare dai suoi capelli fradici, anche lui era stato svegliato allo stesso modo. Il cartografo si asciugò il viso con la manica e si rialzò a fatica. I suoi occhi si fecero improvvisamente sbarrati non appena vide in che luogo si trovava e Isaia continuò a scrutare l'arena in cerca del cacciatore che li aveva svegliati. Riuscì a scorgerlo poco distante, dietro una grata di ferro che si stava chiudendo, e imprecò tra sé e sé. Il cacciatore sembrò sogghignare divertito, poi piantò uno sguardo di scherno in faccia a Isaia e puntò qualcosa sulla sabbia. Il persecutore si voltò verso la direzione indicata. C'era qualcosa di lucente poggiato al suolo. Era la sua spada.
Improvvisamente la verità lo investì con violenza inaudita. Oreb. Era stato il vino a farlo cadere in quel sonno profondo. "Insiste molto affinché lo assaggiate" aveva detto il servo. Quel maledetto servo a cui Isaia voleva staccare la testa a mani nude. Avrebbe dovuto capirlo che il vino era stato avvelenato. Se solo non fosse stato così confuso per colpa del banchetto... Isaia non riusciva a crederci. Oreb lo aveva davvero ingannato con la sua parlantina e la sua velenosa affettuosità. Ogni traccia della letizia rimasta nel cuore di Isaia avvizzì e si contorse in una matassa di rovi acuminati mentre Jawed si rialzava con la bocca spalancata e gli occhi intrisi di terrore.
«Il vino...» scandirono le sue labbra rinsecchite. Le gambe gli tremavano incontrollabilmente e il terrore iniziò a consumarlo man mano che i peggiori pensieri emergevano dalla sua mente. Isaia ignorò l'angoscia e si concentrò sull'odio, lasciandosi travolgere completamente. La ragione svanì dal persecutore come una pozzanghera evaporata sotto il sole del rancore più profondo e il suo cuore maledisse il nome di Oreb migliaia di volte in una frazione di secondo. Strinse la spada con una forza che non ricordava di possedere, le mani come tenaglie d'acciaio, e scrutò la folla attorno a lui in cerca del fratello. Lo spettacolo dei cacciatori che inveivano assatanati contro di lui era ripugnante, ma Isaia era deciso a fargliela pagare. Da anni non provava un odio così viscerale, tanto si era abituato alla grigia vita cittadina, e ora anche la razionalità di cui andava fiero lo aveva abbandonato. Anche Jawed si guardò intorno, confuso e spaventato, e cercò di muovere qualche passo in avanti con le gambe che a malapena lo reggevano in piedi. I cacciatori emisero un boato euforico quando videro i due uomini completamente svegli. Sarpedonte si trascinò sul trono d'osso che era stato allestito per lui e sgranò gli occhi con un sorriso agghiacciante dipinto in faccia.
«Discepoli!» strillò «Siamo giunti al cuore della festa! Che la pace eterna di Viburnia sia sancita da questo combattimento di sangue! Fratelli!»
I cacciatori attorno a lui esultarono con acido entusiasmo, martoriati dalla droga e dai postumi del banchetto, e continuarono a parlargli sopra mantenendo gli occhi fissi sull'arena.
«Fratelli» boccheggiò Sarpedonte, gli occhi sempre più affossati nella faccia paonazza «fratelli... gioite con me... Gioite con me! Per Viburnia!»
«No! No!» strillò Jawed.
«La Santissima ci ha onorato mediante il suo miracolo di due agnelli sacrificali! E noi celebreremo la sua pace con un combattimento nello stile dei nostri antenati! Oggi abbiamo un persecutore tra noi. Un uomo senz'anima che ha rinnegato Dio commettendo peccati per tutta la vita; l'unico uomo creato a immagine e somiglianza del diavolo! Questo individuo di fronte a voi guadagna molto denaro torturando e uccidendo innocenti, noncurante del fuoco che l'aspetta nelle profondità dell'Averno quando la sua ignobile esistenza avrà fine. E oggi, fratelli miei, ammirerete l'anima più nera che abbiate vista precipitare laddove giustizia divina gli spetta! Esultate, fratelli, di fronte alla magnificenza della vera epurazione! O'shagraa!»
«No!» continuò a protestare Jawed. Si voltò verso Isaia con un'espressione stravolta dal terrore e la sua gola ballonzolò su e giù mentre cercava di articolare delle parole. La folla intorno a loro era stregata dal giubilo e dall'etere, intenta a sgolarsi in grida sempre più rauche che fecero infuriare il persecutore. Noncurante di tutto, egli continuò a scrutare la folla in cerca di Oreb, ma non c'era traccia di lui. Non aveva nemmeno il coraggio di assistere al proprio fratricidio, quel verme. I pensieri di Isaia andarono a Timoteo. Forse il bambino era già morto, completamente indifeso di fronte alla crudeltà della setta, e la furia riempì il persecutore come fuoco. Mentre Jawed si trascinava sgomento per l'arena, le guance rigate da lacrime di terrore, Isaia si preparò al combattimento senza la minima paura negli occhi. Ogni parte di lui era tanto invasa dall'ira che egli avrebbe potuto frantumare il cranio di un uomo a mani nude. E una volta fuori dell'arena, nulla gli avrebbe impedito di sterminare i discepoli uno dopo l'altro gustandone ogni goccia di sangue. Se Timoteo era morto, non avrebbe avuto pietà per nessuno.
Sarpedonte allargò il ghigno quando vide il persecutore in posa da combattimento. Anche dagli spalti era evidente che l'uomo sotto la corazza era sopraffatto dalla furia. I cacciatori esultarono con voce sempre più alta, acclamando a gran voce i loro inni sanguinolenti mentre il sacerdote cercava di farsi sentire sopra il fracasso.
«Fratelli!» annunciò, alzando il braccio con la faccia tra il deviato e il solenne. Puntò gli occhi di giada su Isaia e Jawed, trionfante nel suo trono come una divinità pronta a ricevere il sacrificio. La trepidazione era alle stelle tra i discepoli.
«Che il duello abbia inizio!»
La folla ululò di gioia, esplodendo in un pandemonio di grida ed esclamazioni. Jawed sbiancò completamente quando le grate d'acciaio tutt'intorno all'arena incominciarono ad aprirsi. Si voltò di nuovo verso il persecutore e lo raggiunse in fretta, le labbra che gli tremavano così violentemente da farlo sembrare epilettico.
«No, no...» continuò a ripetere, troppo sconvolto per dire altro, mentre i cancelli si sollevavano uno dopo l'altro in mezzo al frastuono della folla.
Isaia fece un respiro profondo, assorbendo rabbia e adrenalina finché non fu perfettamente lucido. I sensi gli si moltiplicarono e un solo pensiero gli apparve chiaro nel cervello: era una macchina di morte.
Non appena i cancelli si furono alzati, qualcosa sembrò emergere dalla penombra. Isaia digrignò i denti e aguzzò la vista. Da ogni galleria uscirono tre gladiatori con maschere d'osso e armatura di pelle, facendo gemere Jawed. I cacciatori si diressero verso di loro con passo deciso, i gladi ben stretti nelle loro mani coperte di cicatrici, e iniziarono ad accerchiarli. Isaia girò su se stesso e si guardò intorno. Erano nove in tutto, ben addestrati e pronti alla morte in combattimento. Non erano come i cinque disgraziati dell'Isola di San Sebastiano, malnutriti e disperati. Questi sarebbero stati difficili da sconfiggere.
«Coraggio!» strillò Sarpedonte, ridendo dall'alto degli spalti. Il naso aveva iniziato a sanguinargli dopo tutto il Malephar inalato, ma egli non sembrava curarsene. Anzi, la vista del liquido rosso inferocì ancora di più i Discepoli di Viburnia. I nove gladiatori si fermarono non appena Isaia e Jawed furono circondati e li guardarono in cagnesco. Forse stavano studiando i punti deboli dell'armatura del persecutore. Jawed si nascose dietro il compagno come fosse uno scudo, la faccia inondata di sudore, e incominciò a voltarsi costantemente indietro per guardargli le spalle. La folla voleva un combattimento lungo ed eccitante, perciò i gladiatori probabilmente non li avrebbero attaccati all'unisono, pensò Isaia. La tensione era altissima mentre i due schieramenti si osservavano in attesa che l'altro facesse la prima mossa.
Finalmente, dopo qualche istante di esitazione, uno dei cacciatori si scagliò in avanti con un grido di battaglia. Isaia si girò fulmineo in quella direzione e parò il colpo di gladio con la spada. Jawed si ritrasse ed emise un gridolino di terrore, ma subito tornò vicino al persecutore quando gli altri cacciatori allungarono le braccia verso di lui. Il cacciatore menò un altro fendente che Isaia parò roteando la spada nell'aria, dopodiché arretrò di qualche passo. L'uomo sapeva combattere, ma i suoi colpi erano smorti in confronto alla brutale furia che il persecutore ben presto avrebbe tirato fuori. Isaia fece qualche passo indietro per schivare una serie di colpi veloci e maldestri e Jawed emise uno strillo strozzato.
«Dietro di te!» gridò.
Il persecutore si voltò appena in tempo per parare il gladio di un altro cacciatore che aveva deciso di farsi avanti. Le due lame stridettero una contro l'altra, poi Isaia caricò sul braccio tutta la forza che possedeva e costrinse l'avversario ad arretrare per resistere. Il cacciatore sgranò gli occhi, esterrefatto dalla potenza del persecutore, ed emise un latrato disperato quando fu costretto a rompere la guardia. Un'ondata di dopamina si propagò nel corpo di Isaia quando la sua spada lacerò il torso dell'avversario, aprendo una ferita piuttosto profonda sul torace. Jawed arretrò inorridito dalla vista del sangue e Isaia finì il cacciatore con un rapido fendente al collo. La folla emise un delirante boato di gioia. La violenza si era finalmente palesata con quella prima esecuzione che ne anticipava altrettante ancora più succulente. I gladiatori si guardarono l'un l'altro, colti alla sprovvista dalla forza sovrumana dell'avversario. Il loro compagno non aveva avuto nessuna speranza, schiacciato come un insetto dalla pura ferocia dell'uomo corazzato.
Con un altro grido di battaglia, il cacciatore che per primo aveva attaccato tornò a scagliarsi su Isaia. Ma il suo gladio non poteva nulla contro la zweihänder del persecutore, che lo bloccò con facilità. Il cacciatore fu costretto ad arretrare, ma non riuscì a ripristinare la guardia in tempo quando Isaia vibrò un colpo diretto alla testa. La spada gli lacerò la carotide e i tendini appena sotto l'orecchio e il cacciatore e cadde riverso a terra con la testa staccata per metà dal collo pulsante. Soddisfatto, Isaia agitò la spada nell'aria per sgocciolare il sangue e si voltò, pronto ad affrontare il prossimo avversario. I gladiatori rimasti si scambiarono sguardi sempre più preoccupati mentre la folla incalzava con nuove esclamazioni di gioia.
«Oh, ker. Oh, ker!» balbettò Jawed, gli occhi fissi sul sangue che sgorgava dal collo del cacciatore. Fissò le grate ancora aperte da cui erano usciti i gladiatori, forse sperando in una possibilità di fuga, ma i sette uomini rimasti lo avrebbero preso subito. Allarmato, rivolse uno sguardo impotente verso il persecutore.
«Che facciamo?» mormorò.
Isaia si voltò per tenere d'occhio i cacciatori, pronto a trucidare la prossima vittima, e si limitò a indicare il gladio che era caduto sulla sabbia. Jawed sgranò gli occhi quando capì a cosa si riferiva il compagno.
«Non posso combattere! Non sono come te! Non posso...»
Ma Isaia non sembrò curarsi delle sue parole, troppo intento a studiare le movenze del prossimo avversario. Ora era il suo momento di attaccare. Con un veloce gioco di gambe, il persecutore si avvicinò fulmineo a uno degli uomini rimasti e mulinò la spada con tanta energia da costringere anche gli altri ad arretrare. Lo sventurato tentò invano di parare i bestiali fendenti con il gladio e lanciò un grido straziante quando la spada gli sgusciò via dalle mani. Isaia lo colpì prima sui polsi e poi sotto le spalle, facendo penetrare la lama così in profondità da scheggiare le ossa, dopodiché lo finì con un preciso colpo alla gola. A questo punto ogni ombra di fierezza era svanita dai volti dei gladiatori rimasti, allibiti dalla forza disumana con la quale il loro avversario vibrava i colpi, e i loro occhi si spostarono verso Jawed. Il cartografo aveva afferrato il gladio caduto sulla sabbia e ora lo reggeva con mani tremanti, come se fosse incandescente. Terrorizzato, Jawed puntò la lama verso i cacciatori e lanciò uno sguardo implorante verso il compagno. Isaia, però, non aveva bisogno di alcuna supplica. Prima che i gladiatori potessero scagliarsi sul cartografo, ne travolse altri tre con la lama. Il suo gioco di gambe con cui arretrava, schivava e caricava colpi possenti sembrava una danza leggiadra e passionale. Era come un'agile marionetta, con quelle legnose movenze dovute alla corazza, e sbaragliava gli avversari con furore incalcolabile. La sabbia si mescolò al sangue in un impasto nerastro mentre i tre gladiatori rimasti continuavano a girare intorno a Jawed e Isaia.
Isaia rimase sorpreso quando quei tre si avventarono su di lui all'unisono. Con un cenno d'intesa, i gladiatori gli corsero incontro con le spade alzate e il persecutore si preparò all'urto. Nemmeno lui poteva fermare tre avversari contemporaneamente e il tempo rallentò mentre la folla lanciava fischi di scherno. Isaia riuscì a deviare uno dei fendenti con la lama e a schivarne un altro inclinandosi all'indietro. Il terzo colpo, tuttavia, centrò in pieno il proprio bersaglio.
La lama del gladio lo colpì sul gomito, infilandosi tra i pezzi dell'armatura per cozzare contro la cotta di maglia. Isaia strinse i denti mentre l'adrenalina gli esplodeva nelle vene e gli occhi gli si serravano per il dolore. Sentì lo scricchiolio della giuntura tra le ossa che si fratturava propagarsi in tutto il corpo come una sorta di atroce vibrazione. La cotta di maglia lo aveva protetto da lacerazioni, ma la violenza del colpo doveva avergli strappato i muscoli dell'avambraccio. Spalancò istintivamente la bocca, i denti sguainati, e i muscoli della gola gli si tesero in un urlo silenzioso.
«No!» esclamò Jawed, atterrito. Menò un goffo fendente col gladio in direzione del gladiatore e riuscì a colpirlo al braccio. Il cacciatore arretrò subito, preso alla sprovvista dal cartografo, e gli lanciò un'occhiataccia. Isaia sentì ogni capillare del corpo traboccare d'ira, così furioso da ignorare il dolore, e con uno sforzo sovrumano riuscì a respingere indietro gli altri due cacciatori. Si sentiva il braccio in fiamme mentre caricava le energie rimaste nei bicipiti, ma non gl'importava. La collera gli avrebbe dato la forza che gli serviva per finire il lavoro. I gladiatori cercarono di resistere alla spinta del persecutore, ma presto cedettero e furono costretti ad arretrare. Soddisfatti di averlo scalfito, si fecero indietro e ricominciarono ad aggirarlo in attesa del prossimo assalto. Jawed deglutì facendo pulsare la trachea e Isaia roteò le spalle per rinvigorire le braccia. La sua mente era riuscita a soverchiare il dolore del muscolo strappato per una volta, ma non avrebbe retto di nuovo. La vista gli si stava facendo offuscata e le gambe gli formicolavano. Non poteva permettersi di svenire. Non adesso.
I tre gladiatori rimasero sbigottiti quando il loro avversario mollò la presa sull'elsa della zweihänder con il braccio ferito e si mise in posizione di guardia reggendola con una sola mano. Non avevano mai visto nessuno reggere uno spadone a due mani in quel modo. Jawed si rabbuiò quando vide il compagno pronto a combattere con un braccio solo e le sue nocche sbiancarono stringendosi intorno all'elsa. Le grida della folla erano più fragorose che mai.
I cacciatori si scambiarono un cenno per la seconda volta e si lanciarono contro Isaia. Stavolta, però, Isaia lo aveva previsto. Roteò lo spadone con la destrezza di un discobolo, mirando al più vicino dei tre, e lo colpì sull'interno coscia. Dopodiché si voltò appena in tempo per parare il fendente del secondo cacciatore. Lo respinse con l'aiuto di Jawed, che agitò nervosamente il gladio per costringerlo ad arretrare, e colse alla sprovvista il terzo con un calcio. Il gladiatore fu colto di sorpresa dalla manovra e dovette arrestarsi per non perdere l'equilibrio. Era l'occasione che il persecutore stava aspettando.
Isaia lo colpì in pieno sul volto, lacerandoglielo a metà con tutta la forza che poteva caricare sul braccio, e sentì lo schiocco della mascella che si sgretolava sfregiando completamente il malcapitato. L'adrenalina gli diede un nuovo impeto di foga mentre Jawed indietreggiava più inorridito che mai. Il persecutore affondò la lama nel petto del cacciatore per infliggergli il colpo di grazia, poi tornò a occuparsi dei due gladiatori rimasti. Quello ferito alla coscia cercò di assumere una posa difensiva, ma Isaia gli ruppe immediatamente la guardia con un paio di fendenti laterali. Lo trafisse nel ventre e ruotò la lama nella ferita come amava fare durante le sessioni di tortura. Il gladiatore lanciò uno strillo lancinante, annaspando con le braccia nell'inutile tentativo di levarsi la spada di dosso, poi si riversò a terra con gl'intestini che gorgogliavano e gli occhi gli divennero vitrei.
Anche l'ultimo gladiatore non ebbe scampo. Si spostava in fretta, cercando di aggirare Isaia e prenderlo alle spalle, ma il persecutore non demordeva. Agitava lo spadone come un ossesso, furente di rabbia, e lo seguiva a passi pesanti sulla sabbia. Una volta compreso di non avere più alcuna possibilità, il cacciatore si voltò e corse via, fuggendo dall'uomo corazzato che aveva sterminato i suoi compagni. Isaia iniziò a rincorrerlo e Jawed seguì i due uomini con gli occhi strabuzzati, troppo sconcertato dall'inaudita violenza per reagire. Il gladiatore corse ancora un poco prima di arrendersi di fronte all'idea di morire da codardo. Si voltò verso Isaia e fece per sollevare la spada quando fu tranciato a metà dallo spadone dell'avversario. Il persecutore gli provocò un enorme squarcio diagonale dalla spalla alla vita e calciò via il corpo con sprezzo quando questo gli si accasciò addosso. Finalmente anche l'ultimo combattente era morto. Isaia si carezzò il braccio dolorante, stordito dalla quantità di energie che il combattimento aveva richiesto. Il dolore iniziò a farsi sempre più intenso man mano che l'adrenalina scemava e le urla della folla tornarono a tormentargli le orecchie. Conficcò quindi la spada a terra e ansimò esausto. Da quanto era concentrato nel duello non si era accorto che la notte stava finendo. Il cielo era più chiaro e il sole presto sarebbe sorto dietro le nubi. Dopo aver sbattuto le palpebre per liberarle dal sudore, Isaia alzò lo sguardo e tornò a esaminare gli spalti dell'arena. Era stremato, ma non abbastanza da dimenticare la rabbia e l'odio. Fissò negli occhi ogni singolo volto contorto dall'ubriachezza finché non lo vide. Era lì, nella fila più in alto, vicino a una delle grate. Oreb lo osservava impassibile da una delle panche di ferro che componevano gli spalti. E non batté ciglio quando notò che Isaia lo stava fissando.

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