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«Che ti è venuto in mente? Perché ti ostini tanto a voler inseguire una chimera?» Rebecca rimproverò il fratello mentre scendevano le scale. Sospirò rammaricata, poi si avviò verso la cucina del castello. Un tempo la reggia doveva essere stato un luogo movimentato, dai corridoi brulicanti di vita. Ora invece quei giganteschi saloni erano abitati solo dall'eco dei passi di Rebecca e Isaia. Mentre attraversava i corridoi ricoperti di ragnatele, il persecutore riusciva a percepire gli spettri dei vassalli e dei nobili che un tempo li percorrevano. Ogni mattone di pietra sgretolata era antico quasi come Venezia stessa e aveva visto morire generazioni dopo generazioni di abitanti. E ora che la reggia cadeva a pezzi, sembrava che anche i muri si stessero infliggendo una pena in segno di penitenza divina.
Rebecca preparò silenziosamente del pane con burro, comprati al mercato il giorno precedente, e lanciò un paio di occhiate colme di preoccupazione verso Isaia. Era visibilmente crucciata mentre tagliava le pagnotte, muovendo il coltello con gesti rigidi e lo sguardo indugiante nel vuoto.
«Non approvo per niente questa tua scelta» si decise quindi a parlare «stai dando solo false speranze al ragazzo. Non so come tu possa credere che troverai davvero qualcuno nell'Isola delle Rose»
"Tentar non nuoce" avrebbe voluto rispondere Isaia, mentre si avvicinava alla sorella. Cercò di carezzarle il braccio per tranquillizzarla, ma il gesto che compì assomigliava più a un lieve strattone. Lei ritrasse bruscamente il braccio, innervosita.
«Non riesci ad accettare la realtà. Non è un atto di misericordia, è un atto di egoismo. Sei solo annoiato di questo posto, vuoi una scusa per andartene»
Isaia scosse la testa, inflessibile.
«Una scusa per spezzare la monotonia delle tue giornate, ma hai scelto tu stesso questa strada. Tra tutte le vie di rimpiangere il passato, vuoi prendere in assoluto la peggiore. E trascinare quel ragazzino con te, per farti compagnia mentre t'illudi che un vuoto virtuosismo possa guarirti l'anima per una, due settimane. Abbastanza da prendere un po' d'aria fresca, un po' di sole per abbronzarti sotto l'armatura. Mi sbaglio forse?»
 Le mani di Rebecca tremavano mentre spalmava il burro sul pane, il coltello che saettava nervosamente avanti e indietro come la voga di un rematore. 
«Promettimi che tornerai»
Isaia si toccò il petto con la mano aperta. Alzò la visiera dell'elmo e piazzò la testa di fronte alla sorella, affinché lo guardasse negli occhi mentre giurava nel profondo del cuore.
«Maledizione, Isaia» Rebecca distolse lo sguardo, amareggiata «sei davvero testardo»
Una volta terminato di preparare il pane con burro, Rebecca lo pose su uno dei piatti di ceramica impilati disordinatamente sul tavolo e risalì le scale. Isaia restò immobile in sala da pranzo, osservandola mentre saliva le scale con le movenze impacciate dall'apprensione. Ormai si era rassegnato: lei non poteva capire. Non aveva ferito lei Timoteo. Non aveva visto il cadavere del padre riflesso nei suoi occhi di bambino. Non aveva passato gli ultimi anni a massacrare gente comune per denaro. Dopo tutto quel tempo Isaia era divenuto il braccio destro della Morte e ne conosceva l'aspetto così bene che si era dimenticato come fosse quello della vita. Non cercava redenzione, tantomeno una fuga dal proprio compito, solo un barlume di amore umano. Era tutto un capriccio come diceva lei? Un prurito dell'anima? La sua anima era tanto lercia da potersi permettere anche quello, sarebbe stato solo l'ennesimo atto d'individualismo nella sequela che continuava dal giorno del primo martirio. Timoteo non aveva fatto altro che riaccendere una flebile luce nell'antro del signore della morte e Isaia non poteva lasciarla consumarsi. Voleva godere di quella fiammella ancora per poco. Qualcosa dentro di lui gli impediva di fare altrimenti.
Isaia si riscosse dai pensieri poco dopo e iniziò a prepararsi per il viaggio. Voleva partire non appena il ragazzo si fosse rimesso in sesto. Prima se ne sarebbe liberato, meglio era per tutti. Nelle segrete liberò il fedele sacco di iuta dagli strumenti di tortura e iniziò a riempirlo delle provviste e degli attrezzi necessari. Ci infilò svariate gallette, pane magro, la mappa della laguna che ormai non gli serviva quasi più, pergamena, penne, inchiostro, una bussola e svariate altre cose. Anche la lettera di Giacomo Timordomini: sarebbe stata fondamentale per ritrovare la madre.
Una volta sistemato il fagotto, quindi, Isaia risalì le scale per andare a trovare il ragazzo. Aveva appena finito di fare colazione e ora stava giocherellando con le briciole di pane, lo sguardo perso nel vuoto. Timoteo si rabbuiò non appena vide entrare il persecutore e smise di trastullarsi, limitandosi a fissare il muro di fronte a lui per non guardarlo negli occhi. Dopo qualche momento d'imbarazzo, in cui nessuno dei due era sicuro di ciò che pensasse l'altro, il ragazzo parlò.
«Voglio avere qualcosa da fare mentre aspettiamo» disse «voglio disegnare»
Isaia annuì e si recò nella sua camera per prendere inchiostro e pergamena. Ascoltare le sue richieste era un buon primo passo per conquistare la sua fiducia. Trovò la boccetta d'inchiostro e la penna, ma le pergamene erano finite. Decise così di strappare dal muro uno dei moltissimi arazzi ricamati a mano della reggia e lo girò. Il retro era una tela piatta e vuota, perfetta per qualunque cosa volesse fare il ragazzo. Timoteo prese tutto con riluttanza, senza proferire parola, e intinse lentamente la penna nella boccetta d'inchiostro con fare annoiato. Isaia non si aspettava un'immediata riconoscenza, così non fece altro che restare lì a fissarlo da dietro le fessure dell'elmo. Nonostante tutto, la tensione nella stanza si era alzata. Ci sarebbe voluto altro tempo affinché lo spettro dell'assassinio del vecchio Timordomini svanisse dalla mente di entrambi.
«Puoi uscire ora?» domandò quindi Timoteo, senza alzare lo sguardo. Il suo tono non era più insolente, solo malinconico e riluttante. Il turbinio di emozioni che lo aveva travolto nelle ultime ore lo aveva davvero scombussolato. Isaia attese qualche secondo, continuando a scrutare il volto del ragazzo per decifrarne i pensieri, poi se ne andò facendo cigolare i giunti dell'armatura. Immediatamente dopo, Timoteo iniziò a disegnare pigramente sulla pergamena. Disegnò i dieci cerchi concentrici attorno alla terra che componevano il paradiso. Al centro, nell'Empireo, disegnò suo padre come un angelo alato circondato da serafini e cherubini, e la Vergine Maria splendente di gioia che lo accompagnava nel posto che spettava ai martiri. Tutti i santi applaudivano il nuovo arrivato, ma suo padre non guardava verso di loro. Il suo sguardo era volto alla Terra, dove Timoteo disegnò una piccola casa. E dentro la casa c'erano un bambino e una madre dal volto idealizzato, bellissimo, sorridenti sapendo che il padre li fissava dall'alto dei cieli. Una volta finito il disegno, Timoteo si succhiò il pollice e rifletté. Aveva voglia di disegnare anche l'inferno: un cono che andava verso l'interno nella Terra. E lì voleva disegnare Isaia, l'unico personaggio senza un sorriso sulla faccia, solo e triste nelle viscere del Tartaro. Ma poi decise di non farlo. Aveva paura di farlo arrabbiare.
Nel frattempo Isaia terminò i preparativi per il viaggio. Non voleva appesantire il ragazzo, così riempì il proprio fagotto più che poté, poi controllò che la lama della spada fosse affilata. C'era una buona probabilità che avrebbero incontrato dei Cacciatori di Reliquie lungo la strada e non c'era modo di ragionare con quelli. Tra i più estremi gruppi di fanatici, i Cacciatori di Reliquie vagavano per la laguna saccheggiando e depredando gli sventurati che intralciavano il loro cammino. Il loro culto girava intorno alle proprietà miracolose delle reliquie sacre e i loro adepti cercavano degli oggetti in grado di guarire ferite e proteggere dal male, senza curarsi granché di altri aspetti della religione. Proprio per questo motivo i Cacciatori di Reliquie erano solitamente dei malati o dei disperati pronti a tutto per ottenere un qualche miracolo, anche a uccidere innocenti pur di accaparrarsi un pezzo di legno della Santa Croce o la falange di qualche santo minore. Erano spietati e pericolosi, tuttavia non erano così folli da toccare il Sacro Ospitale dell'Isola delle Rose. Dopotutto erano le suore stesse a rammendare gli adepti che si erano feriti in combattimenti. In più la sacralità del posto era tale che sarebbe stato meno blasfemo irrompere nel santuario di Lourdes. Era impossibile, si ripeté Isaia, che avessero anche solo pensato di metterlo a ferro e fuoco.
Il persecutore contò dodici denari d'argento per il barcaiolo, poi risalì nella torre della reggia per vedere come stava il bambino. Era sveglio e sembrava aver terminato il disegno.
Non appena vide Isaia entrare nella stanza, Timoteo sussultò e girò istintivamente il disegno sottosopra. Il persecutore si fermò. Forse togliersi l'elmo avrebbe potuto far sentire il ragazzo più a suo agio, pensò, ma probabilmente lo avrebbe solo spaventato. Il suo volto era vessillo di centinaia di torture viste e i suoi occhi riflettevano bagliori luciferini. C'era un motivo se indossava sempre l'armatura e di certo non se la sarebbe tolta di fronte a un bambino. Riprese quindi a camminare e si accostò al letto, poi protese la mano col gesto più delicato e amichevole che gli riuscisse.
Timoteo osservò la mano con circospezione, ancora piuttosto titubante, ma un gesto d'invito più brusco lo convinse a girare lentamente il disegno. Isaia strinse le dita intorno al bordo dell'arazzo e fissò il bambino negli occhi fieri e velati di dolore. Gli ricordava moltissimo se stesso da ragazzo. In quegli occhi azzurri c'era la stessa rassegnata rabbia nei confronti del mondo, la stessa voglia di sfidare l'universo stesso per prendere la rivincita sulle angherie subite. Timoteo allentò sempre di più la presa sul disegno e alla fine cedette, lasciando che Isaia se lo portasse di fronte alla maschera per studiarlo.
Era da quindici anni che il persecutore non si commuoveva per qualcosa, eppure vedere quella casa verso la quale guardava Giacomo Timordomini quasi vi riuscì. Nulla di quel mondo lo sfiorava più, nemmeno il vento che soffiava sull'armatura, ma quell'ammasso di scarabocchi fu abbastanza per farlo desistere da ogni dubbio.
Isaia poggiò la mano sulla spalla di Timoteo, che si ritrasse lievemente con una punta di sdegno nel gesto, poi indicò il disegno della madre e si puntò il dito al petto più volte. Il messaggio era inequivocabile: ti aiuterò a trovarla, non preoccuparti. Il ragazzo sembrò comprendere e i lineamenti del volto gli si distesero. Nonostante il mutismo e l'armatura, il persecutore era molto eloquente con i suoi gesti e il suo portamento. E Timoteo smise di ghermire le coperte e di respirare più pesantemente del solito.
Isaia annuì e continuò ad ammirare il disegno per diverso tempo prima di restituirlo al bambino, che stavolta lo prese senza riluttanza.
«Non è un granché» mormorò quindi Timoteo, piegandolo e riponendolo lì di fianco.
Il persecutore si limitò a piegare lievemente il capo di lato. Era un muto "perché dici così?".
«È stupido. Ora che ci penso è un disegno molto stupido. Vorrei strapparlo in mille pezzi!»
Timoteo si lanciò sul disegno, ma Isaia fu più rapido e glielo sottrasse da sotto le mani.
«Dammelo!» protestò il ragazzo, evidentemente imbarazzato «È il disegno più brutto che ho fatto! Ridammelo!»
Isaia scosse la testa, allontanando il disegno dal ragazzo. Neanche per sogno. Si diresse invece verso la parete di fronte al letto e lo distese aperto sul muro, per decidere come appenderlo. Timoteo sbuffò e aprì la bocca per protestare, ma la richiuse quando si rese conto che non sarebbe servito. Il persecutore gli fece cenno di aspettarlo e uscì dalla stanza.
«Ti odio» gli bofonchiò dietro Timoteo, le braccia incrociate.
Isaia tornò qualche momento dopo con dei chiodi e un martello e appese il disegno alla parete, di fianco alla finestra. Si girò verso Timoteo, improvvisamente accigliato, e diede dei colpetti all'arazzo col pugno come per dire "questo resta qui. Guai a te se lo tocchi". Il ragazzo grugnì, per l'ennesima volta sconfitto dall'uomo corazzato, e distolse lo sguardo dal disegno. Dopo un paio di secondi d'imbarazzato silenzio, quindi, Isaia uscì dalla camera chiudendo la porta con delicatezza.
Quanto era testardo quel ragazzo... eppure sentiva che pian piano la tensione tra i due stava scemando. Era ancora ben lontano da guadagnarsi il perdono, ma nel frattempo l'atmosfera che si era respirata nella stanza era molto meno ostile. Isaia era fiducioso e scese le scale velocemente per recarsi dalla sorella. Per la prima volta dopo anni non vedeva l'ora di fare qualcosa: partire per ricondurre quel ragazzo dalla madre. Si sarebbe ripreso presto e il persecutore sentiva che quel viaggio sarebbe stato un evento piuttosto importante negli ultimi tempi. Un'ultima spiaggia prima di tornare a guadagnarsi l'inferno.

Venezia PenitenteWhere stories live. Discover now