Capitolo 32

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POV BENJAMIN

Ocean appoggia il casco sulla mia schiena e cinghia più forte le braccia in vita.
 
La sto portando a fare un giro. Ad essere sincero, pensavo che avrebbe opposto più resistenza e invece è bastato solo sfidarla...sapevo che quello era il modo giusto.

Il mio scopo è quello di farmi perdonare perché, l'ultima volta, la mia reazione a tutto è stata un po' esagerata e accecata dalla rabbia, dato che lei ha nominato quel fatidico nome: Valery. Quante cose non sai, Ocean. Nessuno conosce niente. Nessuno comprende il dolore che provo al solo udire quel nome. E tutto ciò che avverto si riflette sulle persone che mi stanno attorno. Involontariamente. Solitamente non avrei mai chiesto scusa, soprattutto a te, che mi infastidisci perennemente. Però quando tu hai urlato Valery e mi hai rievocato quel dolore, la prima cosa che ho pensato e farti provare quello che stavo provando io. Ti ho volutamente aggredita. Non era come le altre volte, nelle quali ero realmente incontrollabile, nelle quali seriamente perdevo il contatto con la mia ragione. Quella volta io avrei potuto controllarmi, ma non l'ho voluto fare, non ho voluto trattenermi, piuttosto ho preferito darti addosso comunque, conoscendo le  condizioni degli ultimi giorni, quando non hai parlato con nessuno, quando ti sei chiusa in camera tua per giorni e non hai voluto far niente. Quando a tavola c'era sempre un posto vuoto: il tuo, e un piatto colmo di cibo ad aspettarti. Anche noi ti aspettavamo. E tu non venivi. Nonostante sapessi come te la stavi passando ho deciso di rincarrarti la dose. É questo ciò che mi fa dispiacere, perché chiunque l'avesse fatto a me, mi avrebbe fatto cedere. Non sono un pezzo stabile. Sono sempre in bilico. Con un piede dentro e uno fuori. Una spinta e precipiterei nel vuoto.

Vedo la destinazione sempre più vicina. Il rombo delle onde che si schiantano sulla scogliera. Il fruscio che provoca il vento che percorre le foglie delle palme. Inizio a cercare un posto per parcheggiare e ne vedo uno con tanto di anello nel muro, per fermare il mezzo. È perfetto.

<Ehi...siamo arrivati> le dico quando siamo ancora in movimento, diretti verso il punto in cui ho deciso di parcheggiare.

Vedo attraverso lo specchietto la sua testa alzarsi.

Fermo finalmente il mezzo e appoggio il piede a terra.

<Scendi> la sprono e a fatica riesce a sfilarsi dal veicolo.

Io faccio una manovra e riesco coincidere la ruota posteriore con l'anello che ho adocchiato. Spengo il motore e prendo dal baule la catena per bloccare la ruota allo stesso anello. Fatta quest'operazione, prendo l'ultima cosa dal bauletto, per poi levare il casco e darmi una sistemata ai capelli. Finalmente ho la visuale completa.

Osservo la figura di Ocean che si è avvicinata al muretto del lungomare. È scossa da una leggera brezza, che le fa alzare il vestitino del colore del cielo, del mare e dei suoi occhi. Un braccio è steso lungo il corpo e la mano sorregge il casco nero. Decido di affiancarla.

<Tutto bene?> le domando, fermandomi vicino a lei.

<Dove mi hai portato??> mi domanda, continuando ad ammirare incantata il paesaggio.

<Al mare!> rispondo scontato. Lei gira il volto sorridente verso di me e io ricambio lo stesso sorriso.

<Che hai in mano?> domanda indicando ciò che sto mantenendo.

<È un telo> mi guarda interrogativa e capisco che non ha capito le mie intenzioni. <Andiamo!> aggiungo, indicando con in cenno della testa la spiaggia sotto di noi. Ocean si abbassa e si leva le converse bianche e le mantiene in una mano.

<Andiamo!> afferma.

Salto sul muretto, che separa il marciapiede dalla spiaggia, perché non ho voglia di fare il giro attorno, e atterro sulla soffice sabbia. Vedo lei in difficoltà per scendere così le metto le mani in vita e la porto verso di me, sulla sabbia.

Dal Dolore Alla FelicitàWhere stories live. Discover now