Capitolo 13

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POV OCEAN

Un debole raggio di sole mi illumina il viso, disturbandomi il sonno. Un odore di muschio bianco e menta si fa largo nelle mie narici...un odore così familiare. Mi alzo a sedere e con gli occhi socchiusi mi osservo intorno disorientata; la prima cosa che vedo è il letto di Astral vuoto, ma non ci do peso, perché, anche se la sveglia non è ancora suonata, è possibile che sia in bagno oppure a sgranocchiare snack per la fame. Dopo aver dato un'occhiata veloce al resto, mi sistemo sotto le coperte e faccio per ritornare a dormire, ma realizzo che qualcosa non quadra... che diavolo ci fa Benjamin nella mia stanza, sulla mia poltrona?

Lo squadro da testa a piedi, ripetendo più volte l'operazione. I suoi capelli corvini, la sua mascella definita, le sue spalle larghe, il suo addome scolpito e scoperto... aspetta ho detto scoperto! 

Nella mia mente iniziano a viaggiare i peggiori pensieri, film mentali...ma no impossibile, non può essere successo nulla, non lo avrei mai fatto. Mi tranquillizzo. D'altronde anche io dormo a petto scoperto, più o meno.

<So di essere bello, ma se continui a fissarmi in quel modo rischi di sciuparmi> afferma con gli occhi ancora chiusi e alzando l'angolo della bocca.

Gli vola un cuscino dritto in faccia...mira da cecchino, ben fatto Ocean.

<Quasi preso> parla con il cuscino ad un millimetro dal naso. Benjamin si alza e lo sistema sulla poltrona, sotto il mio attentissimo sguardo. 

<Peccato, mi avrebbe fatto molto piacere> esprimo dispiaciuta.

Il ragazzo si piazza ai piedi del letto, con le mani sui fianchi e sguardo da sfida. Ricambio lo stesso fitto, ma la tentazione mi fa cadere l'occhio sul suo fisico scolpito.

Non capisco perché persone così presuntuose abbiano tutta questa bellezza, che non si meritano minimamente. La vita è sicuramente ingiusta. 

<Vedo che gradisci la vista> dice impettendosi, sul suo volto compare un ghigno malizioso.

<Dove l'hai bruciata la maglia?> chiedo infastidita, appoggiando la testa sul polso piegato. Lui abbassa la visuale sotto al mio collo, io faccio lo stesso. Il mio corpo è coperto da un tessuto nero che ha il suo stesso e buonissimo odore. Faccio 2+2 e... oh no! Cerco di levare quanto più velocemente  la maglietta, ma ricordo che il mio 'pigiama' non è propriamente consono.

<Non ti preoccupare, meglio se la tieni> esprime beffardo... un'altra volta, una marea di pensieri drammatici si fanno spazio nella mia capoccia, ma io li caccio via subito.

Resto in un indignato silenzio, per poi riprendere. <Che ci fai nella mia camera? Pensavo di aver messo in chiaro le cose l'altro giorno> dico sinceramente. Il suo sorrisino scompare e la sua espressione diventa triste.

<Non pretendo che tu mi perdoni all'istante, però sappi che mi dispiace, sono stato uno stronzo...> arriva dritto al punto, mi fa piacere che in qualche modo abbia chiesto scusa, però non gliela faccio passare liscia.

<Sì, dispiace anche a me e sì, sei uno stronzo, un bastardo, un menefreghista, un egoista, un coglione, un presunt-> elenco tutti gli aggettivi  che lo descrivono a pieno sulle dita della mano, ma solo questa non basterebbe.

<Wewe non ci allarghiamo> mi interrompe, grattandosi la nuca, sotto pressione.

<Per caso vorresti rinnegare quello che ho detto?! No, perché se vuoi, potrei farti riaffiorare dei ricordi: allora ricapitolando, la prima volta-> mi interrompe nuovamente.

<Conosco benissimo ciò che ho fatto> afferma.

<E ci mancherebbe, perciò non biasimarmi se ti caccio da questa stanza immediatamente> sorrido antipatica.

Dal Dolore Alla FelicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora