Capitolo 14

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Prendo frettolosamente lo zaino e mi alzo. La testa mi gira e provo una fitta lancinante. Tutto intorno a me è spento, scolorito e sembra allontanarsi quando io cerco di raggiungerlo. Le gambe cedono e io perdo l'equilibrio, accasciandomi su un banco. Debolmente mi rimetto in piedi e cammino sbandando verso  la porta.

Percepisco la voce dell'insegnante chiedere allarmato se stessi bene e in sottofondo il vociare del resto della classe, ma io non riesco a proferire alcuna parola. Scappo verso il bagno e mi accovaccio a peso morto sul lavandino. Guardo lo specchio di fronte e a scatti scorgo una piccola bambina bionda, che scopre il pancino vestito da una maglietta. Ha degli ematomi, tanti lividi giganti su tutto il corpo. Le inizia a tremare il labbro inferiore e gocciolano silenziose lacrime dai suoi occhi. L'immagine sparisce. Provo un un intollerabile dolore al petto e il respiro, che prima sembrava essersi  regolarizzato, ritorna spezzato e pesante. Cerco di prendere quanta più aria possibile, tentando di riempire i polmoni, ma qualcosa alla gola me lo impedisce.

In un flash vedo la figura di Benjamin, che si tocca preoccupato i capelli scompigliati. È di fronte a me, nella mia stanza buia, illuminata solo dal pallore della luna, che entra flebile dal balcone.
'Ocean, ascolta, non preoccuparti, svanirà tutto. Ora ti sembrerà quasi di star per soffocare, l'aria sembrerà non entrare più nei polmoni, ma non è così, è tutta immaginazione, è tutto nella tua mente, è tutto qui'. Il ragazzo mi tasta dolcemente la tempia, pare che abbia vissuto tutto sulla sua pelle. Benjamin continua a parlarmi, ma la sua voce svanisce gradualmente. Noto che fa dei gesti, che respira profondamente, così provo a farlo anche io, guidata dai suoi movimenti. Lo scenario si dissolve e ritorno a guardare la mia figura impressa nello specchio. Ho le guance bagnate, gli occhi rossi e il labbro inferiore tremante, inoltre sono pallida come un cadavere.
La porta alle mie spalle si apre; io istintivamente nascondo il viso, ma ad entrare non è una semplice persona, è la mia amica.

<Astral> pronuncio fragile.  Le gambe mi si afflosciano, la riccia si precipita verso di me e mi sorregge, prima di poter atterrare sul pavimento.

<Ocean> articola, stringendomi in un abbraccio, continuando a sostenere il mio peso, perché le mie gambe non mantengono.

<Come facevi a sapere di dover chiamare Benjamin?> chiedo di punto in bianco, poco limpidamente, ricordando la 'visione' di poco fa.

<Te l'ho detto...ho agito d'istinto, impulsivamente, senza pensarci...forse perché lui mi ha sempre aiutata in tutto, anche se non lo da a vedere. Se sono come sono, lo devo solo a Benji, che mi è sempre rimasto affianco> spiega. 

<Ti ringrazio> aggiungo solamente. Lascio a malincuore l'abbraccio e le sorrido.

Apro l'acqua del rubinetto, abbastanza fredda, per sciacquarmi un pochino il viso e riprendermi. Sentiamo la campanella suonare la fine dell'ultima ora e dal momento che oggi è sabato, ci tocca ritornare a casa. Accompagno la riccia nella classe dove prima stava facendo lezione, per prendere la sua roba e ci avviamo verso l'altro istituto, per ritirare il resto della banda. 

Come se prima non fosse successo nulla.

Arrivati ai cancelli della nostra casetta, un ottimo profumo di cucinato si fa spazio nel nostro naso. Entriamo come dei cagnolini che fiutano l'odore del loro osso e ci dirigiamo direttamente in cucina, dove troviamo una tavola apparecchiata e colma di piatti di pasta ancora fumanti.

<Lavate prima le mani!> grida Alice fermandoci in tempo. Perciò facciamo ciò che ci è stato detto.

Quando ci sediamo a tavola, si spalanca la porta ed entra Benjamin tutto annoiato, che butta a terra lo zaino e va in bagno. Noi lo osserviamo attentamente senza emettere un fiato. 

Dal Dolore Alla FelicitàWhere stories live. Discover now