È lo stesso di lanciare un sasso

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«Ti è mai capitato di sentirti il minimo di te stessa?».

Il riflesso scosse la testa, un colpo solo. Preciso. Destra sinistra.

«È una sensazione particolare, difficile da spiegare, soprattutto. Se la conoscessi sarebbe più semplice».

Il riflesso scuote nuovamente la testa. Quel colpo, destra sinistra, sembra così dolce se creato da lei.

Si riduce a una cascata di ricci moka e caramello.

Sempre ricci, mai diversi nella forma. Sempre diversi nel colore e nel decoro.

«Vedi, è come quando lanci un sasso in un pozzo tutto scuro. Magari ci hai impiegato poco a scegliere il sasso, ne hai preso uno per il piacere di prenderlo e proprio quando lo lasci andare nel vuoto ti chiedi "Ma sarà davvero quello giusto? O magari la forma cambia poco il risultato? Magari lo fa di più il colore... O magari non lo fa niente e nessuno..."».

Il riflesso si corruccia e increspa le labbra. Inizia a ticchettare la pianta piede a terra, segue un ritmo tutto suo.
Inesorabilmente suo.
E va così per un bel pezzo, un tac tac non del tutto socievole però.

«...poi, quando la pietra tocca il fondo, dopo che sei stato lì col fiato stretto in gola ad aspettarlo, a non vederne l'ora, a non sapere esattamente come pensare pensando a tutto... Ecco che cade. Fa un plaf ovattato e fine. Non accade niente».

Il riflesso non si aspettava per niente una cosa del genere.
S'era preparata a qualcosa di strano, o di eccelso, o di banale, o mirabolante. Ma nulla.
Si era rivelato solo triste ed ora le deva fastidio il finale. Un fastidio che non riusciva a gettare via, fuori di sé, e che quindi gli allagava il cuore.

«Lo so. Non guardami così, ti prego, ma è l'unico modo che avevo per spiegarti. Perché mi sento proprio così: davanti a una grande attesa divenuta nulla, solo polvere e inconcreto. Come avessi un mazzo di terra fra le mani, senza neppure un ciuffetto d'erba».

Il riflesso fa per pogiarle una mano sulla spalla, magari esprimersi in un sorriso vuoto di parole ma saturo di conforto.
Ma non può farlo.
Si gratta un occhio con tanto di nocche e aspetta.
Che cosa? Non lo sa.
Ma aspetta il prossimo impulso.

«Potevo fare di più. Potevo scegliere un sasso migliore, potevo sceglierlo più bello o di un colore più vivace. Potevo lottare per lui dall'alto del pozzo... avrei potuto lanciarlo meglio, farlo tornare su e riprovare. Potevo ritentare.»

Per un breve istante, lei e il suo riflesso si fissano. Identico nell'identico. Ma non c'è un'emozione tanto diversa.
Ci sono lacrime fabbricate solo su due occhi, ma riflesse in quattro.
Ci sono due gemiti spezzati, ma una sola gola.

«Perché ho acceso la luce nella stanza, quando non dovevo? Perché ho dato retta alla paura e non all'istinto? Perché sono stata così poco animale e così tanto donna... Perché mi sono staccata le ali?».

Guarda le sua mani, le sue dita, il suo corpo brutto e detto bello.
Lo guarda e soffre.

E non c'è né davvero motivo.
Ma non si dà pace.
Non si dà sfogo.
Niente.

"𝚂𝚎 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚊𝚜𝚜𝚒 𝚊𝚍 𝚘𝚌𝚌𝚑𝚒 𝚊𝚙𝚎𝚛𝚝𝚒..."Where stories live. Discover now