Assaggiare anche con le dita

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«Bussa due volte. Con lentezza, come avessi paura di fare rumore. Saprò che sei tu».

Kanohi serba quelle parole nel petto, un nodo stringe e gli mozza il respiro.
Sta davanti alla porta di Erindi, attende di poter picchiare il legno secondo il loro codice.

Ma aspetta, perché il cuore gli martella nel petto e gli fremono le dita come mai prima d'ora. Teme che gli altri li becchino, gatti nel sacco letteralmente. Però tutto tace, solo il suo respiro rieccheggia.

Kanohi intreccia le dita irrequiete, le orecchie tese in ascolto.
Sa che lei lo sta aspettando dietro la porta. Sa anche che è irrequieta.
Farla attendere, innervosire, suona come un gioco.

Be', stanno giocando effettivamente.

Finalmente si decide.
Accarezza il legno della porta con le nocche una prima volta, cauto.
Aspetta qualche secondo e lo rifà.

Nell'altra stanza sente un solo, unico, nervoso colpo. Quasi strozzato dalla sorpresa.
Spontaneamente, lui sorride.

Kanohi abbassa la maniglia di ferro, la serratura si sblocca roca e una tela di luce lunare lo investe. La sua larga ombra sferzata nel corridoio.

Erindi è seduta sul letto. Ha addosso la sua felpa rosso veneziano che le va larga di spalle e i pantaloncini di stoffa nera. Fa caldo, ma non sembra toccarla la cosa.

E il rosso e il nero le fanno risaltare...non lo sa neppure Kanohi cosa!?
Sa che è sempre lei, la stessa di qualche ora prima, la stessa di quella mattina.
Ma è diversa, al contempo...
Questo lo incuriosisce, lo porta ad abbassare la guardia.

Con lo sguardo gli dice di chiudere la porta.
Fa un giro di chiave, per sicurezza.
E si avvicina, sempre con qual fare da felino in agguato.

Solo che anche lei ora ricorda un gatto, seduta sulle ginocchia con le larghe maniche a drappo sui minuti polsi.
Ed è bella con i capelli in disordine sul collo e gli occhiali ritti sul naso.
E bella con le labbra candide schiuse e le pupille più large del solito.

«Pensavo non venissi più...» Sussurra, gli occhi scuri come la felpa e ridenti.

«Non ti avrei lasciata sola in questa stanza buia» Ribatte lui, sedendosi sul materasso bianco.

Fa caldo.
Kanohi vorrebbe togliersi la maglietta e dormire a petto nudo.
Vorrebbe stringere il corpo caramello di Erindi e sprofondare sul suo collo.

«Non c'è buio, la luna è la migliore luce notturna».

«Da un tocco bianco a questa stanza bianca».

Lei ride. Proprio come piace a Kanohi, sottile e bambinesca.
Lei è questo, una bambina che gioca a fare la grande.
Lei è una dea millenaria che ha dimenticato come invecchiare.

E il tempo si ferma.

«Be', ci siamo io e te a far da colore» Erindi incrocia le gambe e si afferra i piedi, inclina il busto in avanti e una cascata rossiccia le copre il volto.

«Quindi siamo dentro una tela» Kanohi si avvicina, i pantaloni della tuta che lo impacciano, la maglietta tirata sulle larghe spalle.

Per un istante, sono solo occhi e occhiali.

«Mi dica, Giotto, cosa vuole dipingere stasera?».

Mentre lo dice si alza di poco, si siede sulle gambe di lui e le incrocia dietro. La sua preda è incatenata e sorride trionfante.
Lui si è lasciato catturare, ovviamente.

Le grandi mani di Kanohi sulle soffici guance di lei, calde e rosse per la vicinanza.
Zigomi, labbra anche la punta del naso. Tutto in lei è morbido e caldo.

«Voglio ritrarre l'estasi d'un sospiro. Un sospiro ben preciso» Fa scontrare le punte dei loro nasi, le mani di lei che scivolano dietro la sua nuca.

«E che colori le servono?» Si morde il labbro, provocante.

Kanohi sussulta. In quelle iridi ha appena letto l'essenza del mondo e una sensazione nuova gli smuove lo stomaco. Sa solo sbattere le palpebre e respirare.

Lei si china, gli lecca il labbro inferiore e aspetta. Vuole che sia lui a baciarla, per soddisfazione personale.
Lui l'accontenta.

Erindi sorride contro le sue labbra. Le dita intrecciate nei riccioli castani, un pizzico sul suo viso, il caldo dell'intimità.

Che sapore. Come addentare l'universo.
E questa sera, assaggiarsi con gli occhi non basta.
Assaggiarsi con le dita è una richiesta profonda e necessaria.

Solo un po'.
Solo un istante.
Non con profanità, solo dita sulla pelle.
Lui grande su di lei, lei piccola sotto lui.
Come un primo bozzetto incerto e volenteroso.

Erindi ha i fianchi caldi.
Il pizzo nero sotto la felpa la fa sembrare una caramella.
Ogni caramella è più bella senza involucro.

Sotto di lui, con le sottili dita a tracciargli il petto, è mille volte più bella.
Entrambi, senza occhiali sono veri e guardare ha un nuovo senso.

Lui vede come fa la sua pelle al contatto, come il respiro le cambia.
E il suo seno è caldo fra le sue mani.
E le sue labbra non possono fare a meno di baciarla, di saggiarla.

Erindi gli lecca le labbra, gli morde l'orecchio, gli ridisegna il corpo privo di maglia.

Loro sono questo, ora.
Sono pelle, calore ed occhi.
Sono una poesia profana che brama la semplicità.
Sono l'indiscutibile e l'inovvietà.

Sono una parola troppo complicata per stare nei dizionari, così nessuno la conosce.
O forse l'hanno appena inventata...
Come un giorno è stato inventato il mondo schiavo dell'amore e della paura.

Loro sono il rosso sul viso, la pelle che freme, il cuore che corre e le farfalle allo stomaco.
Sono la calma nello scoprirsi.
Sono arte che si accarezza l'un l'altra.

«Mi servono tutti i colori che saprai donarmi, perché quel sospiro d'estasi parte dalle mie tue labbra».

"𝚂𝚎 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚊𝚜𝚜𝚒 𝚊𝚍 𝚘𝚌𝚌𝚑𝚒 𝚊𝚙𝚎𝚛𝚝𝚒..."Where stories live. Discover now