Meglio parlare o morire?

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Ho fatto un sogno...

Be', sai che novità...

Sempre in quella città dalle pietre bianche.

Stavolta c'era il mare e la cattedrale lontana, si vedeva solo la cuspide.

Due giovani scappavano dalle bianche mura, dalle porte familiari, dai giudizi nudi e crudi.

Avevano rubato una barca in legno che sembrava prossima alla pensione, ma adatta per due impazienti fuggiaschi.

Scappavano per riscattare loro stessi, per orgoglio ed egoismo.

Ognuno col suo pegno sul cuore, stretto come un braccialetto di cuoio al posto sbagliato.

Scappavano, come tutti i cattivi ragazzi, verso l'Isola che non c'è, quella oltre la barriera di scogli, oltre il banco di nebbia.

L'isola dove non ci sono regole e freni, solo sabbia morbida e vita.

C'era stata una tormenta, poco dopo aver preso il largo, il mare gorgogliava insaziabile.

Le onde s'erano alzate come tende ricamate, avvolgevano tutto senza una vera precisione o cura.

La barca s'era spaccata.

Aveva urtato uno scoglio ed era saltata in una tempesta di schegge e chiodi.

I due era stati lanciati in una cava di pietra nera, l'alba alle loro spalle come una candela morente.

C'era qualcosa lì, in quel antro di mondo. Qualcosa di grosso, più delle onde.

Lei tremava, i capelli intrecciati con la salsedine e i vestiti appiccicati addosso.

Tremava di freddo e più di paura, che fra un raffreddore e la morte una sola davvero lasciava un eterno segno.

E si teneva il polso che aveva preso una brutta botta, lottando contro l'istinto di dar voce al mix di dolore e tensione.

Lui sudava freddo.

Non poteva essere vero!

No, i suoi occhi lo stavano ingannando.

Si era ripromesso di non lasciarsi condizione. E invece eccolo lì, incastrato nella peggiore pena che il mare sappia offrire.

Non era vero....

Un'orrida sensazione gli strisciò lungo ogni vertebra, la bocca fu costretta in un grigno di disgusto.

Il vento faceva schizzare l'acqua contro gli scoglio come una pioggia di proiettili, le schegge si ci impastavano complicando le cose.

Tenere aperti gli occhi equivaleva a fare una scommessa col fato, una partita a dadi molto svantaggiosa e senza tattica.

Lui voleva chiuderli e risvegliarsi a casa, stentava a dare retta alla realtà. La sua mente urlava il falso.

Qualcosa fece cadere alcune travi di legno alle loro spalle, oltre la prua di barca restante.

Lui strinse la ragazza al suo petto e si incassò più che potè sul fondo del relitto in legno.

Il martellare del sangue nelle orecchie, metafora del panico, era peggio delle scheggie conficcate nella carne.

Lei voleva davvero urlare, nascosta fra le sue braccia. Voleva svegliarsi e scoprire di sta facendo il solito incubo.

Ma il dolore al polso era vero e acuto, quello era il caro freddo mondo.

Spezza. Schiaccia. Spacca.

Si, c'era davvero qualcosa, senza voce ma coi suoi modi per comunicare.

Viscido, avvezzo, spietato.

Il Kraken, era quella belva l'ultimo loro incontro?

La loro ultima tragica avventura?

Si sarebbero spenti fra denti di sale marino e alghe, senza toccare la soffice sabbia dell'Isola che non c'è?

Il mostro era il guardiano delle acque, lasciava passare solo chi non aveva segreti sulla pelle.

Solo chi aveva lasciato tutto "apposto" a casa.

Loro avevano lasciato tutto "apposto" prima di lasciare gli ormeggi? Prima di decidere di salpare?

Uno di loro mentiva...

Lui tirò fuori dalla tasca della giacca la revolver, inutile dopotutto, le polveri erano bagnate e fuori gioco.

La tenne comunque, nella sua mano tremante tintinnava come una campanella.

Fu un vero e proprio richiamo.

La belva strisciò lenta, attirata a mo' di falena dal trillo, riversava il suo molle corpo fra scogli e sabbia trascinandosi tutto ciò che gli era d'ostacolo.

Di tanto in tanto si graffiava, allora una striscia verdognola tingeva la pietra nera e frizzava d'acido e aalsedine.

Lui tremava. Lei capì.

Non dalla situazione da quadro, non dalla tensione o dalle voci dei marinai che riaffioravano alla sua mente.

Lei capì dai suoi occhi vigili, dal suo tenersela stretta, dalla sua pistola inutile e comunque protesa a difesa.

Lei capì, il cuore una colonna sonora ovattata.

«Il mare», raccontava i vecchi pescatori, «va ghiotto di segreti e profanie.

Ghiotto di sbagli commessi e rimpianti.

Per questo le onde hanno i denti. Per questo gli abissi sono caldi e profondi».

Lei alzò la testa fino a guardarlo negli occhi, sicura perché ormai non aveva più che perdere.

Fece congiungere per un brevissimo attimo le loro labbra rosse, per poi sorridergli fronte contro fronte in un morbido schiocco.

«Mi devi dire qualcosa?» Chiese, il solito tono giocoso, assurdo che stia come un soprabito in quel contesto tragico.

Lui respira, spalle a muro, stanco di girarci attorno. Cos'ha da perdere?

«Secondo te è meglio parlare o morire?» Divaga ancora, solo un'ultima volta.

Lo sguardo di lui è spaventato e sincero, confuso e speranzoso. È un intruglio perfetto agli occhi di lei.

«È meglio fare ciò che va fatto, come strappare un certo in un solo botto».

Lui sussurra qualcosa, la risposta, ma il Kraken è rumoroso e troppo vicino, così non si capisce ciò che dice.

Sono diventati mare fra denti di sale e alghe. Senza rimpianti o rimorsi.

E, ancora oggi, qualcuno si chiede quale risposta sia davvero giusta.

Quale segreto sia costato così caro da dare la vita.

Tu fissi il mare e ti poni la stessa domanda, ora, proprio ora.

Ce la vedi scritta fra la spuma e l'orizzonte, non mentire.

Guarda bene...

Assaporala, dalle voce.

"𝚂𝚎 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚊𝚜𝚜𝚒 𝚊𝚍 𝚘𝚌𝚌𝚑𝚒 𝚊𝚙𝚎𝚛𝚝𝚒..."Where stories live. Discover now