Capitolo 8

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Il volto del Diavolo

Esco in giardino come un automa, come se qualcuno mi prendesse per mano e mi conducesse lì fuori. Il vento fa svolazzare la tenda bianca e oro e riesco a intravedere quel manto verde brillare alla luce del sole di mezzogiorno.
Tento di chiamare Luigi, mi blocco poco prima con le parole sospese in aria; la scena di fronte a me è surreale: i suoi occhi violacei e gonfi sono aperti di fronte a me, due pali, a forma di croce lo sorreggono, mentre fiamme ardenti partono dal terreno avvolgendolo fino a sopra il ginocchio. Inizio a correre, gettandomi sul suo corpo inerme, rischiando di bruciare anche io. Tento in tutti i modi di spegnere quelle fiamme, gettandoli coperte che prendono fuoco subito dopo, come se qualcuno avesse versato su di esse del liquido infiammabile. Mi scosto, sembra che la terra stia vorticando sotto i miei piedi. Guardo il mio amico intensamente, sul suo viso sembra formarsi un ghigno malvagio. Il suo aspetto si deforma, dal viso tondo e paffuto, dallo sguardo dolce e comprensibile, i miei occhi iniziano a vedere un viso squadrato, rosso vermiglio, con occhi profondi e maligni, due corna appuntite che volge al cielo, avvolto da una nube di fumo grigio-nero. Un ghigno soddisfatto, squarcia quel silenzio, riempendo la mia mente bloccata. Il tempo sembra fermarsi: in un attimo la figura disumana si avvicina. Percepisco il suo alito caldo sul mio viso. Mi fissa. Sembra voler dirmi qualcosa. Indietreggio cadendo con il mio fondoschiena su quel prato ingiallito dal fuoco. Cerco di allontanarmi il più possibile facendo leva sui gomiti, ma il suo volto è sempre a pochi centimetri da me. Vedo la sua ira, la sua bocca si apre e si chiude come se mi stesse dicendo qualcosa, ma non comprendo le sue parole. Vengono pronunciate in lingua latina, in un sussulto quasi soffocato. Il volto del diavolo mi abbandona sparendo subito dopo come uno scintillio tra le fiamme ardenti.
Rimango a terra allucinato. Il sole si eclissa e un forte acquazzone si abbatte su quel terreno, dove io sono ancora addossato.
Raccolgo le mie forze, mi metto dapprima in ginocchio. Cerco un equilibrio, la testa mi gira e il ticchettio delle gocce insistenti che cadono sul mio viso mi risveglia. Raggiungo il mio amico ormai carbonizzato, lo adagio sul terreno, fissandolo e contemplando quell'essere defunto per colpa mia. Il sangue inizia a pulsarmi nelle vene. Corro in casa, ho bisogno di bere qualcosa di forte, apro il frigo bar e afferro la prima bottiglia che trovo a portata di mano; la apro e ingurgito quel liquido dolciastro che allo stesso tempo mi brucia la gola, pulisco le mie labbra con il dorso della mano e inizio a frugare per tutta casa.
-Luigi mi ha chiamato perché aveva urgente bisogno di vedermi, aveva scoperto qualcosa ma non poteva dirmi al telefono-.
Butto a terra tutte le cose che trovo dentro i mobili di tutte le stanze, perfino nel bagno. Ritorno in cucina, era la stanza dove lui passava la maggior parte del tempo. Ho l'impressione di essere osservato, mi gratto la nuca e cerco di calmare i miei nervi e ripeto a me stesso che sono solo con il mio amico morto nel giardino. Mentre sono piegato a cercare nei cassetti della cucina, una voce metallica mi fa drizzare. Arriva dalla smart TV Samsung posizionata sul muro alle mie spalle. Sollevo le ginocchia dal pavimento e lentamente mi volto. Lo schermo è nero con qualche linea d'interferenza. Sto per avvicinarmi quando la voce metallica parla nuovamente: «sta fermo dove sei!»
Cerco di ubbidire e di capire chi può essere che mi sta spiando, volto la testa in cerca di qualche spia che mi indica la presenza di telecamere, ma non riesco a trovare niente.
«Sento i tuoi pensieri, non avrai scampo!»
«Allora dimmi chi sei e cosa vuoi da me!»
«Per colpa tua il tuo amico è morto»
«Sei un bastardo, lurido bastardo!» ringhio a denti stretti.
«Ti è piaciuto giocare?»
«Giocare? Cosa stai blaterando!» una risata nervosa esce dalla mia gola.
«Hai ucciso troppe persone. La tua coscienza è sporca, nessuno ti aiuterà. Non riuscirai a pulirti la coscienza. Resterai solo, moriranno tutti intorno a te. Tu sei un mostro!»
«BASTARDO! FATTI VEDERE, VERME SCHIFOSO»
«Non serve che urli, sei un pazzo e nessuno ti aiuterà. Il tuo amico non si è fatto i fatti suoi per aiutarti e ha pagato con la sua vita!»
Il televisore improvvisamente diventò nuovamente silenzioso, l'unico rumore che si percepiva era quello dell'acqua che veniva giù dalla grondaia.
Tornai all'ingresso e uscii sul vialetto in cerca d'aiuto. Corsi sul marciapiede ma non vidi anima viva. Stavo per rientrare quando una voce di un'anziana signora mi fece bloccare sui miei passi. «Ragazzone hai bisogno d'aiuto?» la guardai strabiliato. Cosa ci faceva una signora anziana sotto la pioggia? E da dove sbucava, se fino a poco fa non c'era anima viva?
La ringraziai dicendole che non avevo bisogno di nulla. La mia coscienza si era già pentita, non potevo chiedere aiuto. Tornai all'interno della casa e corsi in giardino, era deserto e tutto pulito. Il corpo del mio amico non c'era più e non c'era nessun segno della sua morte atroce. Mi guardai intorno girando su me stesso, alzai lo sguardo al cielo con l'acqua che lavava la mia disperazione. Avevo bisogno di spegnere il mio cervello.
Scappai di lì... non avevo una meta precisa, avevo solo bisogno di respirare e di capire cosa stava accadendo nella mia vita. Dopo la morte di Elisa erano successi troppi episodi senza una reale spiegazione.
Il cielo si era schiarito ed era ormai sera. Decisi di tornare a casa, avevo bisogno di una doccia e di mangiare qualcosa. Salii le scale di casa a due a due. Mi fermai sul pianerottolo alla vista della porta socchiusa, la spinsi piano ed entrai senza fare rumore, una volta entrato e superato l'ingresso, mi affacciai sull'uscio della cucina e chiamai mia madre. Non ricevetti risposta, forse era andata dalla vicina e aveva dimenticato la porta socchiusa pensai. Mi avviai nella mia stanza lasciando prima il giubbotto umido sulla spalliera della sedia in cucina. La porta della mia camera era spalancata, un enorme cartello scritto a caratteri cubitali con vernice rossa volante, era appeso alla finestra di fronte ai miei occhi. Rabbrividii a quella scritta, mi avvicinai e lo strappai con rabbia, gettandolo per terra.
Una clessidra di medie dimensioni scandiva il tempo e io iniziai a non respirare.

La Verità Che Uccide Where stories live. Discover now