Capitolo 26

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Il marchio a fuoco

«Presto entrate nel mio ufficio!» Si affretta Anna a dirci. 

Eravamo arrivati al distretto, ormai era mezzogiorno. 

«Cosa vorresti trovare?» domando ad Anna che nel frattempo ha chiuso la porta e ci ha fatto accomodare di fronte alla sua scrivania. Osserva delle carte seria, poi sposta lo sguardo sul computer, ma non risponde alla mia domanda. Il telefono del mio avvocato inizia a suonare e finalmente Anna ci rivolge uno sguardo. 

«Su rispondi!»

«È tua madre Riccardo, sicuramente è in pensiero!»

Ripenso al mio telefono in fondo al mare e afferro quello di Giordano per rispondere. 

«Ma? Sì, tutto bene. Il mio telefono è caduto in mare, appena mi libero ne compro uno nuovo.» Mia madre mi ripete che sono sempre il solito sbadato, cosa che mi ripeteva spesso anche Elisa. Concludo la chiamata rassicurando mia madre che è tutto apposto e che non torno per pranzo.  Chiudo la chiamata e ripasso il telefono al mio avvocato. 

«Allora Riccardo, adesso tu dovrai dirmi tutto ciò che sai!»

«Che so, su cosa?» domandai non capendo dove voleva arrivare. 

«Dobbiamo tornare indietro, capire se dietro a queste morti ci sia la stessa o le "stesse" persone.» Anna mima con le dita le virgolette mentre dice stesse persone. Secondo lei non è solo una, ma più persone che agiscono insieme. Un gruppo, insomma, di serial killer. 

«Tu credi veramente che la morte di Elisa, quella di Luigi e quella del dottor Congedo siano collegate tra loro?» sono stranito, non avevo mai pensato a un possibile collegamento, se così fosse qualcuno ce l'ha con me e vuole punirmi? Ma per cosa?

«Ora ti mostrerò delle foto guardale attentamente e dimmi se questo simbolo lo hai già visto da qualche parte!»

Anna apre un fascicolo grigio e me lo porge. 

«Questo lo abbiamo trovato sul corpo del dottor Congedo.»

Sgrano gli occhi; sul suo torace, dalla parte sinistra, c'è un marchio a fuoco, sembra un mix di immagini veramente. Non riesco a decifrarlo bene. Sulla prima foto sembra come se ci fossero tre sei capovolti che formano una stella o un sole. Nella seconda foto che sembra essere stata fatta più da vicino, si vedono due buchi come se qualcuno avesse piantato due chiodi alla base del cuore. Una terza foto invece ritrae lo sterno con tre graffi profondi. 

«Tutto ciò lo avete trovato sul corpo del dottore?» domando incredulo pensando alla tortura subita. Un flash improvviso mi fa prendere la testa fra le mani. 

Io ed Elisa siamo sulla spiaggia, Luigi impugna un arnese di ferro con manico di legno, siamo stesi sulla sabbia e il fuoco accende a pochi passi da noi, "durerà poco" ci dice appoggiando il ferro bollente sulla nostra carne. Doveva essere un sole, ma capisco che quel simbolo non era un simbolo di Dio, ma bensì del diavolo. 

Alzo la mia maglietta e mostro ad Anna e Giordano ciò che ho inciso sul mio torace sinistro. 

«Eravamo ragazzini e ci dissero che se facevamo questo simbolo Dio ci avrebbe permesso la grazia eterna. Avevamo un'anima dannata, cercavamo pace. Siamo entrati in un gruppo che si faceva chiamare… ora non mi sto ricordando, sono passati tanti anni e molte cose ho voluto rimuoverle dalla mia mente»

Anna è Giordano si avvicinano per guardare meglio la mia ormai cicatrice. Anna prende il telefono e scatta una foto. 

«La invio subito al collega e vediamo se riesce a trovare qualcosa. Cosa significa, a chi appartiene, qualsiasi cosa che possa farci capire qualcosa.» 

Mangio uno spicchio di pizza controvoglia. Non ho fame, la mia mente continua a pensare a chi possa avercela tanto con me da avermi fatto questo. Non sono spaventato, non ho paura, non ne ho mai avuta, ma voglio sapere. Se devo fare vendetta sono disposto a farla anche da solo. 

«A cosa pensi?» Domanda Anna riportandomi alla realtà. «Hai ricordato qualcos'altro?»

«No, niente. I ricordi arrivano all'improvviso come lampi nel mio cervello.»

«Le gocce continui a prenderle vero?» irrompe Giordano.

«Certo, che domande! A proposito, devo farmele preparare dalla nuova dottoressa. Non l'ho ancora vista, voi avete avuto modo di conoscerla?»

«Sì che l'hai vista!» 

«Io? E quando?» domando ad Anna che nel mentre sta aprendo la cialda per il caffè. 

«L'altro giorno era nel mio ufficio, se ne stava andando mentre tu sei entrato.»

Cerco di ricordare. 

«La donna con il caschetto biondo?»

«Sì, proprio lei!» 

«Ah, non avevo capito fosse la farmacista.»

«L'ho chiamata con la scusa che mi servivano delle medicine e giacché le ho fatto qualche domanda. Sempre una tipa apposto.»

Ci osserviamo senza proferire parola, mentre sorseggiamo il caffè. 

La Verità Che Uccide Where stories live. Discover now