Capitolo 21

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A tutto o forse niente

Mi avvicino al mio avvocato, che per tutto il tempo è rimasto un metro distante da me, con in mano quella collana.
«Cos'è?» mi dice indicando ciò che ho in mano.
«Una collana con due ciondoli a forma di lettera!» gliela mostro facendola penzolare in aria.
«Ma sono le iniziali tue e di Elisa!?» più che una domanda, sembra un'affermazione. Giordano girando su se stesso mi dona le spalle, si incammina verso l'uscita a testa bassa e con le mani incrociate dietro la schiena. Io, che ero rimasto ancora fermo a fissare quella collana, lo seguo a passo svelto.
«Sai!? Non ho mai amato questi luoghi, mi mettono angoscia» le sue parole mi lasciano stupito e perplesso. Non so molto della sua vita privata; non si è mai aperto con me e tantomeno io gli ho mai fatto domande.
«Nemmeno a me piacciono, ma da quando c'è Elisa, in questo posto ci vengo spesso. È l'unico modo che ho per sentirla ancora vicina.»
Giordano mi guarda con occhi dolci e lucidi, ciò che ho detto l'ha commosso, ma non vuole farlo vedere, quindi indossa i suoi Carrera scuri e si incammina verso la sua auto. 
Ormai il sole sta calando e io non oso più dire niente. 
«Perché te la sei presa?» mi domanda aprendo lo sportello, prima di entrare in macchina.
«Voglio cercare di capire di chi è!» 
Il mio avvocato solleva gli occhiali, ruota il busto sul sedile e mi guarda fisso negli occhi: «non dirmi che pensi a quello che sto pensando io», con un gesto teatrale, quasi da direttore d'orchestra, col l'indice in sù indica prima me e poi lui. Lo guardo storto e poi rispondo: «Se credi che io stia pensando che Elisa sia viva, la risposta è no!». Non sapevo nemmeno io a cosa stavo pensando in quel momento, a tutto o forse niente. 
«Elisa è morta tra le mie braccia, l'ho vista fare un volo e cadere rovinosamente sulle rocce, sbattendo la testa. Ero distante da lei, non ricordo bene, ma ero ricoperto anche io di sangue, disteso su quegli arbusti spinosi. Quando mi sono ripreso, ho strisciato verso di lei e l'ho abbracciata. Era già priva di sensi e la sua testa grondante di sangue. Quel liquido bollente ancora lo ricordo, come fosse stato ieri, lo sento bruciare e solcare le mie dita. Quando sono arrivati i soccorsi, chiamati da non so chi, lei era già spirata», le parole uscirono dalla mia bocca come una liberazione. 
«Non si è mai capito cosa è stato?»
«A ucciderla?»
«Sì»
«Io ho sentito lo stridio delle rotaie di un treno scagliarsi a tutta velocità, ma non c'era nessun treno… dalla ricostruzione si evince che sia saltato un cavo elettrico a scoppiare ed Elisa sia stata fulminata all'istante», ormai Giordano non parlava, ascoltava e annuiva.
All'epoca dei fatti, raccontati il minimo indispensabile, non riuscivo a ricordare o forse la mia mente aveva rimosso quella terribile sera. Ancora oggi, se mi sforzo, le immagini sono sfocate, come se io fossi stato uno spettatore esterno e non il protagonista.
«Ma quella sera, cosa ci facevate lì?» 
Avevo raccontato mille volte la stessa storia, ma oggi non ricordavo più la vera motivazione. Avevamo ricevuto un messaggio tutti e due? O il messaggio era stato mandato solo a me? Oppure solo a lei? 
Prendo la testa tra le mie mani, come una forte scarica elettrica, un dolore lancinante sembra aprirla in due. Il terrore di Elisa di quella maledetta sera, mi invade. Il cuore mi si lacera, le ossa mi dolgono. Il mio corpo è pervaso da violenti spasmi. Intorno a me non esiste più niente. Sento la sua voce implorarmi, mi chiama, sta piangendo e sta tremando. Le mie orecchie iniziano a fischiare, mi gira la testa. Lei continua a chiamarmi, mi dice di raggiungerla perché ha scoperto una cosa importante. 

 

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