Capitolo 27

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Ho le allucinazioni

Sono chiuso nella mia stanza da ormai tre ore. Poco fa mia madre è andata al mercato a fare spesa. In paese non si fa altro che parlare di tutto quello che sta succedendo, iniziano a chiamarlo il paese maledetto.
Osservo le foto che ho di fronte a me, per fortuna che le avevo sviluppate sotto tortura di Giordano, lui sostiene che devo consegnarle ad Anna e farle analizzare; alcune sono di me ed Elisa, in alcune sono con Luigi, mentre in altre sono da solo. Cerco di collegare il tutto, chi mi segue? 

«Riccardo? Sono tornata.» Sento la voce di mia madre provenire dalla cucina. Nascondo le foto nel cassetto della scrivania e lo chiudo a chiave.
«È quasi ora di pranzo, il tempo di cucinare e ci sediamo a tavola insieme, ormai non ti vedo quasi mai.»
Mi avvicino e le schiocco un bacio sulla guancia, lei sorride e mi sussurra che mi vuole bene.
Accendo la TV sul canale locale dove stanno trasmettendo il TG.
«Al mercato questa mattina non si parlava d'altro! Questo paese da tranquillo è precipitato nello sconforto e nella paura più totale. Mi hanno raccontato che molti anni fa le streghe vivevano veramente in quella grotta, il papà di Gianfranca mentre pascolava il gregge più di una volta ha percepito come una presenza che lo seguiva, ma non ci ha mai dato molto peso. Poi una notte sembra che qualcuno si sia introdotto nell'ovile e la mattina seguente Peppino ha trovato tre delle sue pecore morte. Tutte e tre avevano un morso strano, che hanno chiamato il morso della strega.»
«Me lo ricordo Peppino, io all'epoca avevo forse dieci/dodici anni, ricordo anche però che lo classificarono pazzo e il caso fu chiuso.»
«Invece secondo me aveva ragione!» Afferma mia madre mentre scola la pasta.
Il pranzo lo trascorriamo quasi tutto in silenzio. Finito di mangiare sparecchio tavola, mentre mia madre aggiusta il caffè.
Ho voglia di uscire un po' e liberare la mente da tutti questi eventi. Saluto mia madre con un bacio e le dico di non aspettarmi per cena.

Salgo in sella alla mia moto e parto a tutto gas. Il sole delle tre del pomeriggio mi riscalda rilassando i miei nervi. Guido in direzione di Lecce, non ho mai amato il traffico della città, ma oggi il mio istinto mi dice di proseguire in quella direzione.
Dopo una mezz'ora di strada sono in centro, tra semafori rossi e verdi slitto tra le varie vetture. Parcheggio la moto in Piazza Sant'Oronzo e mi incammino a osservare l'anfiteatro romano. La piazza è gremita di gente e il brulicare mi fa girare la testa. Un artista di strada si esibisce per i più piccoli, balla con un costume da dinosauro, di quelli che sembra che tu stia seduto su essi. Lo osservo in lontananza desiderando di tornare bambino, con la stessa spensieratezza che ti fa ridere a ogni cosa. Mi incammino verso il Martinucci, ho voglia di una cosa fresca.
«Buonasera, desidera ordinare?» Un ragazzo con uniforme da cameriere mi si avvicina appena mi siedo al tavolino.
«Sì grazie! Mi può portare uno Spritz accompagnato da qualche stuzzichino.»
«Ha qualche preferenza? Le posso portare ho un piattino di antipastini misti, tra cui calzoncini, olive all'ascolana, pizzette, oppure delle semplici scodelline con arachidi, olive e taralli.»
«La seconda opzione va benissimo.»
«Perfetto! Arrivo subito.»
Osservo un po' in giro nel mentre che aspetto. Era da tanto che non venivo a Lecce, ogni volta mi sembra che ci sia sempre più gente, eppure è un comune giorno della settimana.
«Riccardo?!» Una voce femminile mi fa voltare.
«Elena?» La guardo stupito. Non mi ero accorto che oggi la farmacia era chiusa.
«Non sei a lavoro?» Domando curioso.
«No, oggi siamo chiusi!» Mi dice mentre tira una sedia per accomodarsi. «Oh scusa che maleducata non ti ho chiesto il permesso, posso sedermi con te? O attendi qualcuno?»
«Non attendo nessuno, sono solo. Accomodati pure.»
«Ecco il suo Spritz signore!» Il cameriere poggia tutto sul tavolino.
«Può portarne uno anche per me?» Elena coglie la palla al balzo, prima di poterle io fare la domanda.
«Certamente, arrivo subito!»
«Prego, serviti pure!» Le dico avvicinandole le ciotole con gli stuzzichini.
«Hai fatto compere?» Noto, osservando le buste accanto alla mia sedia.
«Sì, quando vengo a Lecce è per fare shopping. E poi mi perdo in quella libreria…» Indica con il capo oltre le mie spalle, volto la testa e noto la Feltrinelli.
«Stanno facendo offerte e mi sono comprata quattro best seller a poco prezzo!» Afferma afferrando un oliva.
«Che genere ti piace leggere?» Le domando sorseggiando il mio drink.
«Un po' tutti! Giallo, thriller, romanzi rosa. A te piace leggere?»
«No, non è stata mai una cosa che mi ha appassionato molto. Leggo un po' di articoli, alle volte scritti pessimamente soprattutto dai giornalisti del luogo.»
«Hai ragione, quando leggo quegli articoli mi verrebbe di mandare un messaggio in redazione e chiedere se non controllano prima di mandare in stampa. Mah! Io non capisco, basta che esce la notizia, poi che sia scritta con i piedi non gli interessa.»
«Ahahah, i soldi fanno venire la vista ai ciechi, così diceva sempre mia nonna.»
«Sagge parole!»
Abbiamo finito il nostro aperitivo e il sole ormai è tramontato.
«Ti va di fare un giro?» Mi chiede Elena prima di alzarsi dalla sedia.
La guardo un attimo prima di inserire i soldi nel portascontrino in pelle nera, ci penso giusto un attimo e poi dico a me stesso "mah sì, divertiti un po' che è da tanto che non lo fai".
«Va bene!» Le rispondo guardandola negli occhi.
«Ho la macchina in quella traversa lì, porto le buste e torno! Mi aspetti qui?»
Prima di rispondere afferro le sue borse e mi incammino, senza dare nessuna risposta.
«Oh grazie, sei un vero gentiluomo!» Elena mi si avvicina a passo svelto e mi prende sotto braccio. Di tanto in tanto mi tira verso qualche vetrina e commentiamo certi prezzi che "devi venderti un rene per poter acquistare".
Un senegalese ci aggancia mostrando la sua roba, ci dice che se acquistiamo una cosa ci regala due bracciali portafortuna. Io ed Elena ci guardiamo un attimo e scoppiamo a ridere.
«Ci hai presi per due ragazzini?!»
«No no amigo, io veramente regalare te porta fortuna.»
Afferro dal portafoglio cinque euro e gliele do.
«Tieni amigo, con cinque eulo compri sveglia.»
«Non mi serve niente amico, vai a comprare una cosa da mangiare tranquillo.»
«Grazie, grazie amigo.» Tenta di baciarmi la mano, ma la scanso delicatamente.
Continuano a camminare per le vie della città quando un profumo di kebab ci invade le narici.
«Hai fame?» Domando a Elena che nel mentre si era accesa una sigaretta.
«Anche tu marlboro rosse?»
«Sì, perché? Fumi anche tu queste?»
«No, niente. Io non fumo!»
«La tua ragazza?»
«No nemmeno lei fumava.»
«Oh, scusa, non volevo essere invadente.»
«Tranquilla. Mangiamo qualcosa?»
«Sì volentieri.»
Non mi sta andando sinceramente di mangiare, ma dovevo smorzare la situazione, non mi piace quando mi fanno troppe domande. Cerco di non fissarmi e pensare che come lei migliaia di persone fumano la stessa marca di sigarette, che non vuol dire niente e che non c'è nessun collegamento con chi ha fatto del male a mia madre.
«Ti va di sparare al bersaglio?» Mi domanda mentre finisce di bere l'ultimo sorso della sua birra.
«Sì! Ti va di fare una sfida?»
«Ci sto!»
«Chi butta di più lattine offre una birra!» Propongo mentre ci avviciniamo al camioncino.
«Affare fatto!» Elena mi stringe la mano saldamente, come se avessimo scommesso chi sa che cosa.
«Devo dire che te la cavi. Dove hai imparato a sparare così?» Le domando colpito dal numero elevato di lattine buttate giù.
«A Poggiardo, al poligono.»
«Ah, sì sì lo conosco. È gestito ancora da Mirko?»
«Sì, da lui e Andrea suo fratello più piccolo.»
«Oddio, Andrea io lo ricordo un bimbetto che scorrazzava nel prato! Come passa il tempo.»

«Grazie Riccardo per la bella serata. Io ora rientro a casa, domani mi tocca la sveglia presto.»
«Tranquilla, anche io mi ritiro, si è fatto veramente tardi, quando parli, scherzi e stai bene il tempo vola.»
«Hai ragione. Grazie ancora.» Elena si avvicina e mi saluta con un bacio sulla guancia, che ricambio volentieri. Aspetto che salga in auto e solo dopo che è partita mi allontano per tornare in piazza a recuperare la moto.
Sono quasi arrivato al parcheggio, ma mi blocco di colpo. Cerco di mettere a fuoco e penso che le birre e il cocktail mi stanno giocando un brutto scherzo. "Ho le allucinazioni". Stropiccio gli occhi aprendoli e chiudendoli più volte. Non può essere lui. Mi avvicino un po' senza dare nell'occhio e ricevo la conferma. Roberto è lì che si bacia una con un caschetto biondo.

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