Capitolo 14

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Nuvoloni grigi di tristezza

Arrivo in via Piave, guardo il mio orologio da polso, segna le otto meno cinque della sera. Tra un po' la farmacia del dottor Congedo avrebbe chiuso penso, lasciando la moto quasi in mezzo alla strada. Mi precipito all'interno, l'odore di disinfettante e medicinali vari mi fa arricciare il naso, non mi era mai piaciuto quell'odore. Una ragazza, che non avevo mai visto, sta mettendo apposto alcune creme sul ripiano più alto di un mobile, in legno chiaro, di fianco al bancone.
«Buonasera, la dottoressa Rita?».
La ragazza sembra non avermi sentito. Avvicinandomi, quasi dietro le sue spalle, ripeto il saluto a voce più alta. Lei spaventandosi al suono della mia voce, si gira di scatto, traballando sulla piccola scaletta ma riuscendo a mantenere saldi con il braccio alcuni barattoli di crema anti età, cercando di ricomporsi.
«Buonasera, mi scusi non l'avevo sentita. No, io sono Elena la sua collaboratrice, la dottoressa è dovuta andare via. Lei deve essere Riccardo, mi ha detto di aspettare fino a che non sarebbe arrivato un ragazzo, più o meno sulla trentina con una cicatrice sulla guancia, vicino all'attaccatura dell'orecchio.»
La ragazza disse quasi tutto d'un fiato, sistemandosi con la mano libera gli occhiali, con una montatura nera, un po' troppo grande, secondo me, per il suo viso delicato. Sì sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie mentre posava le creme, che ancora aveva in braccio. Girò dietro al bancone, mi guardò meglio un'altra volta. Prese il mio spray, lo incartò, stampò lo scontrino e me lo depositò senza dire più una parola.
Rimasi un po' intontito da quante informazioni le aveva dato la nuova dottoressa, forse Antonio le aveva raccontato la mia storia? Conoscevo il dottore da circa tre anni, da quando il vecchio proprietario era venuto a mancare e il dottor Congedo aveva comprato la farmacia. Un giorno eravamo soli e mi chiese per quale motivo prendessi questo spray, senza rendermene conto mi confidai con lui piangendo come un bambino. Fu allora che mi consigliò di prendere anche delle pastiglie che mi facessero rilassare prima di dormire.
«Oh mi scusi, sono quindi euro, grazie. Le serviva altro?».
La ragazza forse aveva intuito i miei pensieri, perché continuavo a guardarla senza fare niente.
«Mi scusi, forse sono sembrata maleducata, ma non era mia intenzione, sono molto diretta e sinceramente non mi sarei aspettata di trovare un bel ragazzo di fronte a me. Sì, ecco sono rimasta colpita!», continuò ancora una volta, sistemando i suoi occhiali, che continuavano a scendere, con l'indice.
Continuavo a guardarla. Quella ragazza dai capelli castani fin sopra le spalle, con due occhi dello stesso colore, vispi, ma allo stesso tempo innocenti, nascosti dietro a quella montatura nera così grande, mi stava mandando fuori binario. Forse aveva la mia stessa età, ma sicuramente non era del mio paese.
La guardai interrogativo: ci stava provando con me?.
«Sì ecco, mi sarei aspettata forse più un barbone, che un ragazzo piuttosto curato. Perché si vede che sei curato, mi piace molto come sei vestito e adoro come ti sta la barba, sembra incorniciare il tuo viso.»
Abbassai lo sguardo sul mio abbigliamento: un jeans scuro, una maglietta bianca con stampa Levis rossa, e un giubbino nero antivento, che avevo sempre quando andavo in moto, anche d'estate. Toccai la mia barba, un po' più lunga del solito, erano stati giorni duri e non mi ero fermato nemmeno a guardarmi allo specchio. Fermai la mano sulla cicatrice, segno indelebile della mia sofferenza.
«Quella cicatrice ti dona sai? Ti rende macho, come dite voi qui? Un tipo forte, figo».
Continuava a parlare come un treno in corsa, senza freni e inibizioni. Sempre con lo sguardo basso, estrassi i soldi dal mio portafoglio e li posai sul bancone, presi il mio flaconcino e finalmente, alzai il mio sguardo verso la ragazza che ancora mi fissava sorridente.
«Ah...» puntandomi l'indice «i tuoi occhi... sono bellissimi! Mi ricordano tanto le acque cristalline che avete qui a Santa Cesarea».
Dopo quel complimento me ne andai senza salutare. Mentre uscivo, ripercorrendo il corridoio con scaffali pieni di ogni genere di crema, prodotti per bambini, cosmetici, con una mano in tasca e l'altra lungo il fianco con all'interno il mio spray, percepivo la voce della ragazza che mi gridava dietro altre scuse e che sperava di incontrarci nuovamente. Ero ormai fuori e l'aria umida del mio paese o forse tutti quei complimenti mi fecero diventare irritabile. Tolsi il giubbotto e lo gettai nel vano oggetti della moto, feci uno spruzzo di fiori di Bach e osservai lungo la strada; non era molto affollata: un ragazzo e una ragazza stavano risalendo mano nella mano mentre parlavano e ridevano. Un anziano signore a petto nudo e pantaloncini avanti, aveva appena messo fuori il secchio della spazzatura. Una signora, sicuramente una badante, spingeva una carrozzina con una simpatica nonnina.
Dopo aver respirato a fondo, decisi di andare a mangiare qualcosa al Villino. Era da tanto che non andavo a trovare Vittorio e soprattutto ad assaporare i suoi incantevoli piatti. La strada in discesa mi permetteva di camminare leggero, anche se il peso dei miei pensieri sembrava avermi messo delle zavorre ai piedi. Tenevo lo sguardo alto di fronte a me e osservavo l'immensità del mare. La luna rifletteva su quello specchio d'acqua tutta la sua bellezza e il suo luccichio faceva calmare i miei sensi sempre in allerta.
Il profumo invitante della cucina del mio amico Vittorio mi fece scendere l'ampia scalinata, che conduceva all'entrata del ristorante, di corsa. Un minuto fa il mio stomaco era sottosopra e adesso invece si era aperto come una voragine.
Saluto Franco che con un sorriso smagliante mi viene incontro abbracciandomi. A noi le parole non servivano, bastavano i nostri occhi e le nostre braccia strette a parlare. Lui è il braccio destro di Vittorio, possiamo dire che questo ristorante lo hanno fondato insieme. Due rocce su cui, sia io che Luigi, potevamo sempre contare. Ho avuto modo di lavorare qui qualche anno fa e il lavoro era una passeggiata. Franco è uno spasso, sia per i dipendenti, che per i clienti. Il classico tipo che vorresti nel tuo gruppo, colui che ha sempre la battuta pronta senza essere mai pesante o di troppo, un omone alto più di un metro ottanta, ben piazzato e con un simpatico baffo nero che incorniciava delle sottili labbra, i suoi occhi scuri un concentrato di emozioni che solo a guardarli ti mettevano di buon umore, le sue guance sempre arrossate, per il vai e vieni dalla sala alla cucina e la sua uniforme sempre in perfetto ordine.
Decido di accomodarmi sulla terrazza che affaccia sopra la scogliera. Non mi ero reso conto di che giorno era, finché non osservai il numero di gente presente lì, si capiva benissimo che era sabato. Ormai i miei giorni sembravano tutti uguali, monotoni, pur avendo un tram-tram di movimento.
Seduto al mio tavolino per due persone, poggiai il braccio sulla ringhiera bianca in ferro battuto, che affacciava sulla scogliera a precipizio sul mare, e ispirai profondamente. Lo scirocco emanava quell'odore forte di zolfo che si mischiava all'intenso odore di pesce fresco. Il chiacchiericcio della gente mi teneva compagnia e mi faceva sentire meno solo. Sulla mia destra avevo una coppia di simpatici sessantenni che gustavano ogni portata, accompagnata da un vino bianco della casa. L'amore tra i due si percepiva a distanza, mentre alzavano i calici pieni di quel liquido ambrato, i due si guardavano con occhi lucidi e sorridenti. Un'altra tavolata alle mie spalle invece stava festeggiando un compleanno. Ruoto il busto per osservare meglio e rimango a fissare quell'allegra famiglia, provando nel mio cuore un senso di mancanza e forse anche d'invidia. La festeggiata, una ragazza che aveva compiuto i suoi primi trent'anni, era circondata dall'affetto dei suoi cari, genitori, nonni, e sicuramente fratello o sorella e anche nipotini, due graziosi marmocchi, gemelli sicuro di quattro massimo cinque anni, che correvano intorno alla zia cantando tanti auguri a te.
Cercai di ricordare un momento felice della mia vita, come poteva essere la condivisione di un compleanno, ma non me ne venne in mente nessuno. Siamo sempre stati io e mia madre e dopo aver conosciuto Luigi, la mia famiglia si allargò grazie ai suoi genitori, Roberto e Giulia.

Arrivarono le mie portate che gustai piano, assaporando ogni dettaglio. Per questa sera non avevo fretta. I pochi ricordi che conservavo scorrevano veloci nelle mie vene e il vento allontanava quei nuvoloni grigi di tristezza.

La Verità Che Uccide Onde histórias criam vida. Descubra agora