Capitolo 20

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Due ciondoli: R ed È

Mi faccio accompagnare a casa da Giordano. Il traffico di Lecce mi mette ansia, non vedo l'ora di uscire da quell'inferno di ammassi di lamiere in movimento. Mentre siamo in macchina sulla S.P 363 guardo fuori dal finestrino, perso nei miei pensieri. 
«Cosa è successo? Con il Pubblico Ministero intendo!» Giordano con lo sguardo fisso sulla strada sembrava preoccupato mentre mi esponeva quella domanda.
«Niente…»
«Perché siete rimasti soli?»
«Voleva che le raccontassi della notte che è morta Elisa» la mia voce usciva come un sussurro, le parole era come se rimanevano bloccate dentro di me. In me percepivo due forze contrastanti, come il bene e il male: chi era il bene e chi il male? Potevo fidarmi di Giordano? Lo conoscevo da parecchi anni ormai, è grazie a lui se oggi sono qui e non dietro alle sbarre per la morte di Elisa. Se fosse contro di me, mi avrebbe incastrato in qualche modo già tanti anni fa; non riesco a darmi una calmata. Sto sudando e cerco di abbassare ancora di più il condizionatore della sua Mercedes classe C berlina; non ci capisco niente, è tutta touch e appena tocchi una cosa si inserisce un'altra. Il mio avvocato mi guarda e sorride, non è il classico tipo che se fai un disastro se ne va su tutte le furie, no! Lui è quel genere di persona che sembra, che la calma gliela abbiano cucita addosso. 
«Chi era quella donna che è andata via poco prima di te?» 
«Una dottoressa… ha consegnato delle cose ad Anna» sempre con lo sguardo rivolto verso la natura che mi scorreva di lato, cerco di rilassarmi e non far trapelare molto la mia agitazione. Non mi doveva sfuggire niente, sarei arrivato a casa, avrei controllato che mia madre fosse al sicuro e sarei andato a controllare una cosa. 
«Cosa ti turba?»
«Certo che a te non ti si può nascondere niente, eh?»
«Da quanti anni è che ci conosciamo?»
«Molti…» ridacchiai.
Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, di cui potermi fidare, ero solo e solo non sarei riuscito a scoprire niente.
«Devo andare da mio padre!» 
Giordano rimase per un attimo in silenzio, forse non si aspettava una simile richiesta da parte mia. 
«Da tuo padre? Da quando in qua lo chiami "padre"?» ora il suo sguardo si era fatto cupo, sapeva che c'era qualcosa che non andava, ma voleva arrivare a scoprire tutto con calma. Avevamo un viaggetto di quasi un'ora a nostra disposizione per poter chiacchierare.
«Mi ha sempre generato lui no? Anche se era e rimane un verme anche ora che è sottoterra!»
«Ah ecco! Ora riconosco il vero Riccardo, per un attimo ho creduto che Anna ti avesse fatto qualche incantesimo»
«Ahahah, sai oggi sei particolarmente spiritoso… devo andare a controllare una cosa, se mi fai il favore di accompagnarmi te ne sarei grato.»
«Certo! Non ho preso altri impegni, perché non sapevo a che ora avremmo finito.»
Erano da poco passate le due del pomeriggio e iniziavo ad avere un leggero languorino. 
«Che ne dici di fermarci al Martinucci e prendere un aperitivo?» Giordano alla mia domanda annuì e deviò per Maglie. 
La piazza di Maglie anche a quell'ora del pomeriggio di Giugno era piena di gente. Dovemmo aspettare affinché si liberasse un tavolo. Appena seduti ci portarono ciò che già avevamo ordinato al banco. 
Il sole era ancora alto, ma tra un po' il cimitero avrebbe chiuso e io dovevo per forza controllare una cosa. Giordano inserì un po' di musica, per riempire quel silenzio pesante che si era creato. 
Appena arrivati sul posto mi fiondai fuori dall'auto. Intravidi subito Leo, il guardiano, un uomo tarchiato con una folta chioma di riccioli color sale e pepe che gli ricadevano sugli occhi. Lo salutai e sperai che non stesse per suonare la sirena, che avrebbe annunciato la chiusura. L'uomo appena mi vide, fece segno con il capo di proseguire. Non l'avevo mai sentito parlare e mi era sorto il dubbio che fosse muto. Proseguii fino ad arrivare alla tomba di mio padre, era posizionato a terra, un appezzamento di terra incolto con al centro la sua lapide. C'erano dei fiori freschi, mi avvicinai per capire se erano veri o finti. Non avevo più rapporti con i pochi parenti di mio padre, quindi non sapevo chi curava la sua tomba. Presi in mano quel mazzo e qualcosa scivolò in mezzo alla terra. Un raggio di sole ormai debole fece luccicare un filo d'acciaio. Mi accovacciai e raccolsi quella sottile collana. La girai tra le mani esaminandola con attenzione; era semplice, con due ciondoli a forma di lettera appesi: R ed E. Non mi veniva in mente nessun familiare di mio padre con quelle iniziali, gli unici nomi che conoscevo e che l'accostamento era musica pura per le mie orecchie erano: Riccardo ed Elisa. Ma quei nomi ormai insieme non potevano più esistere. 

La Verità Che Uccide Where stories live. Discover now