XXV. Dardo avvelenato

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Adorava avvicinare le labbra alle sue, anche solo per sfiorarle e sfoggiare un sorriso maligno. Il segreto era poi allontanarle per guardare il suo volto desideroso di continuare. Non si sarebbe mai annoiato di quel gioco, creava dipendenza. Almeno fantasticava a pensarlo.

Voleva dormire con lei. Non solo farci l'amore, ma semplicemente sentire i propri corpi accoccolati sotto le lenzuola. Posare la mano sul suo fianco e guardarle gli occhi di quel verde smeraldo che ancora sognava. Magari godersi quel momento ascoltando le onde del mare scontrarsi contro il legno della nave.

Ma ora Uncino si trovava lì, a scrutare l'orizzonte dall'interno della sua cabina.
Perseguitato dal rimorso.
Non il rimorso per aver fatto qualcosa di sbagliato, ma per aver fatto qualcosa di giusto per la persona sbagliata.
Aveva amato e si era lasciato amare.
"Non tornare indietro, te ne pentirai" continuava a ripetersi. Ma ogni volta che guardava quello sprazzo di polvere fatata sul suo tavolo imbandito, ripensava a lei e a come l'avesse uccisa.
La polvere. Spugna l'aveva raccolta in un piccolo sacco porpora che poi aveva ovviamente donato al capitano. E lui la teneva lì, sul tavolo, come un oggetto da decorazione. Dopo la battaglia della Radura aveva chiamato a raccolta i suoi uomini per congratularsi dell'ottimo lavoro svolto, dando a tutti una giornata libera per ubriacarsi o giocare d'azzardo. Al contrario, lui si era subito rintanato nei suoi alloggi per sperimentare l'effetto di quella maledetta polvere. Voleva porre fine al dolore nel braccio destro, ma soprattutto voleva colmare quel vuoto che sentiva all'interno del petto. Era il suo scopo fin dall'inizio.

Lui era solo.

Anche Peter si era trovato la sua Wendy.

Nemmeno lui sapeva bene come utilizzarla, ma decise di versarne una piccola quantità in un bicchiere di rum e di berla. Appena i granelli toccarono la sua lingua sentì una forza misteriosa invadere il suo corpo. Dopo tutti quegli sforzi la polvere gli mostrò l'unica vera magia disposta a curare le sue ferite: Bella.

Immagini sfocate di loro due che si baciavano erano dei frammenti nella sua mente. La vera risposta a quel vuoto era sua, e lui suo.

Lui era diventato parte di lei. Era nell'aria che respirava, nell'acqua che beveva e scorreva nel sangue delle sue vene. Il suo tocco gli era rimasto sulla pelle, la voce nelle orecchie, i pensieri nella mente. Era un sogno. Un sogno che gli aveva trafitto il cuore come un dardo avvelenato. Tutte le ombre dei suoi segreti non l'avevano allontanata, ma l'avevano fatta innamorare ancora di più.

Uncino non poteva sopportare quella visione. Decise che avrebbe riprovato in un secondo momento con la polvere. Non poteva essere lei. Sapeva che quell'amore era impossibile.

Uncino si allontanò dalle finestre e prese una piccola fiala che conteneva un liquido rosso. Erano le sue lacrime. Ogni giorno le raccoglieva per non dimenticarsi di lei e di come la sua polvere da sparo avesse tolto il respiro alla donna che amava.

Nulla aveva importanza.
Pan non era più la sua ossessione.
La polvere era ormai solo sabbia.
La sua donna, morta.
C'era solo un'ultima carta da giocare, e lui sapeva bene quale.

L'amore di UncinoWhere stories live. Discover now