Capitolo 8 - "Pensi ancora a lei?"

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Era sabato sera.

Peter era uscito con i suoi amici e mi aveva lasciato casa libera. Così, avevo avuto la brillante idea di chiamare Dylan, sperando che non stesse pilotando qualche aereo nel frattempo.

Decisi di non chiedere a Jennifer, perché pensai fosse sicuramente insieme ad Adam, il suo fidanzato, perciò pensai non fosse il caso di disturbarla. Inoltre la vedevo ogni giorno a lavoro e tra una pausa caffè e l'altra, riuscivamo a scambiare qualche parola.

Ovviamente non volevo passare il sabato sera da sola, quindi Dylan era l'unica persona che potevo chiamare e dopo un paio di squilli rispose. Non riconobbe subito la mia voce e la cosa mi divertì terribilmente.

Gli spiegai che mio fratello era fuori casa e che se avesse voluto avremmo potuto mangiare una pizza insieme. Non se lo fece ripetere due volte, perché aveva già riagganciato e chiamato la pizzeria.

Gli dissi di passare per le otto.

Guardai l'ora e mi accorsi di quanto fosse presto: erano solo le sei e mezza. Allora, decisi di andare a fare una doccia calda.

Fuori il cielo era scuro, quasi nero e un vento forte faceva sbattere i rami degli alberi contro le finestre.

Era solo metà settembre eppure le temperature era calate notevolmente. Infatti, ogni volta che uscivo a prendere la posta, dovevo necessariamente prendere la sciarpa di lana e il cappotto. Peter era troppo pigro e non mi aiutava quasi mai con le faccende di casa. In qualche modo ero diventata una specie di mamma per lui.

Quanto terminai la doccia, infilai l'accappatoio e avvolsi i capelli bagnati in un turbante.

Andai in camera e restai una buona mezz'ora a scegliere cosa indossare. Non volevo mettere qualcosa di scomodo, ma allo stesso tempo non volevo indossare qualcosa di comodo e banale. Osservai la sfilza di felpe che avevo, ma nessuna mi sembrava carina in quel momento. Optai per un paio di leggins neri abbinato ad un crop top bianco a maniche lunghe.

Guardandomi allo specchio, mi accorsi che la maglietta che avevo scelto riusciva a malapena a coprire l'ombelico. Tentai di tirarla verso il basso, con l'obbiettivo di coprire quel lembo di pelle, ma non ebbi molti risultati.

Decisi di indossarne un'altra, ma quando fui sul punto di spogliarmi sentii il campanello suonare.

Dannazione! Dovevo ancora asciugare i capelli!

Andai ad aprire con ancora l'asciugamano avvolto sulla testa e quando spalancai la porta, Dylan scoppiò in una risata.

«Ti fa ridere?», gli chiesi, guardandolo di traverso.

«Abbastanza», disse con il sorriso stampato sulle labbra.

«E' colpa tua», dissi in mia difesa, incrociando le braccia al petto.

«Sei arrivato in anticipo, non ho fatto in tempo ad asciugare i capelli.»

Dylan abbassò lo sguardo sull'orologio che portava al polso e poi riportò i suoi occhi su di me.

«Per la cronaca, sono le otto e un quarto», precisò.

Alzai le spalle con innocenza. «Forse il tuo orologio è avanti di qualche minuto.»

«Impossibile», sentenziò.

«Dopo verifichiamo», troncai la discussione.

Mi fermai ad osservare il suo aspetto. Riuscii a sbirciare sotto il capotto e notai che indossava un maglione grigio. Poi, feci scorrere lo sguardo verso il basso, un paio di jeans neri gli fasciava le gambe.

Era così bello che sarei rimasta a guardarlo per tutta la sera.

In quel momento ripensai al bacio che ci eravamo dati qualche giorno prima e sentii uno strano formicolare in mezzo alle cosce. Forse era perché desideravo di baciarlo di nuovo oppure perché avevo bisogno di conferme. Volevo capire se il bacio mi era piaciuto solo perché avevo visto il mio ex qualche istante prima, ed ero sconvolta e triste, oppure perché Dylan era un ottimo baciatore.

Un bacio tra le nuvole • |COMPLETA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora