Capitolo 28 -"Sfogati sorellina"

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Il ritorno a Boston avvenne in religioso silenzio. Per tutta la durata del viaggio nessuno dei due spiccò una parola. Dylan guidò senza nemmeno fermarsi e arrivammo prima dell'orario indicato dal navigatore.

C'era tensione nella macchina, forse troppa. Percepivo il suo nervosismo dal mondo in cui stringeva le dita attorno al volante. Io, al contrario, gestivo le mie emozioni facendo finta di dormire. Quella era l'unica soluzione per evitare che Dylan mi facesse domande o aprisse discorsi inerti a quello che era accaduto negli ultimi giorni.

Una parte di me voleva litigare pesantemente. Volevo dirgli tutto quello che provavo e pretendevo che capisse quanto questo viaggio mi avesse fatta stare male. Nonostante questo, i momenti che avevamo trascorso da soli, rimanevano un ricordo difficile da cancellare.

Ogni tanto, mentre guidava, si voltava a guardarmi per una frazione di secondo, senza dire una parola. E poi riportava i suoi occhi sulla strada, facendo finta che non esistessi.

Potevo immaginare che anche lui fosse parzialmente arrabbiato con me.

Aveva detto di amarmi, ed io, lo avevo totalmente ignorato, facendo finta che quel momento non fosse mai accaduto.

Fingere che una frase non fosse mai stata pronunciata si rivelò un ottimo strumento per non affrontare i problemi. Decisi di seguire quella strada e concentrarmi su me stessa.

Ero a pezzi.

Senza forze.

Avevo la sensazione che un TIR di 10 tonnellate mi avesse investita. Volevo solo tornare a casa e mettermi sotto le coperte, nonostante fossero solo le due del pomeriggio. Non avevo nemmeno pranzato e il mio stomaco era aggrovigliato come un paio di auricolari, dimenticate nella borsa.

Mentre eravamo in autostrada, Dylan apriva la bocca per dire qualcosa e poi la richiudeva ancora prima che una sola sillaba fuoriuscisse.

Voleva parlare, glielo leggevo negli occhi.

Furono le quattro ore più brutte della mia vita. Avevo la sensazione di essere seduta nell'auto di un estraneo. Anche se sapevo che per me era molto di più.

Fermò l'auto nell'enorme parcheggio situato dall'altro lato della strada che si affacciava al mio palazzo.

Eravamo arrivati e all'improvviso mi pervase una sensazione di leggerezza. Era come se un macigno si fosse spostato dal mio petto.

Spense il motore dell'auto e si voltò a guardarmi.

I suoi occhi mi spaventavano. Erano spenti e vuoti. Non riuscivo a sostenere lo sguardo, ma ce la misi tutti per evitare di guardare altrove.

«Grazie del passaggio», mormorai.

Vidi il suo pomo d'adamo abbassarsi. «Non hai detto nulla per tutto il viaggio», mi fece notare.

«Nemmeno tu», ribattei con tono calmo.

C'erano tantissime cose che avrei voluto dire, ma non avevo abbastanza forze per farlo.

«Non puoi comportarti così.» Si passò una mano dietro al collo, con aria combattuta.

«Io non ho fatto proprio niente», replicai sulla difensiva.

«Ti prego Chloe, mettiamoci una pietra sopra. Non ho nessuna colpa in merito a ciò che è successo...»

«Sono stata abbastanza chiara l'altra sera», dissi con tono freddo e distaccato.

«Stai mentendo ad entrambi, ma sei troppo ottusa per riuscire a capirlo.»

Ma lui non sapeva che io c'ero dentro tanto quanto lui. Non sapeva che il mio cuore gridava un solo nome ed era il suo. Non sapeva che lo amavo tanto quanto lui amava me.

Un bacio tra le nuvole • |COMPLETA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora